Gentile dottor Mario Draghi,
le scrivo in occasione della sua visita al nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e, pur con il rispetto dovutole per aver salvato l’euro e l’Europa nel 2015 con il QE, mi permetto di porle alcune questioni sulla tenuta della politica economica europea.
Come certamente sa dal 2008, anno della crisi dei sub-prime, il rapporto Debito/PIL italiano è passato dal 102% circa al 131% circa attuale. Il reddito medio degli italiani è rimasto sostanzialmente inalterato ma l’indice di disuguaglianza del reddito è passato da 5,3 a 6,4; l’indice di povertà assoluta da 3,6 a 8,3; il tasso di mancata partecipazione al lavoro dal 11% al 17% per gli uomini e dal 21,6% al 24,5% delle donne; l’indice di criminalità predatoria da 18,9 a 24,1 e persino l’indice di abusivismo edilizio è passato da 9,4 a 19,4. Questo è quanto scrive l’ISTAT nella relazione annuale 2018.
A mio modo di vedere mi sembra che questi numeri mostrino due cose.
La prima è che le misure di contenimento, anzi di abbattimento del debito, messe in atto dai governi amici dell’Europa (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) hanno diminuito la sostenibilità del nostro debito giacché la capacità di produrre reddito è rimasta al palo e il debito è aumentato. Tradotto dopo anni di lacrime e sangue la sostenibilità del nostro debito è diminuita.
La seconda è che i sacrifici imposti al Paese con i tagli delle pensioni e della spesa sociale e con la precarizzazione della società (job act) hanno impoverito e distrutto gran parte del tessuto sociale del Paese invece di generare speranza e fiducia in una ripresa futura.
Ad esempio la riforma delle pensioni Fornero, realizzata al grido di “lo chiede l’Europa”, ha lasciato nella indifferenza totale dei cosiddetti liberali e liberisti centinaia di migliaia di persone, gli esodati, per anni senza stipendio e senza pensione (ancora oggi circa 6.000 persone si trovano in questa penosa condizione.
Centinaia di migliaia di giovani che aspettavano di prendere il posto nei processi produttivi di altrettanti over sessantenni in procinto di andare in pensione sono stati sospinti nel limbo della precarietà e inattività creando di fatto generazioni che lavorano ininterrottamente per 40 ore a settimana dai 15 ai 67 anni e intere generazioni di giovani che non entreranno mai nel mondo del lavoro.
D’altro canto le politiche della troika in Grecia hanno lasciato macerie alle proprie spalle e un Paese in ginocchio e non si sa in quanto tempo la Grecia potrà tornare a una vita dignitosa. Non è un caso che la fine del commissariamento greco sia stato annunciato senza nessuna enfasi e pubblicità.
Se mi consente una battuta di alleggerimento nella esposizione di questi tragici dati e fatti la politica economica europea mi pare simile a quella del contadino che dopo aver abituato a suon di legnate il proprio somaro a non mangiare e bere ne lamenta la prematura dipartita.
In termini più seri occorre che i cosiddetti euro burocrati prendano atto del fallimento delle politiche di austerità portate innanzi fino ad ora e considerino che se le politiche economiche e monetarie di un Paese non hanno sostenibilità sociale, come la Storia ci insegna, prima o poi c’è l’assalto al Palazzo d’Inverno, cosa che di sicuro avverrà se l’Europa, sull’altare di politiche economiche prive di senso giacché non raggiungono gli scopi dichiarati, spingerà al fallimento il governo Conte.
L’Europa per prima dovrebbe fare proprie le preoccupazioni dell’attuale governo ‘populista’ italiano sulla tenuta sociale del Paese.
Purtroppo i dati macro, citati in precedenza, nascondono al proprio interno una situazione ancora più grave.
Nel 2017 a fronte di una percentuale di occupati sulla popolazione in età da lavoro (15 – 64 anni) di quasi il 75 % in Germania e di una media OCSE del 70% in Italia gli occupati sono pari al 57%.
Analogamente drammatico è il divario infrastrutturale dell’Italia con la Germania e, al proprio interno, tra il Nord e il Sud.
Infatti solo il Nord Ovest con 34 Km di autostrade per 1000 km2 regge il confronto con la Germania che ne ha in media 35. La media italiana è invece di 23 km ogni 1000 km2, con 25 al nord Est, 20 al centro e 17 al Sud. L’Alta velocità ferroviaria è la più modesta in Europa. Ad oggi le tratte ferroviarie ad alta velocità ci sono tra Milano – Torino, Milano – Venezia, Milano – Genova e Milano – Salerno. La rete merci va completamente ammodernata soprattutto in direzione Nord – Sud.
Io temo che con questi dati strutturali dell’economia italiana in assenza di una rimodulazione delle politiche economiche europee e una loro forte spinta propositiva a fare investimenti, soprattutto al sud Italia, la storia della permanenza italiana all’interno della comunità europea diventerà sempre più travagliata.
Senza considerare che una politica mirata di investimenti infrastrutturali può mettere in moto aree di espansione economica interne alla Comunità europea contribuendo a riequilibrare gli eccessi produttivi di alcuni paesi alleggerendo gli attuali squilibri.
Inoltre la completa assenza di infrastrutture al Sud rende improbabile la possibilità di cogliere le opportunità offerte dallo sviluppo della Cina e dell’oriente e di inserire il Paese proficuamente nelle nuove ricche rotte commerciali.
Certamente lei potrà convenire con Briatore che al sud siamo tutti sfaticati e dire che i ristoranti sono pieni ma lei appare persona seria e credo che sia arrivato il momento di rivedere completamente e in ogni campo le politiche fondanti dell’Unione.
Occorre prendere finalmente atto che non i populisti, ma le ottuse e miopi pretese dei liberali europei stanno uccidendo l’Europa.
Se lei e i suoi colleghi euro burocrati pensate invece e nonostante ogni evidenza che l’Europa possa prosperare con il rigore economico, la scarsa visione e il cambio del nome alla benzina e al gasolio allora avanti tutta verso il baratro e che Dio ci aiuti.
Grazie per l’attenzione,
Pietro De Sarlo
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