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A volte affermare l’ovvio per confutare l’assurdo non basta, così
occorre farsi scudo di personaggi illustri, la cui autorevolezza viene
universalmente riconosciuta. E’ quello che farò in questo sintetico
pezzo, citando l’economista Premio Nobel Joseph Stiglitz. In verità egli
non amerebbe prestare il fianco alla “causa sovranista”: il suo credo
democratico e progressista è così radicato che, di fronte alle assurdità
delle politiche di austerity sposate dalle Ue – da lui denunciate più
volte e senza mezzi termini – preferisce pensare che si tratti di un
metodo congegnato per decretare il fallimento delle sinistre e l’ascesa
dei partiti nazionalisti di destra nel Vecchio Continente. Dunque mi
limiterò a riportare alcune citazioni della sua opera massima sul tema
della moneta unica e del fallimento delle attuali politiche europee,
“L’euro, Come una moneta unica minaccia il futuro dell’Europa”
(Einaudi, 2017). La sua posizione è già chiara dalla prefazione:
«L’euro è una costruzione dell’uomo. I suoi contorni non sono il
risultato di leggi di natura ineluttabile. Gli accordi monetari europei
si possono rimodulare; se necessario, si potrà addirittura lasciar
perdere l’euro. In Europa come altrove, possiamo resettare la bussola, riscrivere le regole dell’economia del governo, arrivare a una prosperità maggiormente condivisa, con una democrazia più forte e una maggiore coesione sociale».
E ancora: «L’agenda economica neoliberista non è riuscita a
migliorare i tassi di crescita, ma una cosa è certa: è riuscita a far
aumentare la disuguaglianza. L’euro ci fornisce un case study
dettagliato di come si è arrivati a questo». Infatti: «Mentre numerosi sono i fattori che contribuiscono alle traversie dell’Europa,
l’errore alla base di tutto è uno solo: la creazione dell’euro come
moneta unica». Come se non bastasse: «Ma a volte la realtà ci trasmette
messaggi dolorosi: il sistema dell’euro non funziona e il prezzo da
pagare, se non vi si porrà rimedio, sarà altissimo». Sul tema delle
politiche neoliberiste messe in atto in Europa
e sulle sciagurate misure di austerity che hanno devastato la Grecia,
Stiglitz afferma categorico: «Il mondo ha pagato a caro prezzo la
devozione a questa sorta di religione neoliberista, e ora tocca all’Europa. Sempre e dovunque, nel mondo, il rigore ha avuto gli effetti controproducenti osservati in Europa:
quanto più severa è l’austerità tanto maggiore è la contrazione
economica. Resta un mistero capire perché la Troika abbia potuto pensare
che questa volta, in Europa, le cose sarebbero andate diversamente».
Postfazione. L’economista illustra tutte le aporie della costruzione
della moneta unica europea e come essa sia stata la causa del divario
crescente tra paesi “forti” e “deboli” al suo interno, nonché
dell’impossibilità di questi ultimi di uscire dalla crisi del 2008, tanto da affermare che «la crisi
dell’euro l’ha creata l’euro». La costituzione dell’Eurozona è basata
infatti sul credo neoliberista, una visione eccessivamente semplicistica
di come funziona l’economia,
che non prevede la flessibilità necessaria per rispondere al
modificarsi delle contingenze e non recepisce alcuna nuova acquisizione
della scienza economica. La fallimentarietà di tale teoria è comprovata:
si tratta dello stesso modello applicato dal Fondo monetario
internazionale nel Terzo mondo che, imponendo la riduzione dei deficit nazionali, ha trasformato la crisi in recessione e in depressione. Stiglitz definisce «feticismo del deficit» questa ossessione per l’austerità.
A seguito di una parte “destruens” che farebbe collassare in un colpo
solo i vari Monti, Fazio, Cottarelli e compagnia cantante, l’economista
propone le sue soluzioni. E qui forse storceranno un po’ il naso coloro
che erano rimasti finora incantati dalla sua lucida e perentoria
bocciatura di una zona monetaria unica che manca di tutti i requisiti
per essere non solo ottimale, ma anche sostenibile. Dopo aver suggerito
un programma per far funzionare l’Eurozona, Stiglitz prende atto di come
probabilmente non verrà attuato e, in alternativa, prospetta due
soluzioni: un divorzio consensuale o la creazione di un “euro
flessibile”. La prima strada sembra alquanto irrealistica in una Ue di
cui si è dimostrata tutta la rigida ostilità; la seconda appare un po’
troppo possibilista e non in linea con tutta la disamina precedente.
Insomma, il Premio Nobel ed ex consulente di Clinton rientra un po’ nei
ranghi istituzionali, e si mostra (o si finge in cuor suo) fiducioso che
una soluzione possa essere trovata. Rimane un’analisi di gran pregio,
ancor più se paragonata alla pochezza scientifica e alla scarsa
originalità delle nostre voci mainstream, incapaci di andare oltre
teorie superate e appurate come disastrose.
(Ilaria Bifarini, “Una sciagura chiamata euro”, dal blog della Bifarini del 18 ottobre 2018).
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giovedì 25 ottobre 2018
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