Al Belpaese sono arrivati da Bruxelles 8,8 miliardi, di cui circa la metà è andata all'agricoltura. L'Italia è il quarto contributore netto del bilancio comunitario.
Per l’agricoltura italiana l’Unione europea è una manna dal cielo.
Anche nel 2018 le aziende del settore hanno incassato oltre 4 miliardi di euro dei fondi comunitari destinati all’implementazione della Politica agricola comune,
la celebre Pac.
È di gran lunga la voce più cospicua delle risorse
europee che sono state ridistribuite in Italia nel 2018, come emerge
dalla lettura dei dati pubblicati in estate dalla Ragioneria dello stato.
Nel 2018, calcolano i tecnici di via XX settembre, i versamenti partiti da Bruxelles direzione Roma sono stati pari a 8,855 miliardi di euro, a fronte di un contributo al bilancio comunitario da parte dell’Italia di 15,7 miliardi.
Il Fondo europeo agricolo di garanzia (Feaga) finanzia le spese più disparate in tema di agricoltura
– dalla ristrutturazione dell’industria dello zucchero ai pagamenti
diretti ai coltivatori – e nel 2018 pesa per il 46% sul monte-risorse
comunitarie arrivate in Italia: 4,074 miliardi.
Viene
gestito direttamente dalla capitale che poi spacchetta il budget verso i
vari enti locali che ne fanno richiesta.
Anche il Feasr – Fondo europeo
agricolo per lo sviluppo rurale – punta a migliorare la competitività agricola e forestale,
ma viene accreditato direttamente alle regioni: vale 1,196 miliardi di
euro, di cui solo in Campania 141 milioni e in Sicilia 130.
Voce consistente dei finanziamenti europei è il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr).
Incide il 20% sul totale e sposta 1,755 miliardi di euro.
Sono contanti che vanno a sostenere le politiche industriali e infrastrutturali nei vari paesi e vengono erogati a regioni o amministrazioni centrali e multi-regionali.
Soldi veri: nel 2018 la Puglia ha incassato 203 milioni, la Sicilia 190, la Campania 123 e la Calabria 108.
Altro grosso pacchetto è il Fondo sociale europeo (Fse) da 1,23 miliardi di euro.
Il suo obiettivo è “realizzare
le priorità della comunità riguardo al rafforzamento della coesione
economica e sociale migliorando le possibilità di occupazione e di
impiego, favorendo un alto livello di occupazione e nuovi e migliori posti di lavoro”.
Mezzo miliardo di euro è stato destinato alle amministrazioni centrali,
il resto se lo sono spartiti 19 regioni e le due province autonome di
Trento e Bolzano: alla Lombardia sono andati 135 milioni, al Piemonte 100, alla Sicilia 74 e alla Campania 60.
Le regioni al vertice per incassi – esclusa la distribuzione di secondo livello del Feaga – nel 2018 sono Sicilia a 393 milioni di euro,
Puglia a 357 e Campania a 323.
A prendere meno di tutti sono invece la
Valle D’Aosta (19), il Molise (24) e la provincia di Trento (33). La
dirimpettaia di Bolzano ne ha conquistati altri 47 di milioni, come la
Basilicata e più dell’Abruzzo a 37 milioni.
L’Italia contributore netto della Ue, ma di quanto?
Conti alla mano, per la Ragioneria dello stato nel 2018 “l’Italia ha registrato un saldo netto negativo di circa 6.872 milioni”
alla luce dei rapporti finanziari intrattenuti con l’Unione europea.
Secondo i tecnici del Mef, si tratta di una cifra in linea con le
rilevazioni degli anni precedenti: da sempre l’Italia è un contributore
netto del bilancio europeo e, si legge nell’Annuario statistico 2019
della Ragioneria, “il dato del 2018 differisce da quello registrato nel 2017 per una differenza in negativo (un risparmio ndr) di circa 442,1 milioni”.
Ma per l’Unione europea i numeri sono diversi.
Secondo gli ultimi dati pubblicati da Bruxelles, per il 2018 l’Italia ha contribuito al bilancio europeo per 15,215 miliardi di euro, riportandosene a casa 10,337. Il saldo finale è di una contribuzione netta italiana di poco superiore a 5 miliardi di euro.
In base ai calcoli della Ue, l‘Italia è il quarto paese per contributi netti versati: si piazza alle spalle di Germania a 13,4 miliardi, Regno Unito a 6,9 e Francia a 6,1.
Polonia e Ungheria sono gli stati che ci guadagnano di più: 12 e 5 miliardi di euro.
Le cifre della Ue variano rispetto ai conti della Ragioneria per 1,8 miliardi di euro mal contati. Come è possibile? Niente paura: nessuna manina sovranista e anti-europea ha manomesso i file del ministero dell’Economia.
La Corte dei Conti, commentando i numeri del 2017 che si distanziavano ugualmente, ha svelato l’arcano.
Le cifre della Ragioneria “se sono rilevanti per indicare il fabbisogno di cassa sull’anno (cioè che impatto hanno i contributi sui conti pubblici ndr), non tengono conto di alcune differenze di contabilizzazione rispetto alla Commissione” sul fronte dei versamenti; né considerano le “somme che non transitano per la tesoreria, sul lato degli accrediti”. I magistrati contabili spiegano, “infatti, che non tutte le somme erogate a beneficiari italiani transitano per la tesoreria statale. Ne restano fuori, ad esempio, le risorse gestite direttamente dalla Commissione, o quelle della Cooperazione transfrontaliera”.
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