Una delle
raccomandazioni più azzeccate che vi capiterà mai di ascoltare, in un
buon corso di formazione, è la seguente: pensa al contrario! Pensare al
contrario significa dare aria alle cellule cerebrali, scrutare il mondo a
testa in giù, immaginarlo in modo innovativo, magari vedendolo sferico
anziché piatto e cogitando di poterlo circumnavigare come riuscì a
Colombo nel 1492. Traslando questi principii all’economia e alla finanza
odierne, provate a farvi una domanda. E se – nel valutare il debito
pubblico e il deficit – fossimo condizionati dalle parole ‘debito’ e
‘deficit’? Rifletteteci. È possibile. Dopotutto, in un pianeta in cui ti
indebitano già nel grembo della madre e ti fanno implorare la
rimessione dei debito con la prima preghiera diretta al padre, il debito
è sinonimo di ‘colpa’, ‘peccato’, ‘espiazione’. Il deficit, poi parla
da sé: dal latino deficere, cioè scarseggiare, il deficit è per
definizione scarsità, carenza, penuria.
Applicati alle finanze di uno
Stato, tali concetti suonano più o meno così: uno stato raccoglie le
tasse e, se queste non bastano per coprire le spese, si indebita presso i
mercati. Provate adesso a capovolgere il cannocchiale e guardatela
così, vagheggiando uno Stato nel suo anno zero. Lo stato pompa risorse
monetarie nel sistema con la spesa pubblica, per sanità, istruzione,
infrastrutture e trasporti e assistenza e previdenza. Può farlo proprio
perché è uno Stato e detiene la sovranità di imperio (insieme a un
territorio e al popolo che lo abita).
Lo
Stato metterà al passivo di bilancio tale ‘passivo’ che costituirà,
però, un ‘attivo’ nelle tasche dei suoi cittadini; infatti, il denaro
circola e arricchisce chi lavora. Ora supponiamo, per amor di
discussione, che questo Stato Zero abbia immesso cento nell’anno uno, ma
abbia poi recuperato cento, nell’anno due, sotto forma di tasse. Quanto
sarà rimasto nei salvadanai degli abitanti? Risposta esatta: zero.
Quindi, in quale modo lo Stato può consentire la formazione di quel
risparmio che è tutelato come intangibile dall’articolo 47 della nostra
Costituzione? Avete capito. In un solo modo: tassando meno di quanto
immette. E sapete come si chiama questa differenza? Risparmio per i
cittadini, ma ‘deficit’ per lo Stato. Vi fa ancora così schifo il
deficit? E il debito pubblico che è poi la somma, anno dopo anno, dei
deficit ‘pubblici’ accumulati da uno Stato? Vi ripugna? Esso è
precisamente il contraltare del risparmio privato.
Come
avrebbero fatto, altrimenti, gli italiani, nell’ultimo quarantennio, ad
accumulare, contemporaneamente, un immenso debito pubblico
(duemilatrecento miliardi di cui parlano tutti) e una stratosferica
ricchezza privata (quattromilatrecento miliardi di cui non parla
nessuno)? E allora perché hanno rotto la macchinetta, togliendoci la
lira? E poi introducendo il pareggio di bilancio in Costituzione nel
2012? È un’ottima domanda. Andate a chiederlo a chi firmò la ratifica
del relativo trattato. Vi parlerà della piaga del debito e del flagello
del deficit: le due password del più diabolico programma di
manipolazione psicologica di massa della storia. Forse una prima forma
di autodifesa la dobbiamo approntare sul piano lessicale. Quelli che
tutelano il popolo vengono chiamati sprezzantemente populisti. Che ne
dite, allora, se i terroristi del deficit cominciamo a chiamarli –
appropriatamente – deficienti?
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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