“I media sono il braccio armato con cui i potenti assoggettano il popolo”. Quando usai questa espressione nel mio libro/inchiesta era da poco passato il 2011, periodo in cui i media, come un plotone di fuoco al servizio del Cartello finanziario europeo, avevano mitragliato con kalashnikov caricati a pallottole di spread i poveri italiani, messi spalle al muro dalla crisi economica.
Oggi la storia si ripete, le nuove munizioni portano il nome di “deficit” ma il copione è lo stesso.
Il segnale di aprire il fuoco è arrivato dall’alto. I media hanno cominciato a sparare all’impazzata e con sempre meno lucidità.
Lo scopo: Radere al suolo la verità, occupando militarmente la coscienza degli italiani, con la strategia del terrore.
Ma questa volta si sta rivelando un boomerang contro i loro burattinai. Il lavoro degli attuali partiti di Governo e di molti blogger indipendenti sulla rete ha permesso agli italiani di intercettare quelli che il nostro nuovo Presidente Rai chiama gli “stregoni della notizia”.
Allora è il momento di fare chiarezza e di denunciare, una volta per tutte, le truffe subite dal nostro paese sul tema dei vincoli di bilancio.
Facciamo un passo indietro di qualche anno, indispensabile, per capire come si è arrivati alla situazione odierna.
La crescita economica tedesca fra il 2000 e il 2003 era stata nulla mentre la disoccupazione cresceva. Nel primo decennio dell’euro (1999-2008) il debito pubblico tedesco è aumentato dal 61% al 67% del Pil al contrario di quello di molti Piigs, Italia compresa, il cui debito nello stesso periodo scendeva dal 113% al 106% del Pil.
Questo perché dal 2000 al 2005 (badate bene), prima dello scoppio della crisi del 2007 la spesa pubblica tedesca è aumentata di circa 120 miliardi di euro, una cifra che fu allocata per circa 2/3 (90 miliardi di euro complessivi) in sussidi alle imprese e in politiche attive per il mercato del lavoro. Le spese per l’istruzione, invece, aumentarono di soli 8 miliardi e quelle per l’edilizia popolare di 3.
In pratica la Germania che per 4 anni di seguito sforò la regola del 3% nel rapporto deficit/pil aveva finanziato a deficit le proprie imprese, in aperta violazione del Trattato di Maastricht,
spendendo soldi pubblici per rendersi competitiva con le scorrette riforme Hartz – che quindi vanno inquadrate come il classico aiuto di Stato vietato dai trattati – che porteranno ad un abbattimento del costo del lavoro tedesco, a colpi di precarietà, con la flexicurity e i mini job, che determinarono un declino dei salari nominali e reali tedeschi che scesero fra il 2003 e il 2009 di circa il 6%.
Una svalutazione reale finanziata con sussidi diretti e indiretti al sistema produttivo tedesco. Queste azioni di vero e proprio dumping sociale, avviate in Germania, furono decise unilateralmente, senza consultare “i fratelli europei” violando palesemente l’articolo 119 del Trattato di Funzionamento dell’UE (TFUE).
Che la Germania giocasse sporco lo avevamo già intuito quando un ex Ministro delle finanze greco Nicos Christodoulakis, denunciò a suo tempo, che il Governo tedesco non aveva incluso gli ospedali nel settore pubblico, falsando quindi i suoi conti dell’entrata nell’euro. E visto che il lupo perde il pelo ma non il vizio, la Germania non ha mai smesso di finanziare le sue imprese in violazione dei trattati europei. In pochi sanno – dato che i media e i politici tendono a glissare su questo argomento – che la banca pubblica tedesca creata nel dopoguerra dagli alleati, per gestire i fondi del piano Marshall, è stata il più importante strumento di politica industriale del paese ed una delle più grandi e potenti banche del mondo la Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, (KfW) cioè Istituto di credito per la ricostruzione.
La KfW ha da decenni il ruolo di motore e finanziatore dello sviluppo, ossia quel ruolo che i falchi di Berlino e di tutta l’Eurozona non vogliono attribuire alla Banca Centrale Europea.
A trarne vantaggio è il solo sistema tedesco. Il rating di questa banca è ottimo, pari a quello dei Bund tedeschi, per cui alla KfW non è difficile approvvigionarsi a tassi bassissimi quasi esclusivamente sui mercati mondiali, dove in un recente passato, ha realizzato in media emissioni per circa 80 miliardi di euro, come riportato in un articolo di Repubblica del 11 Febbraio 2013 dal titolo “così funziona il motore della Germania”.
La KfW appartiene per l’80% alla Repubblica federale e al 20% ai Lander (ossia i 16 stati federati della Germania, sempre soggetti pubblici) e svolge molti compiti di finanziamento del settore pubblico, non solo finanziando le piccole-medie imprese, ma rendendosi artefice di salvataggi di aziende e banche come nel caso della Ikb collassata a causa dei mutui subprime. Salvataggi che ad altri paesi non sarebbero stati permessi ma che Berlino per anni ha fatto passare come interventi non pubblici, a dispetto della proprietà al 100% pubblica dell’Istituto, e sostenendo dei costi che restano al di fuori del perimetro del bilancio federale, e che quindi, non figurano nel debito pubblico tedesco.
Compiti e operazioni che, invece, in un paese come il nostro, figurerebbero nei conti statali incidendo nel rapporto debito/pil in maniera considerevole. Conteggiando, infatti, le spese di questa che può essere definita la Cassa Depositi e Prestiti tedesca, la Germania avrebbe più volte sforato il 100% nel rapporto deficit/Pil – come fece notare l’economista e attuale Presidente della Commissione Tesoro e Finanze, Alberto Bagnai su “Il Fatto Quotidiano”- spiegando che “questa operazione è consentita dai criteri contabili Esa95, che escludono dal computo del debito pubblico quello delle società pubbliche che coprono i propri costi per oltre il 50% con ricavi di mercato. La KfW rientra in questo criterio, ma ciò non toglie che se qualcosa le andasse storto, sarebbe il governo federale a garantire le sue obbligazioni, esattamente come gli altri Bund.”
In pratica, anche se i tedeschi hanno trovato il modo per aggirare le norme, resta il fatto che si tratta di operazioni estremamente scorrette e di vere e proprie falsificazioni dei conti. Alla luce di queste nuove realtà cambia completamente l’immagine dell’Italia definita un paese spendaccione, che vive al di sopra delle proprie possibilità, nei confronti della Germania, definita invece, oculata e sempre attenta alla propria spesa per tenere i conti in ordine. Se andiamo a vedere qualche grafico ufficiale ci rendiamo conto che dal secondo trimestre del 2007, ossia quando è ufficialmente scoppiata la crisi dei subprime e delle banche, che negli anni successivi hanno chiesto aiuto agli Stati, facendo quindi incrementare il debito pubblico (che nell’Eurozona è passato dal 60 all’80%) l’Italia è stato il paese che ha visto crescere meno di tutti, nell’area euro, il debito pubblico nominale (quello che comprende anche il tasso di inflazione). Dalla metà del 2007 a metà 2013, ha avuto un incremento del 27%. Nello stesso periodo il debito pubblico della Germania, dove come abbiamo visto, non viene conteggiata l’ingente quota della KfW ha avuto, invece, un incremento del 34%. Questo nonostante negli stessi anni la Germania abbia generato un’inflazione inferiore di cinque punti rispetto all’Italia e abbia pagato tassi sul debito molto più bassi rispetto al nostro paese (da qui lo spread). E la Francia? Nel frattempo ha visto crescere lo stock di debito del 57%, anch’esso vicinissimo ai 2 mila miliardi di euro. Ha mantenuto un elevato e continuo sforamento del vincolo del 3% senza subire alcuna procedura d’infrazione. Attualmente il rapporto debito/pil francese ha sfiorato il 100%, ed è la Francia ad essere il paese finanziariamente più esposto. Molto più dell’Italia, ma questo né i nostri media né i tecnocrati europei, sempre pronti a bacchettare il nostro paese, ce lo racconterebbero mai.
Ecco perché la misure del Governo del cambiamento alla luce del nuovo DEF vanno finalmente nella direzione giusta, mirando a risollevare il Pil piuttosto che concentrarsi unicamente sulla riduzione del debito. Eppure, media e politici italiani servili al Cartello finanziario europeo provano a sviare l’attenzione unicamente sul debito, come se fosse quella la chiave di volta, ignorando invece, ciò che è già stato drammaticamente dimostrato in questi anni di austerity, ossia, che provare a ridurre il debito facendo perdere colpi al PIL, non può che causare un drastico peggioramento del parametro Debito/Pil.
Ma perché il nostro Prodotto interno lordo e le nostre esportazioni non sono cresciuti ? Ancor una volta, per rispondere a questa domanda, bisogna esaminare il ruolo scorretto dei tedeschi a guida Merkel.
Proprio la Germania, che intima agli altri paesi di rispettare i parametri europei, ha mantenuto un ampio surplus di conto corrente durante tutta la crisi finanziaria dell’area euro, eccedendo la soglia [del 6%] ogni anno a partire dal 2007.
Addirittura nel 2012 il surplus nominale di conto corrente della Germania era maggiore di quello della Cina, ignorando ogni raccomandazione a ridurlo e a stimolare lo sviluppo della domanda interna, per contribuire a portare gli altri paesi fuori dalla crisi. Inaccettabile è che la critica a tale operato sia arrivata dal Governo Usa e da ambienti di ricerca e non dalla Commissione Europea, sempre pronta a bacchettare il nostro paese, dimostrando palesemente come queste procedure seguano una ingiustificata logica asimmetrica e totalmente arbitraria.
La Germania non ha fatto altro che sfruttare a danno di altri paesi gli enormi vantaggi avuti dalla moneta unica, una moneta troppo forte per i paesi come l’Italia, che hanno quindi perso competitività nei confronti della Germania, che invece ha giovato anche del regime di cambi fissi evitando che proprio il tasso di cambio riflettesse il suo ampio surplus considerato un freno per la ripresa dei paesi dell’Eurozona, che infatti, fronteggiano un corrispondente deficit commerciale.
Il palese piano di dominio dei paesi egemoni in Europa (Germania e Francia) con la complicità della nostra classe politica e dei nostri media, trova evidenza nel fatto che i maggiori acquirenti di aziende italiane, indebolite dalla recessione e dal credit crunch siano proprio le imprese tedesche e francesi, che al contrario di quelle tricolori nuotano nella liquidità per le ragioni che abbiamo ampiamente spiegato.
Come ha riportato il Financial Times, “sono ben 23 le Pmi italiane passate in mani tedesche nel 2013, dopo le 20 acquisizioni registrate nel 2012. E quasi sempre si tratta di gioiellini con conseguente perdita di posti di lavoro in Italia e l’addio definitivo a pezzi strategici della struttura industriale italiana. Con pesanti conseguenze, nel lungo termine, per il nostro Paese”. Come testimoniato da un articolo del Sole 24 Ore dal titolo“ così la Germania sta facendo incetta delle migliori pmi italiane a prezzi di saldo”.
La Bundesbank, tra l’altro, elude il divieto di acquisto di titoli di Stato sul mercato primario, come dimostrato da diversi economisti e spiegato nell’articolo dal titolo “ l’eccezione tedesca nel collocamento dei titoli di Stato”.
Per concludere possiamo dire che la realtà che i media ed i politici, espressione del Cartello finanziario, cercano di far passare è che la Germania sia virtuosa mentre noi siamo dei Piigs.
Ma la verità è che i nostri governanti, fino ad oggi, sono stati dei Piigs permettendo alla Germania, a nostre spese, di fingersi virtuosa.
La storia è finalmente cambiata.
Parte del testo è tratta dal libro/inchiesta “La Matrix Europea” di Francesco Amodeo:
https://www.ebay.it/itm/La-Matrix-Europea/382570075941?hash=item5912f41725:g:E5UAAOSw2JxbpRhN
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