venerdì 15 febbraio 2019

La Spagna torna al voto, Pedro Sanchez convoca le elezioni per il 28 aprile.

La legge di bilancio era stata respinta con i voti dei partiti di centrodestra Pp e Ciudadanos e degli indipendentisti catalani.

Elezioni anticipate in Spagna. Era inevitabile, dopo la bocciatura della manovra di Pedro Sanchez, leader socialista al Governo dal 2 giugno 2018. La Spagna torna al voto il 28 aprile per scegliere il nuovo Parlamento.

La legge di bilancio era stata respinta con i voti dei partiti di centrodestra Pp e Ciudadanos e degli indipendentisti catalani.
"Vi annuncio che ho proposto lo scioglimento delle Camere e la convocazione di elezioni generali per il 28 aprile e ho comunicato al re questa decisione", ha detto Pedro Sanchez nella dichiarazione istituzionale dal Palazzo della Moncloa. "Il governo si è scontrato con il rifiuto della Finanziaria più sociale del nostro Paese", ha ricordato il premier, nel giustificare la decisione di dare per conclusa la legislatura. "La scelta era continuare a governare con una legge di bilancio che non è nostra e non risponde alle esigenze sociali nostro paese, oppure impegnare tutti gli sforzi e l'energia collettiva nelle grandi trasformazioni che vogliamo. Fra il non fare nulla o convocare le urne e dare la parola agli spagnoli, ho scelto la seconda".
"La Spagna - ha proseguito - deve continuare a progredire, escludendo la politica dello scontro, creando lavoro di qualità, ampliando i diritti e le libertà, garantendo la protezione sociale", ha elencato il leader socialista nel fare un excursus dei 13 provvedimenti di legge e dei 25 decreti approvati in poco più di 8 mesi al governo.  
"Sono convinto che sia possibile recuperare la politica utile, che sia possibile recuperare la tolleranza, il rispetto. La Spagna è dei cittadini, saranno loro a decidere se fanno un passo indietro o andare avanti sulla strada del progresso", ha aggiunto.

Una crisi annunciata, dopo il rifiuto dell'esecutivo socialista minoritario di negoziare l'autodeterminazione della Catalogna e "l'ingerenza politica nel processo giudiziario" contro i 12 leader indipendentisti davanti al Tribunale Supremo, ha riconosciuto la portavoce socialista alla Camera, Adriana Lastra. Inutili i tentativi del Psoe, di Podemos e dei nazionalisti baschi del PNV di salvare l'iter della legge di bilancio, sbarrato sul nascere da 6 emendamenti (presentati da Erc, PdeCat, oltre che dal Pp, Ciudadanos, Foro Asturias e Coalición Canaria), approvati con 191 sì, 158 no e una astensione. Il governo socialista minoritario non è riuscito a coagulare la maggioranza sulla Finanziaria "più sociale della democrazia", come l'ha difesa la ministra delle Finanze, Maria Jesus Montero.
Restano carta straccia l'aumento della spesa sociale, quello delle pensioni, il salario minimo interprofessionale a 900 euro e il piano da 3 miliardi per il lavoro giovanile. Neanche l'aumento del 52% degli investimenti in Catalogna (pari a oltre 2 miliardi) è bastato a persuadere gli indipendentisti. "Si sono uniti nel voto al blocco di destra che chiede il 155", ovvero il commissariamento sine die della Catalogna, "per non fare avanzare il Paese", ha recriminato Montero.
La concomitanza del voto sulla Finanziaria con l'inizio del processo ai 12 dirigenti catalani ha alterato i piani del resiliente Pedro Sanchez di rimanere al governo fino al prossimo autunno, con soli 84 deputati su 350, superando il voto europeo, regionale e municipale del 26 maggio.

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