Il dono della coscienza “civile” individuale di un uomo ritenuto un ingombro nel villaggio M5S della commedia dell’arrangiarsi. Da lui la Sinistra ha da apprendere.
Osservo
Gregorio De Falco, senatore della Repubblica già sotto le insegne del
M5S, e intanto nulla mi sfiora delle parole prosaiche pronunciate via
radio a suo tempo dal nostro comandante la notte del naufragio della
"Costa Concordia" al Giglio, facendo caso a lui ritrovo altro, un calore
che arriva dalla memoria personale, rivedo nei suoi gesti, semmai, zio
Franco, anch'egli Capitano di Marina, l'attesa delle navi in rada lungo
il puntinato dell'orizzonte, una metafora dell'esistenza, del mondo,
dell'avvenire quasi.
Ancora, sempre facendo caso a De Falco, non c'è nulla che possa farmelo assimilare a quell'altro, al graduato di truppa populista Salvini, improbabile "Capitano" nella garitta di una destra che professa il sovranismo guardando alla Russia di Putin come nuova frontiera.
Alla fine, assodata l'assenza di un personale politico sia trascorso sia presente degno di questo nome, ritrovo, proprio grazie alla rivelazione De Falco, il dono della coscienza "civile" individuale, poco importa se ritenuto un ingombro nel villaggio della commedia dell'arrangiarsi, posto che, come spiegano in Sicilia, "Chi afferra un turco è suo!" Proverbio che riepiloga l'orgoglio per la volontà paracula di rapina.
Nel suo rifiuto dichiarato di assecondare Salvini nelle vicende dei migranti, o ancora dissociandosi dal "Decreto Sicurezza" reputandolo macchiato da illiberalità, troviamo un vero impagabile giacimento di coscienza civile. In questa storia, vista l'etica in discussione, se proprio occorre chiamare qualcosa o qualcuno in causa, è bene che idealmente torni l'esempio dell'ammiraglio Bergamini, che rispose così ai nazisti: "Non consegnerò mai le navi al nemico. Le porterò in un ancoraggio italiano o in un porto neutrale".
Sì, se faccio nuovamente, umanamente attenzione alle parole di De Falco, ripeto, accanto a stile e chiarezza nell'affermare i valori essenziali di democrazia, alla fine mi interrogo su questo napoletano, classe 1965, cresciuto a Milano, venuto cioè al mondo mentre Peppino De Filippo inventava la maschera di Pappagone, il transatlantico "Michelangelo" partiva per la crociera inaugurale, Lyndon Johnson mandava nuove truppe Usa in Vietnam, Mao montava la "sua" rivoluzione culturale e intanto in televisione esordiva "Giochi senza frontiere", quindi mi chiedo dove questa persona, con assai meno anni di me, abbia appreso così correttamente il proprio garbo "civile", non so definirlo con altre parole.
È un discorso di chiarezza umana, prima che politica, dunque pure sulla sua iniziale adesione al Movimento 5 Stelle non tracceremo giudizi, ci basterà affermare stima per il modo in cui proprio De Falco ha trovato inaccettabile, per esempio, appunto, i termini del "Decreto Sicurezza", dissociandosi - lui, sì, autentico nella divisa – da ogni razzismo strumentale.
De Falco lo ha fatto pronunciando implicitamente un richiamo alla Costituzione, cioè all'antifascismo, cosa che i suoi ex alleati di governo o di semplice scranno certamente supporranno, se non irritante, estranea al codice genetico della propria semplificazione politica.
Così facendo, l'uomo ha donato a tutti noi una chiarezza che, citando le parole di Carlo Levi sull'intransigenza etica di Ferruccio Parri nella Resistenza, lo rende "un fiore su un letamaio".
E qui magari, per stemperare retorica, rispondendo per lui all'accusa d'avere tradito il Movimento 5 Stelle per abiette ragioni, cioè tenendo per sé, senza più rendicontarli, i soldi da parlamentare, pubblicamente mi auguro che il senatore, ora iscritto al Gruppo Misto, quel denaro lo dedichi interamente al proprio risarcimento dalla piccineria di molti suoi dirimpettai incrociati nel condominio politico. "Credo che abbia preso una deriva illiberale. Ho condiviso e condivido ancora tutte le finalità e gli ideali del Movimento. Tra i quali senz'altro c'era anche la democrazia", pronuncia infatti De Falco sul M5S. C'era, punto.
La selezione del personale di governo nello Stivale da sempre mostra il feticcio familiare del "facite ammuina" e, proprio al Sud, credo si usi dire "sì è messo in politica", attribuendo a questa azione un costume proprio della zona più grigia delle ambizioni, talvolta umanamente giustificabili, eppure nel contempo, in molti conclamati casi, tipiche del talento da rapina e appropriazione più che indebita.
I toni di Gregorio De Falco, fateci caso, hanno sempre una grana rassicurante, fanno giustizia sia dell'analfabetismo letterale sia della subcultura che caratterizza come marchio identitario chi dovrebbe invece affermare, perfino dove la storia locale non ha conosciuto la discontinuità benefica delle rivoluzioni, le cosiddette "virtù repubblicane". Lo so, lo so, sono queste parole vuote per l'ottuso medio populista.
In realtà, nel paese dell'approssimazione etica, del voto di scambio e del consenso perfino alle facce più ributtanti, al di là delle norme esistenti pronte ad agire come freni morali di dissuasione, è assai più facile che la condotta di massa si riconosca nella maschera familiare di uno Schettino, il comandante della "Costa Concordia" che abbandonò la nave a se stessa, Schettino come autobiografia della nazione, accomodamento, assenza di rigore, rifiuto della deontologia e dei Codici, poco importa se di guerra o di pace, così almeno nel duomo del "E 'sti gran cazzi?" collettivo autoassolutorio.
Di zio Franco, Capitano Superiore di lungo corso, da quando non c'è più, custodisco il "libretto di navigazione", sopravvissuto al siluramento della sua nave durante la seconda guerra. Sta insieme alla foto di lui ragazzo, aspirante guardiamarina, del marzo 1941. Così come di De Falco ammiro la sincerità, quasi questa mi raggiungesse attraverso lo spato d'Islanda, il minerale birifrangente che dà forma alle lettere nello spazio dello sguardo, e intanto mi chiedo quanto sempre lui, De Falco, sia riuscito a mantenersi fuori dall'impoverimento culturale degli ultimi decenni, dal carnevale acefalo berlusconiano, dalla contraerea qualunquista lì a radere le conquiste civili, dal fascismo sempre dormiente nel villino della piccola borghesia nazionale.
Ancora lui, sull'incompatibilità sopraggiunta con il suo gruppo parlamentare iniziale: "Io non me ne vado. Resto nel M5S come resto nella Marina militare, avendo sempre come bussola la Costituzione. La fonte è ovviamente il diritto".
I molti che per bisogno di giustizia sociale e diritti di cittadinanza – il pane, le rose e perfino il principio del piacere come boa finale - hanno candidamente ritenuto di trovare un approdo comunque - ma certo, proprio "di Sinistra" - nel movimento di Beppe Grillo, così per reagire all'omologazione della sinistra storica stessa con le sue rendite di posizione clientelare, familismo e nepotismo amorali, magari perfino al di là della retorica berlingueriana incapace di restituirne i limiti immensi di una storia pregressa, assodata la mediocrità intellettuale di Luigi Di Maio, di Alessandro Di Battista, e magari dello stesso Roberto Fico che, messo alle strette su fatti davvero dirimenti, sembra ricorrere alla medesima ambiguità di un celebre ministro degli Esteri russo cui la massima ammissione, intanto che da lui cominciava a venire tutto giù, si riassunse in un "Maybe!" Può darsi...
Forse, pensandoci bene, le vere parole dirimenti, acclarata l'improbabilità politica pure di Fico, potremmo, riceverle proprio – chissà, prima o poi – da una creatura-rivelazione quale De Falco; che i "probiviri" della Casaleggio Associati l'abbiano espulso l'ultimo dell'anno 2018 per "reiterate violazioni del codice etico del M5S", con la massa di manovra dei troll pronta a processarlo in rete, insinuando che l'uomo voglia tenere per sé "i quattrini", è forse la migliore onorificenza alla tempra, alla forza tranquilla che ancora mancava al Comandante.
Magari la Sinistra, o quel fronte o barricata o àncora di salvezza o semplice accrocco destinato a farsi opposizione alle destre, provando ad affacciarsi oltre la terrazza romana, meglio, la verandina post-veltroniana, dovrebbe ricominciare davvero a provare a esistere e apprendere l'esattezza d'ogni parola da lui, da un Gregorio De Falco.
Ancora, sempre facendo caso a De Falco, non c'è nulla che possa farmelo assimilare a quell'altro, al graduato di truppa populista Salvini, improbabile "Capitano" nella garitta di una destra che professa il sovranismo guardando alla Russia di Putin come nuova frontiera.
Alla fine, assodata l'assenza di un personale politico sia trascorso sia presente degno di questo nome, ritrovo, proprio grazie alla rivelazione De Falco, il dono della coscienza "civile" individuale, poco importa se ritenuto un ingombro nel villaggio della commedia dell'arrangiarsi, posto che, come spiegano in Sicilia, "Chi afferra un turco è suo!" Proverbio che riepiloga l'orgoglio per la volontà paracula di rapina.
Nel suo rifiuto dichiarato di assecondare Salvini nelle vicende dei migranti, o ancora dissociandosi dal "Decreto Sicurezza" reputandolo macchiato da illiberalità, troviamo un vero impagabile giacimento di coscienza civile. In questa storia, vista l'etica in discussione, se proprio occorre chiamare qualcosa o qualcuno in causa, è bene che idealmente torni l'esempio dell'ammiraglio Bergamini, che rispose così ai nazisti: "Non consegnerò mai le navi al nemico. Le porterò in un ancoraggio italiano o in un porto neutrale".
Sì, se faccio nuovamente, umanamente attenzione alle parole di De Falco, ripeto, accanto a stile e chiarezza nell'affermare i valori essenziali di democrazia, alla fine mi interrogo su questo napoletano, classe 1965, cresciuto a Milano, venuto cioè al mondo mentre Peppino De Filippo inventava la maschera di Pappagone, il transatlantico "Michelangelo" partiva per la crociera inaugurale, Lyndon Johnson mandava nuove truppe Usa in Vietnam, Mao montava la "sua" rivoluzione culturale e intanto in televisione esordiva "Giochi senza frontiere", quindi mi chiedo dove questa persona, con assai meno anni di me, abbia appreso così correttamente il proprio garbo "civile", non so definirlo con altre parole.
È un discorso di chiarezza umana, prima che politica, dunque pure sulla sua iniziale adesione al Movimento 5 Stelle non tracceremo giudizi, ci basterà affermare stima per il modo in cui proprio De Falco ha trovato inaccettabile, per esempio, appunto, i termini del "Decreto Sicurezza", dissociandosi - lui, sì, autentico nella divisa – da ogni razzismo strumentale.
De Falco lo ha fatto pronunciando implicitamente un richiamo alla Costituzione, cioè all'antifascismo, cosa che i suoi ex alleati di governo o di semplice scranno certamente supporranno, se non irritante, estranea al codice genetico della propria semplificazione politica.
Così facendo, l'uomo ha donato a tutti noi una chiarezza che, citando le parole di Carlo Levi sull'intransigenza etica di Ferruccio Parri nella Resistenza, lo rende "un fiore su un letamaio".
E qui magari, per stemperare retorica, rispondendo per lui all'accusa d'avere tradito il Movimento 5 Stelle per abiette ragioni, cioè tenendo per sé, senza più rendicontarli, i soldi da parlamentare, pubblicamente mi auguro che il senatore, ora iscritto al Gruppo Misto, quel denaro lo dedichi interamente al proprio risarcimento dalla piccineria di molti suoi dirimpettai incrociati nel condominio politico. "Credo che abbia preso una deriva illiberale. Ho condiviso e condivido ancora tutte le finalità e gli ideali del Movimento. Tra i quali senz'altro c'era anche la democrazia", pronuncia infatti De Falco sul M5S. C'era, punto.
La selezione del personale di governo nello Stivale da sempre mostra il feticcio familiare del "facite ammuina" e, proprio al Sud, credo si usi dire "sì è messo in politica", attribuendo a questa azione un costume proprio della zona più grigia delle ambizioni, talvolta umanamente giustificabili, eppure nel contempo, in molti conclamati casi, tipiche del talento da rapina e appropriazione più che indebita.
I toni di Gregorio De Falco, fateci caso, hanno sempre una grana rassicurante, fanno giustizia sia dell'analfabetismo letterale sia della subcultura che caratterizza come marchio identitario chi dovrebbe invece affermare, perfino dove la storia locale non ha conosciuto la discontinuità benefica delle rivoluzioni, le cosiddette "virtù repubblicane". Lo so, lo so, sono queste parole vuote per l'ottuso medio populista.
In realtà, nel paese dell'approssimazione etica, del voto di scambio e del consenso perfino alle facce più ributtanti, al di là delle norme esistenti pronte ad agire come freni morali di dissuasione, è assai più facile che la condotta di massa si riconosca nella maschera familiare di uno Schettino, il comandante della "Costa Concordia" che abbandonò la nave a se stessa, Schettino come autobiografia della nazione, accomodamento, assenza di rigore, rifiuto della deontologia e dei Codici, poco importa se di guerra o di pace, così almeno nel duomo del "E 'sti gran cazzi?" collettivo autoassolutorio.
Di zio Franco, Capitano Superiore di lungo corso, da quando non c'è più, custodisco il "libretto di navigazione", sopravvissuto al siluramento della sua nave durante la seconda guerra. Sta insieme alla foto di lui ragazzo, aspirante guardiamarina, del marzo 1941. Così come di De Falco ammiro la sincerità, quasi questa mi raggiungesse attraverso lo spato d'Islanda, il minerale birifrangente che dà forma alle lettere nello spazio dello sguardo, e intanto mi chiedo quanto sempre lui, De Falco, sia riuscito a mantenersi fuori dall'impoverimento culturale degli ultimi decenni, dal carnevale acefalo berlusconiano, dalla contraerea qualunquista lì a radere le conquiste civili, dal fascismo sempre dormiente nel villino della piccola borghesia nazionale.
Ancora lui, sull'incompatibilità sopraggiunta con il suo gruppo parlamentare iniziale: "Io non me ne vado. Resto nel M5S come resto nella Marina militare, avendo sempre come bussola la Costituzione. La fonte è ovviamente il diritto".
I molti che per bisogno di giustizia sociale e diritti di cittadinanza – il pane, le rose e perfino il principio del piacere come boa finale - hanno candidamente ritenuto di trovare un approdo comunque - ma certo, proprio "di Sinistra" - nel movimento di Beppe Grillo, così per reagire all'omologazione della sinistra storica stessa con le sue rendite di posizione clientelare, familismo e nepotismo amorali, magari perfino al di là della retorica berlingueriana incapace di restituirne i limiti immensi di una storia pregressa, assodata la mediocrità intellettuale di Luigi Di Maio, di Alessandro Di Battista, e magari dello stesso Roberto Fico che, messo alle strette su fatti davvero dirimenti, sembra ricorrere alla medesima ambiguità di un celebre ministro degli Esteri russo cui la massima ammissione, intanto che da lui cominciava a venire tutto giù, si riassunse in un "Maybe!" Può darsi...
Forse, pensandoci bene, le vere parole dirimenti, acclarata l'improbabilità politica pure di Fico, potremmo, riceverle proprio – chissà, prima o poi – da una creatura-rivelazione quale De Falco; che i "probiviri" della Casaleggio Associati l'abbiano espulso l'ultimo dell'anno 2018 per "reiterate violazioni del codice etico del M5S", con la massa di manovra dei troll pronta a processarlo in rete, insinuando che l'uomo voglia tenere per sé "i quattrini", è forse la migliore onorificenza alla tempra, alla forza tranquilla che ancora mancava al Comandante.
Magari la Sinistra, o quel fronte o barricata o àncora di salvezza o semplice accrocco destinato a farsi opposizione alle destre, provando ad affacciarsi oltre la terrazza romana, meglio, la verandina post-veltroniana, dovrebbe ricominciare davvero a provare a esistere e apprendere l'esattezza d'ogni parola da lui, da un Gregorio De Falco.
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