venerdì 1 novembre 2019

Lo sfruttamento non ha età: l’incubo dell’assicurazione previdenziale obbligatoria.

seiassicurato


Uno dei maggiori esponenti del pensiero economico e politico dominante, megafono della propaganda liberista, sembra finalmente andare contro corrente. Anni ed anni di ideologia del conflitto intergenerazionale tra giovani e vecchi, di ripetuti anatemi contro gli anziani che peserebbero come un fardello sulle spalle dei giovani precari, di asserita insostenibilità del sistema pensionistico, sembrano finalmente espiati dal ragionevole pentimento di De Bortoli che ci spiega che i vecchi non sono un peso. 
Titolo ed incipit sembrano proprio una garanzia: “Gli anziani in Italia non sono un peso. Si può (e si deve) dare più spazio ai giovani senza creare disagi e inutili sensi di colpa a genitori e nonni. Una questione di civiltà.” Limpido e chiaro. 
Ben detto Ferruccio, finalmente!

Purtroppo però, il vero senso dell’articolo si annida nel seguito, che fa piazza pulita delle nobili intenzioni iniziali. 
Una sequela impressionante di luoghi comuni e inquietanti ricette. Continua infatti l’ex direttore del Corriere:
“Investiamo poco, ci assicuriamo di meno, nascondiamo sotto il tappeto le dinamiche inesorabili della nostra società. Se teniamo al futuro delle prossime generazioni dovremmo parlarne di più. E aiutarle per tempo ad affrontare le emergenze dell’invecchiamento della popolazione. Un peso, forse insopportabile, che cadrà sulle loro spalle. Una mina nascosta nel Servizio sanitario nazionale (che deve curare più che assistere) e nei conti dell’Inps. Oggi abbiamo quasi 14 milioni di italiani con più di 65 anni. Secondo l’Istat, nel 2037, in un contesto di popolazione calante, ne avremo 4,5 milioni in più. La percentuale di loro che non sarà autosufficiente è destinata a crescere esponenzialmente. Oggi a 75 anni è del 26 per cento; a 85 anni del 46 per cento”.
Ecco che torna in grande stile la tesi della “bomba demografica”, che metterebbe a repentaglio la sostenibilità del nostro stato sociale, delle pensioni e della sanità nel futuro prossimo. E’ in particolare il tema della non autosufficienza di una popolazione anziana crescente che sembra preoccupare De Bortoli:
“l’assistenza agli anziani non autosufficienti assorbe (quattro miliardi) ormai la metà della spesa sociale dei Comuni. E in futuro, di questo passo, finirà per drenarla tutta. A danno di altri servizi assistenziali di primaria importanza, come il sostegno all’infanzia, l’aiuto ai poveri”.
Nel mondo delle risorse scarse che ci racconta De Bortoli, il mondo dell’austerità e della disoccupazione come male necessario, più assistenza agli anziani non autosufficienti significa meno sostegno all’infanzia e ai poveri. I soldi non ci sono, occorre scegliere, stabilire priorità, perché un bisogno esclude l’altro, non se ne esce. Ed allora che fare? Due sono le soluzioni prospettate da De Bortoli. La prima è legata al ruolo dei lavoratori stranieri:
“In Italia lavora più di un milione di badanti (quasi tutte o tutti stranieri, oltre la metà irregolare, spesso non preparati). Un numero superiore a quello di tutti i dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (poco più di 600 mila). Se, per ipotesi, scioperassero tutte o tutti insieme sarebbe la paralisi. Vera. Ecco uno sguardo poco consueto sulla fragilità della nostra società. La ricerca di badanti conviventi è stata poi resa problematica dal diminuito afflusso di immigrati. Ed ecco un altro angolo di lettura, poco diffuso, del tema dell’immigrazione. Chiudersi significa anche questo”.
Dunque, dobbiamo accogliere gli immigrati, ma non per solidarietà verso chi fugge da miseria e morte, bensì perché ci servono schiavi, ci serve quell’esercito industriale di riserva di cui parlava Marx. Se il badante di tuo nonno sciopera, sta dicendo De Bortoli, con le frontiere chiuse sei fritto, mentre con le frontiere aperte ci sarà sicuramente un altro disperato disposto ad accollarsi il lavoro umile ad un prezzo stracciato. È il razzismo dei buoni: gli immigrati vengono presentati nella loro funzione di riequilibrio demografico di società decadenti e insostenibili, con una naturale vocazione per quei lavori umili che “gli italiani non vogliono più fare”. E soprattutto, perfetti sostituti tramite spesa privata di uno stato sociale che non riusciremo più a finanziare in futuro.
Ma non è tutto, e qui De Bortoli getta la maschera, facendosi riconoscere per quel che è, una penna al soldo della classe dominante, disposto a piegare il lavoro del giornalismo alla marchetta verso gli interessi dei grandi gruppi finanziari:
“In Italia non esiste, come invece c’è in Germania, un’assicurazione obbligatoria sulla non autosufficienza. Un rischio certo, non una eventualità. Toccherà tutti, direttamente o indirettamente, in famiglia e nei nostri rapporti personali. Manca una consapevolezza generale. Sei grandi casse previdenziali si sono messe insieme per trattare le migliori condizioni con un costo annuo di soli 13 euro a iscritto. Il più grande fondo previdenziale negoziale (Cometa, metalmeccanici) offre tra le opportunità agli assicurati, una volta arrivati alla pensione, una copertura long term care che raddoppia la rendita in caso di non autosufficienza. I dirigenti del settore del commercio, altro esempio, hanno una polizza Ltc con un premio annuale di 206,60 euro che assicura, con una rendita di 2.582,28 euro, rivalutabile al 3 per cento annuo, il rischio di non autosufficienza fino a 70 anni, ed è una copertura prorogabile a vita intera a condizioni prefissate. Esistono ovviamente (e si vedranno sempre di più le pubblicità) proposte individuali delle compagnie assicurative.”
Uno spot, un misero spot alle assicurazioni private, sulla pelle della popolazione più anziana, questo è ciò che il Corriere della Sera è in grado di produrre. Eccolo il vero mondo di De Bortoli: se lo stato sociale inevitabilmente collassa, venendo a mancare le risorse per sostenerlo, devono pensarci i privati cittadini a costruire – con acuta capacità di guardare al futuro – il pilastro salvifico della previdenza complementare, arricchito di coperture assicurative gestite da fondi negoziali o assicurazioni private a carico del singolo. Con la proposta di rendere addirittura obbligatoria l’assicurazione previdenziale e sanitaria il cerchio finalmente si è chiuso: con buona pace del libero mercato tanto caro ai liberisti, la legge che obbliga ad acquistare protezione da un sistema privato, che macina profitti sui problemi di salute degli anziani.
C’è un aspetto tra i molti, nel modo di ragionare di De Bortoli, che colpisce in maniera particolare. Volendo anche per ipotesi immergerci nell’ottica delle risorse scarse, perfetto riflesso del pensiero economico dominante, perché mai la spesa privata dovrebbe essere migliore di quella pubblica in assistenza e sanità? Se esistono, nella società, le risorse potenziali per sostenere un sistema di assicurazione privata per il rischio di malattia e non autosufficienza, perché mai non dovrebbero esistere le corrispondenti risorse pubbliche per ottemperare ai medesimi bisogni, garantendo al contempo maggiore equità di trattamento? A questa domanda il pensiero economico mainstream in genere non risponde e si nasconde dietro la presunta naturalità delle scelte private, al cospetto della coercitività di quelle pubbliche, considerate sempre inefficienti per definizione, mentre il boato del ponte Morandi – infrastruttura concessa in gestione ai privati e crollata nell’estate del 2018 – ancora risuona.
Quello delle risorse scarse emerge con chiarezza come un puro mito, funzionale alla mera opera di privatizzazione e mercificazione del sistema di soddisfacimento dei bisogni umani. Un mito che agisce come un martello pneumatico nell’opera mastodontica di rimozione di quelle istituzioni a carattere sociale e collettivo costruite nei decenni passati a fondamento dello Stato sociale solidaristico e universalistico che ha costituito l’ossatura di una civiltà che si vuole demolire, perché ostacolo all’accumulazione di profitti. Per De Bortoli, insomma, gli anziani non dovrebbero più essere considerati come un peso, bensì dovrebbero essere costretti a comprare una bella (e salata) assicurazione privata, in un mondo in cui i grandi gruppi finanziari gestiscono il business previdenziale sfruttando il lavoro di masse di immigrati pagati con salari da fame. Per combattere questo incubo, dobbiamo difendere con le unghie e con i denti quel che resta dello stato sociale, la civiltà contro la barbarie dei cantori del liberismo e dell’austerità.

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