In barba ai famigerati commercianti del nulla che tempo fa chiedevano
una interpretazione restrittiva (geniali!) ed in barba alle destre che
premono per una chiusura della tematica, ecco che la Corte di Cassazione
si esprime sulla liceità della cosiddetta (facendoci ridere) cannabis
light.
freeweed.it
La vendita di ‘cannabis light’ e’ stata dunque definita lecita, come
lecito – e non possono essere sottoposti a sequestri preventivi – e’ la
vendita dei prodotti realizzati con essa e messi in commercio.
Questa
la linea dettata dalla sesta sezione penale della Cassazione, che, con
una sentenza depositata oggi 31 gennaio 2019, segna un ulteriore
capitolo in una questione finora controversa nella giurisprudenza.
La Suprema Corte ha annullato senza rinvio il sequestro disposto dal
Riesame di Macerata nei confronti di un 28enne che aveva posto in
commercio infiorescenze di cannabis: i giudici marchigiani avevano
ritenuto che la legge del 2016 sulla coltivazione della canapa – con la
quale viene indicato come limite lo 0,6% del principio attivo Thc – non
rappresentasse una deroga alla disciplina penale in materia di
stupefacenti.
La legge varata tre anni fa, osservano i giudici di piazza Cavour, “attesta
che la coltivazione delle varieta’ di canapa, nella stessa considerate,
non e’ reato” e “viene consentita senza necessita’ di autorizzazione”: il coltivatore ha solo l’obbligo di “conservare i cartellini della semente e le fatture di acquisto”.
Se all’esito di controlli, inoltre, il contenuto complessivo di Thc nella coltivazione “risulti superiore allo 0,2% ed entro il limite dello 0,6% nessuna responsabilita’ e’ prevista per l’agricoltore”
e il sequestro o la distruzione delle coltivazioni possono essere
disposti “solo se il contenuto di Thc nella coltivazione e’ superiore
allo 0,6%”.
La norma non parla della commercializzazione, ma, secondo la
Cassazione, “risulta del tutto ovvio” che sia “consentita per i
prodotti della canapa oggetto del sostegno e della promozione”
espressamente contemplati dalla legge.
Il ‘nodo’ della questione in esame, si legge ancora nella sentenza, e’
“se
la commercializzazione possa riguardare anche la vendita al dettaglio
delle infiorescenze contenenti il Thc (nei limiti) e il Cbd (che non ha
effetti stupefacenti e mitiga quelli dell’altro principio chimico) per
fini connessi all’uso che l’acquirente riterra’ di farne e che
potrebbero riguardare l’alimentazione (infusi, the’, birre), la
realizzazione di prodotti cosmetici e anche il fumo”.
Proprio sul punto, i giudici esprimono una linea diversa da quella
sancita in precedenza dalla Corte, secondo cui “la presenza di un
principio attivo sino allo 0,6% e’ consentita solo per i coltivatori non
anche per chi commerci i prodotti derivati dalla cannabis”: con la
sentenza di oggi, invece, sposando la tesi di alcuni giudici di merito, la
Cassazione afferma che “dalla liceita’ della coltivazione della
cannabis” stabilita con la legge del 2016 “deriverebbe la liceita’ dei
suoi prodotti contenenti un principio attivo Thc inferiore allo 0,6%,
nel senso che non potrebbero piu’ considerarsi (ai fini giuridici)
sostanza stupefacente soggetta alla disciplina” penale prevista dal
Testo unico sulla droga (Dpr 309/1990).
La fissazione del limite dello 0,6% di Thc “entro il quale l’uso
delle infiorescenze della cannabis proveniente dalle coltivazioni
contemplate dalla legge 242/2016 e’ lecito rappresenta l’esito di quello
che il legislatore ha considerato un ragionevole equilibrio fra le
esigenze precauzionali relative alla tutela della salute e dell’ordine
pubblico e le (in pratica inevitabili) conseguenze della
commercializzazione dei prodotto delle coltivazioni”.
Infatti, “la commercializzazione di un bene che non presenti
intrinseche caratteristiche di illiceita’ deve, in assenza di specifici
divieti o controlli preventivi previsti dalla legge, ritenersi
consentita nell’ambito del generale potere delle persone di agire per il
soddisfacimento dei loro interessi”, afferma la Corte.
Quindi, se il rivenditore di infiorescenze di cannabis provenienti dalle coltivazioni rientranti nella legge del 2016 “e’ in grado di documentare la provenienza lecita della sostanza”
il sequestro “puo’ giustificarsi solo se emergono specifici elementi di
valutazione che rendano ragionevole dubitare della veridicita’ dei dati
offerti e lascino ipotizzare la sussistenza di un reato”: infatti,
conclude la Cassazione,
“la posizione di chi sia trovato dagli organi di
polizia in possesso di sostanza che risulti provenire dalla
commercializzazione di prodotti delle coltivazioni previste dalla legge
n.242/2016 e’ quella di un soggetto che fruisce liberamente di un bene
lecito” e non vi e’ alcun “automatismo” per cui dal superamento dello
0,6% di Thc “derivi immediatamente una rilevanza penale della condotta
che andra’ invece ricostruita e valutata” in base ai parametri fissati dal Testo unico sulla droga, di cui la legge rimane una eccezione.
FONTE:
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/cassazione-cannabis-light-leciti-vendita-e-uso-372d1538-c53f-47af-83ef-6e982ab1fb27.html
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venerdì 1 febbraio 2019
Cannabis “Light”: Per la Cassazione è regolare la vendita, coltivazione e possesso fino a 0,6% di THC
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