“Old man & the gun” e “Il corriere - The mule” sono film molto diversi ma esprimono entrambi una risentita reazione umana e morale al bieco e morboso moralismo che domina incontrastato sul mondo di oggi. Un allarme ancora più meritevole di ascolto perché a lanciarlo sono voci di “colpevoli” irriducibili, senza un filo di compiacimento e senza la pietosa attenuante di un’infantile ingenuità.
...tutto ciò che è umano ci appartiene... | |
micromega Nunzio La Fauci
Tratte ambedue da storie vere, Old man & the gun e Il corriere - The mule sono
pellicole molto diverse, ma hanno più di un carattere in comune. Il
principale è anche il più evidente: il loro protagonista, un uomo
vecchio e che, della vita, ha visto e sa molto, è, rispettivamente per
vocazione o per caso, un malfattore sfacciatamente consapevole, privo di
rimorsi e per nulla tormentato da tale sua condizione morale.
Non si tratta, nell’un caso come nell’altro, di una simpatica
canaglia, tipo messo in scena innumerevoli volte dal cinema. Per la
morale e la logica della vita associata, si tratta di un vero e proprio
“colpevole”. Così, sul finire di The mule, con una sortita
memorabile si dichiara Earl Stone, che porta quintali di droga dal Texas
a Chicago, per una spregevole organizzazione criminale messicana. Né si
può dubitare che, a sua volta, Forrest Tucker di sé pensi una cosa
differente, rapinando banche in serie, come fa, sotto spoglie da
gentiluomo.
Nel corso delle loro fortunate carriere di esseri umani oltre che
di uomini di spettacolo, Robert Redford, attore e produttore del primo, e
Clint Eastwood, attore, regista e produttore del secondo, hanno
rappresentato due facce differenti, a tratti persino opposte
dell'America e del modo egemonico con cui l'ideologia moderna vi si è
realizzata nel secolo scorso: l'una accanitamente, a volte
stucchevolmente sociale; l'altra testardamente, a volte brutalmente
individuale. Sinistra e destra, sono state dette tali facce da una
prospettiva, com’è l’europea e principalmente l’italiana, che non ha mai
smesso di sovrapporre a ciò che è anzitutto umano le superfetazioni di
idee politiche che paiono oggi rivelarsi storicamente transeunti.
Redford e Eastwood sono ormai ultra-ottantenni (il secondo
novantenne a breve, a dire il vero) e certo non si sbaglia quando si
vede in queste loro imprese artistiche di una maturità che è facile dire
estrema una sorta di spudorata confessione: è privilegio che si concede
ai vecchi e che in ogni caso, anche in assenza di altrui concessione, i
vecchi concedono a se stessi, se non in sede pubblica, nel loro
privato: “Colpevole. Embè?”
Fermarsi qui nel rapido commento di pellicole che, ineguali, non
mancano di pregi, come non mancano di qualche difetto, non sarebbe però
rendere giustizia all’impegno di questi due grandi vecchi. Esso non è
per nulla intimista, né tardivamente narcisista.
Nei loro film, c’è infatti lampante il segno di una risentita
reazione umana e morale al bieco e morboso moralismo che domina
incontrastato sul mondo nella presente temperie: nutrito dalle peggiori o
dalle migliori intenzioni, poco importa; “cattivista” o “buonista”,
importa ancor meno, quanto agli effetti sulle coscienze individuali e
collettive.
C’è anche, certamente in sospetto di inanità, un allarme ancora più
meritevole di ascolto perché a lanciarlo sono voci di “colpevoli”
irriducibili, ma senza un filo di compiacimento e senza la pietosa
attenuante di un’infantile ingenuità.
C’è insomma un modesto ma prezioso riflesso dell’integro concetto
di umanità che, più di duemila anni or sono, Terenzio indirizzò, tramite
Cremete, al suo vecchio “punitore di se stesso”: “Homo sum, humani
nihil a me alienum puto”.
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