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Prima
l’intervento della magistratura, dopo quello del Viminale: a Riace
stanno provando a spazzare via un esperimento vincente di accoglienza,
che ha una storia ormai più che ventennale. Ma il caso di Mimmo Lucano
non si esaurisce all’interno del borgo calabrese. È un accenno di quanto
vedremo in futuro: apartheid e guerra civile, attacco senza quartiere a
chi si oppone e uso delle istituzioni contro la società.
Il modello Riace
Il “modello Riace” è stato per lungo tempo un esempio a cui la
legislazione italiana si è ispirata per regolare il sistema di
accoglienza nazionale, dalla cittadina della Locride è nata l’idea dello
Sprar: non più megacentri, ma ospitalità diffusa sul territorio. Per
tanti è stata una buona pratica da opporre alla gestione straordinaria
dell’immigrazione che tuttora è la cifra del sistema italiano. Il 70%
dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia è ospitato nei Cas (Centri
di Accoglienza Straordinaria) che nella stragrande maggioranza dei casi
significa grandi edifici, spesso fatiscenti, isolati dal territorio
circostante. Tali strutture di ospitalità sono nate all’improvviso
durante l’”emergenza Nord Africa” nel 2011 e, nonostante tutte le
critiche, rivestono ancora un ruolo centrale nel sistema di accoglienza.
I centri di emergenza generano per lo più disagi sia per le persone
ospitate sia per chi vive intorno. Da una parte i migranti vivono in
edifici sovraffollati senza la presenza dei servizi sociali necessari
per il loro inserimento in condizioni di estrema vulnerabilità,
dall’altra i residenti delle zone limitrofe percepiscono lo straniero
come un soggetto abbandonato a sé stesso, un pericolo per l’ordine
pubblico e una minaccia per la propria incolumità. È proprio in un
contesto del genere che si alimentano i pregiudizi e trovano legittimità
le pratiche razziste delle formazioni di estrema destra, che in tutto
il paese hanno cavalcato questi sentimenti per ottenere visibilità.
Ebbene, il ministro dell’Interno nel suo decreto legge ha scelto di
ridimensionare lo Sprar (vi potrà accedere solo chi è già titolare della
protezione internazionale) e di conseguenza di dare più spazio alla
gestione straordinaria. Questo per tre motivi principali. Primo, ha
bisogno di alimentare le paure degli italiani alla base del suo consenso
rafforzando il livello di esclusione e segregazione dei migranti.
Secondo, essendo la gestione dei Cas affidata alle prefetture, questo
consentirà un maggiore controllo del Ministero degli Interni che potrà
così intervenire direttamente per gestire i casi di conflitto e di
amministrazione quotidiana. Infine, il terzo punto è il cosiddetto
“business”, l’affidamento all’ente gestore dei centri Cas avviene per
chiamata diretta senza gara di appalto, per cui questo sistema si presta
più facilmente, come insegna Mafia Capitale, a collusioni con
l’imprenditoria criminale italiana.
Oltre l’accoglienza
L’idea di Lucano andava molto oltre la semplice accoglienza. Il suo
obiettivo non era solo fornire vitto e alloggio ai rifugiati e
richiedenti asilo ma dimostrare come dalle migrazioni si potesse far
rinascere un borgo abbandonato. Il futuro di una piccola comunità
passava attraverso l’invenzione e la sperimentazione di nuove forma di
convivenza. Non più paura e marginalità, ma un progetto condiviso. Non è
un caso, dunque, che l’attacco al modello si sia concentrato proprio
sulle sue dimensioni sociali, basta leggere il rapporto del Viminale con
il quale, in 21 pagine, si estromette Riace dalla rete Sprar revocando
il finanziamento per le attività di accoglienza. Come emerge
dall’intervista a Di Capua, direttrice del sistema centrale Sprar, il
vero problema sono i metodi di gestione attuati, in particolare l’uso di
una moneta parallela e il sostegno ai lungo soggiornanti. Tutte
soluzioni per cui, in realtà, bisognerebbe assegnare un premio alla
giunta e ai cittadini locali. Nel piccolo comune ionico, infatti, dal
2011 si era deciso di risolvere il problema della lunga attesa dei fondi
pubblici in maniera alternativa: stampando moneta. Il progetto
replicava ciò che tempo prima aveva fatto il Parco Nazionale
dell’Aspromonte per rilanciare l’economia locale e che nel caso di Riace
serviva soprattutto a due scopi: dare una continuità di spesa lungo
tutto l’arco dell’anno senza le interruzioni dovute all’attesa dei fondi
e garantire una ricaduta nell’economia locale. Le banconote con le
effigie di Che Guevara, infatti, erano accettate solo da alcuni
commercianti del posto e non dalle grandi catene di distribuzioni
vicine. L’accoglienza per i lungo soggiornanti, invece, era dettata da
uno spirito di umanità, spesso infatti molte persone una volta finito il
periodo di soggiorno sono costrette a lasciare il progetto. In
quest’ottica il prolungamento era un gesto di solidarietà per evitare
che la persona potesse interrompere il percorso iniziato e rimanere
all’improvviso senza nessuna soluzione alternativa.
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