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Un drammatico tentativo di “regime change”, al culmine di un assedio
spietato. Da sei anni, cioè dalla morte di Hugo Chavez, il Venezuela è
stretto nella morsa imperiale degli Usa.
Vero obiettivo: mettere le mani sulla Pdvsa, la compagnia petrolifera
statale. Per inciso: il Venezuela dispone della maggior riserva di
petrolio al mondo. Altro da aggiungere? Certo, a pesare è l’insipienza
del governo Maduro, che è solo l’ombra del leader “bolivariano” a cui è
succeduto. Ma sarebbe assurdo non vedere – come fa la grande stampa – a
quali difficoltà è stato costretto, l’esecutivo di Caracas, dalla
micidiale macchina del Washington Consensus. Lo afferma un grande
giornalista come Gianni Minà, per lunghi anni rivoluzionario conduttore
di programmi che hanno fatto la storia della televisione italiana. Intervistato da Fabrizio Verde per “L’Antidiplomatico”,
Minà si schiera senza esitazione dalla parte di Maduro, che nella
regione è sostenuto da paesi come il Messico e Cuba, la Bolivia e
l’Uruguay. Il Venezuela, scrive Verde, si trova nuovamente sotto
attacco: «A Washington hanno costruito il grottesco golpe con lo
sconosciuto Guaidò che si è auto-nominato presidente ad interim».
Minà
sottolinea «l’incongruenza della politica
degli Stati Uniti praticamente da sempre». E spiega: «Non saprei
definire in altro modo le numerose guerre dichiarate da Washington,
nell’ultimo mezzo secolo, in nome della democrazia e della libertà».
Osservando conflitti come quello del Vietnam e ultimamente quelli in
Medio Oriente, aggiunge Minà, «viene da domandarsi perché tutto questo
si ripeta, visto che alla fine gli yankee si devono quasi sempre
ritirare e rinunciare alle loro mire iniziali». Riguardo
al Venezuela, appoggiato da Russia e Cina, Gianni Minà considera
drammatica la situazione, senza la possibilità di una soluzione a breve:
«E questo perché nessuno vuol dispiacere al paese della libertà, quello
di Trump ovviamente». Spirano venti di guerra:
corriamo il rischio che Caracas diventi una nuova Damasco? «Credo
proprio di sì», risponde Minà, anche se, aggiunge, «con l’auto-nomina
del candidato “americano”, tutto è diventato ridicolo: specialmente se a
una tale “trovata” nessuno, neanche l’Unione Europea,
ha avuto il coraggio di essere dissenziente e chiaro». Per bocca di
John Bolton, gli Stati Uniti hanno annunciato nuove sanzioni contro la
compagnia petrolifera statale Pdvsa, quinta fornitrice di petrolio per
gli Usa.
Inoltre sono stati congelati ben 7 miliardi di dollari della società di
Caracas. Il vero obiettivo è quello di impadronirsi del petrolio
venezuelano? «Credo che questo obiettivo sia palese», conferma Minà,
secondo cui siamo letteralmente alle solite: le Sette Sorelle vogliono
il petrolio venezuelano. Tutto il resto è coreografia. O tragedia: «Si
può condannare alla fame un paese strategico che fa comodo all’economia di un altro paese? Pare di sì, in barba a tutte le dichiarazioni di moralità e di etica della politica».
Secondo Fabrizio Verde, l’informazione sul Venezuela è spesso
inquinata da “fake news” propalate senza soluzione di continuità dal
circuito informativo mainstream. Perché tanto accanimento contro il
Venezuela? La Rivoluzione Bolivariana rappresenta un esempio scomodo per
troppi paesi schiacciati sotto il tallone di ferro del neoliberismo?
Minà confessa «una punta di malinconia per la fine che ha fatto il
nostro mestiere». E spiega: «Non ho letto o ascoltato infatti articoli
seri, ma soltanto l’esaltazione della giustezza della politica
nordamericana o la propaganda ritmata per cui (ormai da sei anni, dalla
morte di Chavez) esiste un piano di mortificazione dei diritti dei
venezuelani». Aggiunge: «Gli errori del governo di Maduro hanno fatto il
resto, ma è vile assistere a un assedio del paese che dura da tempo, si
esprime con atti golpisti ogni due, tre mesi, sparisce
dall’informazione per un paio di volte al mese, dopo di che aspetta i
dollari che devono arrivare dagli Stati Uniti per continuare
una strategia infame e finisce, da giugno, per ignorare che le elezioni
le ha vinte il governo chavista. Piaccia o non piaccia agli
organizzatori di questi golpe».
Le elezioni di cui parla Minà sono le presidenziali del 20 maggio
2018, contestate da alcune Ong. Maduro ha stravinto ottenendo quasi il
70% dei consensi (oltre 6 milioni di voti), battendo Henri Falcon
(“Avanzata progressista”) e l’indipendente Javier Bertucci. Alla tornata
elettorale però avevano rifiutato di partecipare “Prima la Giustizia”,
“Azione Democratica” e “Volontà Popolare”, la formazione di Guaidò.
Assediato dalle manifestazioni di piazza, in un video-appello “al popolo
Usa”,
oggi Maduro dichiara: «È stata avanzata una campagna brutale di
immagini false, di immagini truccate e montate: non credete a tutto
quello che affermano i media
degli Stati Uniti, ve lo dico con il cuore». L’altra notizia è che la
Banca d’Inghilterra ha clamorosamente rifiutato di consegnare al governo
di Caracas la riserva aurea del Venezuela, di cui il paese ha disperato
bisogno. In compenso, i venezuelani sono invitati a consolarsi con gli
aiuti umanitari alternativi, richiesti da Guaidò e procurati di fatto
dagli stessi poteri che oggi rifiutano di restituire al Venezuela l’oro
dello Stato.
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lunedì 4 febbraio 2019
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