lunedì 29 ottobre 2018

L’offensiva contro Riace e il contrattacco possibile


  DINAMOpress

Prima l’intervento della magistratura, dopo quello del Viminale: a Riace stanno provando a spazzare via un esperimento vincente di accoglienza, che ha una storia ormai più che ventennale. Ma il caso di Mimmo Lucano non si esaurisce all’interno del borgo calabrese. È un accenno di quanto vedremo in futuro: apartheid e guerra civile, attacco senza quartiere a chi si oppone e uso delle istituzioni contro la società.


Il modello Riace

Il “modello Riace” è stato per lungo tempo un esempio a cui la legislazione italiana si è ispirata per regolare il sistema di accoglienza nazionale, dalla cittadina della Locride è nata l’idea dello Sprar: non più megacentri, ma ospitalità diffusa sul territorio. Per tanti è stata una buona pratica da opporre alla gestione straordinaria dell’immigrazione che tuttora è la cifra del sistema italiano. Il 70% dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia è ospitato nei Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria) che nella stragrande maggioranza dei casi significa grandi edifici, spesso fatiscenti, isolati dal territorio circostante. Tali strutture di ospitalità sono nate all’improvviso durante l’”emergenza Nord Africa” nel 2011 e, nonostante tutte le critiche, rivestono ancora un ruolo centrale nel sistema di accoglienza. I centri di emergenza generano per lo più disagi sia per le persone ospitate sia per chi vive intorno. Da una parte i migranti vivono in edifici sovraffollati senza la presenza dei servizi sociali necessari per il loro inserimento in condizioni di estrema vulnerabilità, dall’altra i residenti delle zone limitrofe percepiscono lo straniero come un soggetto abbandonato a sé stesso, un pericolo per l’ordine pubblico e una minaccia per la propria incolumità. È proprio in un contesto del genere che si alimentano i pregiudizi e trovano legittimità le pratiche razziste delle formazioni di estrema destra, che in tutto il paese hanno cavalcato questi sentimenti per ottenere visibilità. Ebbene, il ministro dell’Interno nel suo decreto legge ha scelto di ridimensionare lo Sprar (vi potrà accedere solo chi è già titolare della protezione internazionale) e di conseguenza di dare più spazio alla gestione straordinaria. Questo per tre motivi principali. Primo, ha bisogno di alimentare le paure degli italiani alla base del suo consenso rafforzando il livello di esclusione e segregazione dei migranti. Secondo, essendo la gestione dei Cas affidata alle prefetture, questo consentirà un maggiore controllo del Ministero degli Interni che potrà così intervenire direttamente per gestire i casi di conflitto e di amministrazione quotidiana. Infine, il terzo punto è il cosiddetto “business”, l’affidamento all’ente gestore dei centri Cas avviene per chiamata diretta senza gara di appalto, per cui questo sistema si presta più facilmente, come insegna Mafia Capitale, a collusioni con l’imprenditoria criminale italiana.

Oltre l’accoglienza

L’idea di Lucano andava molto oltre la semplice accoglienza. Il suo obiettivo non era solo fornire vitto e alloggio ai rifugiati e richiedenti asilo ma dimostrare come dalle migrazioni si potesse far rinascere un borgo abbandonato. Il futuro di una piccola comunità passava attraverso l’invenzione e la sperimentazione di nuove forma di convivenza. Non più paura e marginalità, ma un progetto condiviso. Non è un caso, dunque, che l’attacco al modello si sia concentrato proprio sulle sue dimensioni sociali, basta leggere il rapporto del Viminale con il quale, in 21 pagine, si estromette Riace dalla rete Sprar revocando il finanziamento per le attività di accoglienza. Come emerge dall’intervista a Di Capua, direttrice del sistema centrale Sprar, il vero problema sono i metodi di gestione attuati, in particolare l’uso di una moneta parallela e il sostegno ai lungo soggiornanti. Tutte soluzioni per cui, in realtà, bisognerebbe assegnare un premio alla giunta e ai cittadini locali. Nel piccolo comune ionico, infatti, dal 2011 si era deciso di risolvere il problema della lunga attesa dei fondi pubblici in maniera alternativa: stampando moneta. Il progetto replicava ciò che tempo prima aveva fatto il Parco Nazionale dell’Aspromonte per rilanciare l’economia locale e che nel caso di Riace serviva soprattutto a due scopi: dare una continuità di spesa lungo tutto l’arco dell’anno senza le interruzioni dovute all’attesa dei fondi e garantire una ricaduta nell’economia locale. Le banconote con le effigie di Che Guevara, infatti, erano accettate solo da alcuni commercianti del posto e non dalle grandi catene di distribuzioni vicine. L’accoglienza per i lungo soggiornanti, invece, era dettata da uno spirito di umanità, spesso infatti molte persone una volta finito il periodo di soggiorno sono costrette a lasciare il progetto. In quest’ottica il prolungamento era un gesto di solidarietà per evitare che la persona potesse interrompere il percorso iniziato e rimanere all’improvviso senza nessuna soluzione alternativa.

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