mercoledì 31 ottobre 2018

DEFICIT E DEFICIENTI

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Una delle raccomandazioni più azzeccate che vi capiterà mai di ascoltare, in un buon corso di formazione, è la seguente: pensa al contrario! Pensare al contrario significa dare aria alle cellule cerebrali, scrutare il mondo a testa in giù, immaginarlo in modo innovativo, magari vedendolo sferico anziché piatto e cogitando di poterlo circumnavigare come riuscì a Colombo nel 1492. Traslando questi principii all’economia e alla finanza odierne, provate a farvi una domanda. E se – nel valutare il debito pubblico e il deficit – fossimo condizionati dalle parole ‘debito’ e ‘deficit’? Rifletteteci. È possibile. Dopotutto, in un pianeta in cui ti indebitano già nel grembo della madre e ti fanno implorare la rimessione dei debito con la prima preghiera diretta al padre, il debito è sinonimo di ‘colpa’, ‘peccato’, ‘espiazione’. Il deficit, poi parla da sé: dal latino deficere, cioè scarseggiare, il deficit è per definizione scarsità, carenza, penuria.
Applicati alle finanze di uno Stato, tali concetti suonano più o meno così: uno stato raccoglie le tasse e, se queste non bastano per coprire le spese, si indebita presso i mercati. Provate adesso a capovolgere il cannocchiale e guardatela così, vagheggiando uno Stato nel suo anno zero. Lo stato pompa risorse monetarie nel sistema con la spesa pubblica, per sanità, istruzione, infrastrutture e trasporti e assistenza e previdenza. Può farlo proprio perché è uno Stato e detiene la sovranità di imperio (insieme a un territorio e al popolo che lo abita).
Lo Stato metterà al passivo di bilancio tale ‘passivo’ che costituirà, però, un ‘attivo’ nelle tasche dei suoi cittadini; infatti, il denaro circola e arricchisce chi lavora. Ora supponiamo, per amor di discussione, che questo Stato Zero abbia immesso cento nell’anno uno, ma abbia poi recuperato cento, nell’anno due, sotto forma di tasse. Quanto sarà rimasto nei salvadanai degli abitanti? Risposta esatta: zero. Quindi, in quale modo lo Stato può consentire la formazione di quel risparmio che è tutelato come intangibile dall’articolo 47 della nostra Costituzione? Avete capito. In un solo modo: tassando meno di quanto immette. E sapete come si chiama questa differenza? Risparmio per i cittadini, ma ‘deficit’ per lo Stato. Vi fa ancora così schifo il deficit? E il debito pubblico che è poi la somma, anno dopo anno, dei deficit ‘pubblici’ accumulati da uno Stato? Vi ripugna? Esso è precisamente il contraltare del risparmio privato.
Come avrebbero fatto, altrimenti, gli italiani, nell’ultimo quarantennio, ad accumulare, contemporaneamente, un immenso debito pubblico (duemilatrecento miliardi di cui parlano tutti) e una stratosferica ricchezza privata (quattromilatrecento miliardi di cui non parla nessuno)? E allora perché hanno rotto la macchinetta, togliendoci la lira? E poi introducendo il pareggio di bilancio in Costituzione nel 2012? È un’ottima domanda. Andate a chiederlo a chi firmò la ratifica del relativo trattato. Vi parlerà della piaga del debito e del flagello del deficit: le due password del più diabolico programma di manipolazione psicologica di massa della storia. Forse una prima forma di autodifesa la dobbiamo approntare sul piano lessicale. Quelli che tutelano il popolo vengono chiamati sprezzantemente populisti. Che ne dite, allora, se i terroristi del deficit cominciamo a chiamarli – appropriatamente – deficienti?
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com

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