A Prato della
Signora, verso i Prati Fiscali sotto i ponti dell’Aniene, si estende
un’enorme baraccopoli. Più in là, verso Val Melaina, mille persone
vivono nelle baracche di Prato Rotondo. Distese di lamiere e tavole di
legno rappresentano il rifugio per migliaia di persone lungo il fosso di
Sant’Agnese, a Prima Porta, al Mandrione, ai bordi dell’Ostiense, nella
Valle dell’Inferno, sotto gli archi dell’Acquedotto Felice.
Dal dopo guerra alla fine degli anni ’70 l’abitare di molti romani è stato questo. Grotte, baracche, tuguri disseminati su tutto il territorio.
Il numero esatto sfugge alle statistiche ufficiali. Si valuta che all’inizio degli anni ’60 circa 80 mila famiglie vivano in coabitazione o nei borghetti. Si stima che la necessità di un alloggio a prezzi calmierati interessi 400 mila persone. In quegli stessi anni si assiste al trionfo della speculazione selvaggia e alla crescita della città secondo la volontà dei proprietari immobiliari. Sempre allora, le masse dei senza casa diventano protagonisti delle lotte che rivendicano case e servizi.
Chi sono i 62 mila abitanti dei 57 baraccamenti censiti nel 1968 dal centro delle Consulte Popolari? In quei tuguri abitano non solo gli edili venuti a Roma in successive ondate migratorie per costruire le case nelle quali non possono abitare, ma anche operai delle poche industrie romane e dipendenti delle aziende pubbliche.
Nel luglio del 1969 vengono occupati 25 appartamenti al Tufello, poi altri 100. A partire da quell’ esperienza si forma il Comitato di Agitazione Borgata (Cab), un organismo composto da baraccati, donne, giovani, studenti, militanti di base del Partito Comunista Italiano e cattolici di sinistra. A San Basilio, Pietralata, Trullo, Montecucco si occupano le case vuote di proprietà dello IACP. Chi è in affitto in case di proprietari privati si autoriduce il canone. Nell’estate del ’69 sono 300 appartamenti pubblici, vuoti da anni, in piazza Celimontana ad essere occupati, come i 170 di proprietà delle Ferrovie dello Stato alla Garbatella, sempre sotto la spinta del Cab.
Altrettanto fa l’UNIA che in una sola notte occupa 560 alloggi in tre stabili di proprietà della società Vaticana dei Beni Stabili, dell’Immobiliare e delle Assicurazioni di Venezia. La lotta della casa è anche momento di lacerazione interna al PCI, diviso tra “difesa delle regole democratiche” e ascolto della sua base proletaria e dei suoi attivisti di base nei quartieri. Nella notte del 29 ottobre del 1971 10 mila persone, provenienti dai borghetti, sparsi nella periferia occupano 3.400 alloggi vuoti di proprietà di grandi società immobiliari. L’occupazione dura solo due giorni, ma dimostra l’enorme forza che aveva raggiunto il movimento di lotta per la casa. Il diritto alla casa viene rivendicato da tutti sempre più come diritto sociale irrinunciabile.
Con il sindaco Luigi Petroselli (1979-1981), attraverso un imponente piano di edilizia pubblica, si demoliscono tutte le baracche esistenti. Quelle famiglie si trasferiscono nei nuovi alloggi realizzati in applicazione della legge 167 del 1962. Il programma di investimenti per rilanciare il tema dell’edilizia sociale sovvenzionata e far ripartire la produzione edilizia, si rende necessario anche per far fronte alla crisi del settore dell’edilizia in quegli anni, che a Roma ha un notevole peso economico e occupazionale.
È l’ultima realizzazione di un vero programma di edilizia pubblica a Roma.
Si assiste a un gigantesco trasloco. Migliaia di famiglie dai borghetti caricano tutte le loro cose sui camion messi a disposizione del comune per raggiungere i nuovi quartieri di edilizia residenziale pubblica costruiti nell’ambito del Piano Isveur, realizzati dall’IACP o acquistati direttamente dal Comune. Il giorno stesso dell’abbandono le baracche vengono abbattute.
Vengono progettati e realizzati numerosi quartieri: Tor Bella Monaca, Corviale, Laurentino 38, Vigne Nuove, Serpentara. I risultati sono inferiori alle aspettative, a causa della mancata realizzazione degli spazi collettivi e della scarsa attenzione alla qualità costruttiva. Quelli che dovevano essere insediamenti ad alta densità abitativa inseriti nel verde e autosufficienti per funzioni commerciali e di servizio, si configurano come quartieri “dormitorio” mal collegati alla città, ma totalmente dipendenti da essa. E le aree intermedie continuano ad incrementare il loro valore, a beneficio dei proprietari privati e dell’espansione continua dell’abusivismo.
Nel 1984, alla naturale scadenza del I PEEP, il Comune di Roma, non avendo realizzato tutti gli alloggi previsti, procede alla redazione di un secondo strumento di programmazione, il II PEEP, profondamente diverso dal precedente nelle dimensioni e nei principi ispiratori.
Lo scopo è quello di fornire all’ente pubblico, gli strumenti concreti per programmare gli interventi nel settore della casa, e per incidere tramite questi, sull’assetto del territorio urbano, contrastando la speculazione fondiaria e indirizzando lo sviluppo edilizio con i piani di zona da realizzare su aree espropriate.
Nei Piani di Zona si realizza edilizia convenzionata, attraverso finanziamenti pubblici erogati dalla Regione Lazio e dal Comune. Una convenzione stipulata fra l’amministrazione e le cooperative stabilisce il prezzo di cessione che non deve superare i limiti di legge e fissa l’impegno da parte della cooperativa a realizzare tutti i servizi necessari a rendere abitabili le case.
I soggetti beneficiari dell’edilizia a canone calmierato sono soggetti a un vincolo di invendibilità per cinque anni dell’immobile e a un vincolo sul prezzo di vendita o sul canone per tutto il periodo della durata della convenzione.
A Roma sono stati realizzati tra il 1969 e il 1989, oltre 100 quartieri di edilizia agevolata.
L’amministrazione metteva a disposizione i terreni per realizzare le case e tutte le opere di urbanizzazione necessarie, strade, fognature, illuminazione pubblica, scuole, mercati, centri d’incontro. I “soggetti attuatori” per conto del Comune (le imprese o le cooperative che avevano risposto al relativo bando comunale), ricevevano dei contributi dalla Regione per calmierare i prezzi. E i prezzi di acquisto o di affitto venivano fissati secondo tabelle che tenevano conto dei costi di costruzione, del valore delle opere di urbanizzazione effettivamente realizzate, dei contributi regionali ricevuti. Fatto il calcolo, si sarebbe dovuto applicare per gli acquirenti o gli affittuari un favorevole “prezzo minimo di cessione”.
Le cose non sono andate così.
Gli obblighi di legge spesso non sono stati rispettati. In molti casi gli acquirenti hanno pagato prezzi anche del 30% superiori a quelli dovuti perché le cooperative non hanno mai fornito la documentazione obbligatoria con cui si sarebbero dovuto fare i calcoli finali. Le opere di urbanizzazione, quando realizzate, sono in genere molto inferiori a quanto stabilito e fatto credere agli acquirenti. In certi Piani di Zona non sono stati finiti neanche i servizi indispensabili, come l’illuminazione stradale. I criteri per l’assegnazione degli alloggi agli aventi diritto sono stati ignorati.
Nel piano di zona di Monte Stallonara iniziato nel 2003 vivono 700 dei 5 mila residenti previsti. Hanno versato centinaia di migliaia di euro per acquistare la casa, hanno contratto e iniziato a pagare mutui senza avere un alloggio agibile. Non c’è l’acqua potabile, l’allaccio alla fognatura, le strade di accesso e l’illuminazione pubblica.Dopo aver pagato una quota per entrare in cooperativa e acquistare l’abitazione sulla carta, sono ancora senza casa. L’intervento della magistratura a seguito di denunce presentate da ASIA-USB ha svelato la truffa.
Una grande truffa ai danni di decine di migliaia di cittadini e ai danni della città! È successo a Borghesiana, Longoni, Spinaceto 2…
La storia di Castel Giubileo dimostra come gli interessi delle società immobiliari abbiano completamente sovrastato le finalità dei Piani di Zona. Gli alloggi realizzati per essere affittati a canone calmierato sono passati da una società all’altra. Oggi sono dell’Immobiliare Castel Giubileo srl che le ha acquistate dalla Fondiaria spa di Salvatore Ligresti.
Costruite su terreni del Comune, a regolarne le modalità di locazione è la convenzione stipulata nel 1983. L’ammontare dell’affitto, dunque, dovrebbe essere controllato e approvato dagli uffici comunali preposti. Non è stato così. E oggi che i contratti di affitto sono in scadenza, centinaia di persone vedono il loro canone più che raddoppiato. Tutti a rischio sfratto.
Fin quando la sentenza della Corte di Cassazione stabilisce che il prezzo di queste abitazioni doveva restare “calmierato”. Il vincolo del prezzo massimo di cessione può essere rimosso solo versando al Comune la quota di affrancazione. Le conseguenze sono esplosive. Tutte le compravendite bloccate, rogiti fermi, secondi e terzi acquirenti che si ritrovano case pagate a prezzi di mercato valere meno della metà, uffici comunali bloccati da una montagna di richieste di affrancazione.
Chi ha pagato affitti molto più alti di quanto avrebbero dovuto per 20 anni ha chiesto il risarcimento ai proprietari dell’immobile. Il commissario Tronca nel 2016 ha introdotto la “sanatoria”, resa poi esecutiva dalla giunta Raggi. L’affrancazione costa da 15 ai 50 mila euro, cifra che talvolta è pari alla metà del valore vincolato dell’immobile.
La dismissione del patrimonio degli enti previdenziali ha trasformato una parte degli inquilini in proprietari, ma ha messo sulla strada tutti gli altri. Dal 2001 al 2012 a Roma sono state vendute agli inquilini 90 mila case a prezzi molto bassi. Poi la vendita degli alloggi è stata delegata a Fondi Immobiliari che per garantire la rendita finanziaria agli investitori hanno applicato, sia per l’acquisto che per l’affitto, i prezzi di mercato, troppo alti per poter essere sopportati da famiglie colpite dalla crisi.
E sono, come detto, quasi 10 mila le persone che vivono in case occupate (lasciate vuote o invendute). Si è costruito tanto. Si è consumato tanto suolo. Si continuano a costruire case destinate a non essere abitate. Almeno centomila nuclei familiari con redditi bassi e spesso senza reddito, anziani e giovani coppie, persone separate e single, immigrati, sono alla ricerca di un alloggio, una parte di questi soggetti, per avere un tetto sulla testa, sono stati spesso costretti ad occupare palazzi pubblici o privati abbandonati, oppure alloggi lasciati vuoti. Tremila persone vivono nei residence, per i quali l’amministrazione paga ai proprietari 29 milioni di euro l’anno. Ci sono 85 mila studenti fuori sede che si rivolgono al mercato nero dell’affitto, perché sono solo 2000 i posti letto garantiti dal contributo regionale.
Oggi la risposta che viene data alla totale assenza di una politica della casa, al mancato utilizzo dei fondi a disposizione (a cominciare dai fondi ex Gescal), alla città lasciata in mano alla finanza, alla svendita del patrimonio pubblico è la Circolare di Salvini, che vuole lo sgombero delle occupazioni, senza che sia garantita una soluzione per i tanti che finiranno in mezzo alla strada.
La lunga storia della lotta per la casa adesso deve affrontare nuove difficoltà, determinate da quanto previsto dal Decreto Legge Sicurezza (sic) che stabilisce pene esorbitanti per chi promuove e partecipa alle occupazioni, usando nelle relative indagini intercettazioni come se fossero pericolosi criminali.
La questione della casa non è mai stata un problema di ordine pubblico, ma la raffigurazione dell’ingiustizia sociale all’interno del fenomeno urbano.
Dal dopo guerra alla fine degli anni ’70 l’abitare di molti romani è stato questo. Grotte, baracche, tuguri disseminati su tutto il territorio.
Il numero esatto sfugge alle statistiche ufficiali. Si valuta che all’inizio degli anni ’60 circa 80 mila famiglie vivano in coabitazione o nei borghetti. Si stima che la necessità di un alloggio a prezzi calmierati interessi 400 mila persone. In quegli stessi anni si assiste al trionfo della speculazione selvaggia e alla crescita della città secondo la volontà dei proprietari immobiliari. Sempre allora, le masse dei senza casa diventano protagonisti delle lotte che rivendicano case e servizi.
Chi sono i 62 mila abitanti dei 57 baraccamenti censiti nel 1968 dal centro delle Consulte Popolari? In quei tuguri abitano non solo gli edili venuti a Roma in successive ondate migratorie per costruire le case nelle quali non possono abitare, ma anche operai delle poche industrie romane e dipendenti delle aziende pubbliche.
Sono loro i protagonisti delle occupazioni che si susseguono per tutti gli anni ’60 e ‘70. Sono sempre loro le vittime degli sgomberi eseguiti dalle forze di polizia in maniera brutale.
Nel luglio del 1969 vengono occupati 25 appartamenti al Tufello, poi altri 100. A partire da quell’ esperienza si forma il Comitato di Agitazione Borgata (Cab), un organismo composto da baraccati, donne, giovani, studenti, militanti di base del Partito Comunista Italiano e cattolici di sinistra. A San Basilio, Pietralata, Trullo, Montecucco si occupano le case vuote di proprietà dello IACP. Chi è in affitto in case di proprietari privati si autoriduce il canone. Nell’estate del ’69 sono 300 appartamenti pubblici, vuoti da anni, in piazza Celimontana ad essere occupati, come i 170 di proprietà delle Ferrovie dello Stato alla Garbatella, sempre sotto la spinta del Cab.
Altrettanto fa l’UNIA che in una sola notte occupa 560 alloggi in tre stabili di proprietà della società Vaticana dei Beni Stabili, dell’Immobiliare e delle Assicurazioni di Venezia. La lotta della casa è anche momento di lacerazione interna al PCI, diviso tra “difesa delle regole democratiche” e ascolto della sua base proletaria e dei suoi attivisti di base nei quartieri. Nella notte del 29 ottobre del 1971 10 mila persone, provenienti dai borghetti, sparsi nella periferia occupano 3.400 alloggi vuoti di proprietà di grandi società immobiliari. L’occupazione dura solo due giorni, ma dimostra l’enorme forza che aveva raggiunto il movimento di lotta per la casa. Il diritto alla casa viene rivendicato da tutti sempre più come diritto sociale irrinunciabile.
Il programma di Edilizia Pubblica alla fine degli anni ’70
Dove abitano i romani alla fine degli anni ’70? Nella città consolidata vivono 600.000 persone. Un milione nelle zone d’espansione saltate fuori a cavallo del piano del 1962. Solo 350.000 nell’edilizia pubblica, soprattutto nella zona est. La città abusiva accoglie 800.000 abitanti. Hanno la loro casa, ma non i necessari servizi.Con il sindaco Luigi Petroselli (1979-1981), attraverso un imponente piano di edilizia pubblica, si demoliscono tutte le baracche esistenti. Quelle famiglie si trasferiscono nei nuovi alloggi realizzati in applicazione della legge 167 del 1962. Il programma di investimenti per rilanciare il tema dell’edilizia sociale sovvenzionata e far ripartire la produzione edilizia, si rende necessario anche per far fronte alla crisi del settore dell’edilizia in quegli anni, che a Roma ha un notevole peso economico e occupazionale.
È l’ultima realizzazione di un vero programma di edilizia pubblica a Roma.
Si assiste a un gigantesco trasloco. Migliaia di famiglie dai borghetti caricano tutte le loro cose sui camion messi a disposizione del comune per raggiungere i nuovi quartieri di edilizia residenziale pubblica costruiti nell’ambito del Piano Isveur, realizzati dall’IACP o acquistati direttamente dal Comune. Il giorno stesso dell’abbandono le baracche vengono abbattute.
Nel 1981, con la distruzione dell’ultimo insediamento al borghetto Prenestino e la costruzione al suo posto di un parco, la battaglia contro le baracche è conclusa. Per la prima volta dopo un secolo, tetti di lamiera, pareti di cartone, pavimenti di terra non rappresentano più l’abitare di una larga parte di romani.
Vengono progettati e realizzati numerosi quartieri: Tor Bella Monaca, Corviale, Laurentino 38, Vigne Nuove, Serpentara. I risultati sono inferiori alle aspettative, a causa della mancata realizzazione degli spazi collettivi e della scarsa attenzione alla qualità costruttiva. Quelli che dovevano essere insediamenti ad alta densità abitativa inseriti nel verde e autosufficienti per funzioni commerciali e di servizio, si configurano come quartieri “dormitorio” mal collegati alla città, ma totalmente dipendenti da essa. E le aree intermedie continuano ad incrementare il loro valore, a beneficio dei proprietari privati e dell’espansione continua dell’abusivismo.
Nel 1984, alla naturale scadenza del I PEEP, il Comune di Roma, non avendo realizzato tutti gli alloggi previsti, procede alla redazione di un secondo strumento di programmazione, il II PEEP, profondamente diverso dal precedente nelle dimensioni e nei principi ispiratori.
Cosa sono i Piani di Edilizia Economica Popolare (PEEP)?
È la legge 167 del 1962 che introduce i Piani di Edilizia Economica Popolare (PEEP).Lo scopo è quello di fornire all’ente pubblico, gli strumenti concreti per programmare gli interventi nel settore della casa, e per incidere tramite questi, sull’assetto del territorio urbano, contrastando la speculazione fondiaria e indirizzando lo sviluppo edilizio con i piani di zona da realizzare su aree espropriate.
Per la prima volta l’esproprio può essere utilizzato non solo per i terreni destinati a servizi pubblici, ma anche per quelli destinati a residenza, e l’indennità di esproprio è inferiore al valore di mercato. Questo consente ai comuni di acquisire, a un costo relativamente contenuto, aree più centrali e di dotarle di tutti i servizi necessari.
Nei Piani di Zona si realizza edilizia convenzionata, attraverso finanziamenti pubblici erogati dalla Regione Lazio e dal Comune. Una convenzione stipulata fra l’amministrazione e le cooperative stabilisce il prezzo di cessione che non deve superare i limiti di legge e fissa l’impegno da parte della cooperativa a realizzare tutti i servizi necessari a rendere abitabili le case.
I soggetti beneficiari dell’edilizia a canone calmierato sono soggetti a un vincolo di invendibilità per cinque anni dell’immobile e a un vincolo sul prezzo di vendita o sul canone per tutto il periodo della durata della convenzione.
La truffa dei Piani di Zona
L’occasione appare subito da prendere al volo. Le imprese avranno terreni in concessione e finanziamenti pubblici per costruire case, che potranno vendere o affittare. La questione del prezzo vincolato si supererà in qualche modo…A Roma sono stati realizzati tra il 1969 e il 1989, oltre 100 quartieri di edilizia agevolata.
Un intervento nato per andare incontro alle tante famiglie con un reddito basso e, nel caso dell’edilizia agevolata, con un reddito medio insufficiente per trovare soluzioni abitative a prezzi di mercato, si è tramutato in un affare solo per gli operatori.
L’amministrazione metteva a disposizione i terreni per realizzare le case e tutte le opere di urbanizzazione necessarie, strade, fognature, illuminazione pubblica, scuole, mercati, centri d’incontro. I “soggetti attuatori” per conto del Comune (le imprese o le cooperative che avevano risposto al relativo bando comunale), ricevevano dei contributi dalla Regione per calmierare i prezzi. E i prezzi di acquisto o di affitto venivano fissati secondo tabelle che tenevano conto dei costi di costruzione, del valore delle opere di urbanizzazione effettivamente realizzate, dei contributi regionali ricevuti. Fatto il calcolo, si sarebbe dovuto applicare per gli acquirenti o gli affittuari un favorevole “prezzo minimo di cessione”.
Le cose non sono andate così.
Gli obblighi di legge spesso non sono stati rispettati. In molti casi gli acquirenti hanno pagato prezzi anche del 30% superiori a quelli dovuti perché le cooperative non hanno mai fornito la documentazione obbligatoria con cui si sarebbero dovuto fare i calcoli finali. Le opere di urbanizzazione, quando realizzate, sono in genere molto inferiori a quanto stabilito e fatto credere agli acquirenti. In certi Piani di Zona non sono stati finiti neanche i servizi indispensabili, come l’illuminazione stradale. I criteri per l’assegnazione degli alloggi agli aventi diritto sono stati ignorati.
Nel piano di zona di Monte Stallonara iniziato nel 2003 vivono 700 dei 5 mila residenti previsti. Hanno versato centinaia di migliaia di euro per acquistare la casa, hanno contratto e iniziato a pagare mutui senza avere un alloggio agibile. Non c’è l’acqua potabile, l’allaccio alla fognatura, le strade di accesso e l’illuminazione pubblica.Dopo aver pagato una quota per entrare in cooperativa e acquistare l’abitazione sulla carta, sono ancora senza casa. L’intervento della magistratura a seguito di denunce presentate da ASIA-USB ha svelato la truffa.
Prezzi gonfiati, attraverso il trucco delle migliorie e omettendo di scomputare dal prezzo di vendita i contributi pubblici incassati. Fondi pubblici scomparsi. Componenti dei consigli di amministrazione delle cooperative e società indagati per truffa, insieme a dipendenti di Roma Capitale che avrebbero dovuto controllare.
Una grande truffa ai danni di decine di migliaia di cittadini e ai danni della città! È successo a Borghesiana, Longoni, Spinaceto 2…
La storia di Castel Giubileo dimostra come gli interessi delle società immobiliari abbiano completamente sovrastato le finalità dei Piani di Zona. Gli alloggi realizzati per essere affittati a canone calmierato sono passati da una società all’altra. Oggi sono dell’Immobiliare Castel Giubileo srl che le ha acquistate dalla Fondiaria spa di Salvatore Ligresti.
Costruite su terreni del Comune, a regolarne le modalità di locazione è la convenzione stipulata nel 1983. L’ammontare dell’affitto, dunque, dovrebbe essere controllato e approvato dagli uffici comunali preposti. Non è stato così. E oggi che i contratti di affitto sono in scadenza, centinaia di persone vedono il loro canone più che raddoppiato. Tutti a rischio sfratto.
Case costruite per alimentare il mercato dell’edilizia agevolata e dare una risposta a chi non era in condizione di accedere al libero mercato sono andate a finire proprio nel libero mercato. Le banche erogavano i mutui, i notai firmavano gli atti, il Comune firmava il nulla osta.
Fin quando la sentenza della Corte di Cassazione stabilisce che il prezzo di queste abitazioni doveva restare “calmierato”. Il vincolo del prezzo massimo di cessione può essere rimosso solo versando al Comune la quota di affrancazione. Le conseguenze sono esplosive. Tutte le compravendite bloccate, rogiti fermi, secondi e terzi acquirenti che si ritrovano case pagate a prezzi di mercato valere meno della metà, uffici comunali bloccati da una montagna di richieste di affrancazione.
Chi ha pagato affitti molto più alti di quanto avrebbero dovuto per 20 anni ha chiesto il risarcimento ai proprietari dell’immobile. Il commissario Tronca nel 2016 ha introdotto la “sanatoria”, resa poi esecutiva dalla giunta Raggi. L’affrancazione costa da 15 ai 50 mila euro, cifra che talvolta è pari alla metà del valore vincolato dell’immobile.
A lungo si è parlato dell’Italia come di un paese di “proprietari di casa”. È ancora così?
In effetti dagli anni ’50, quando era proprietario della casa in cui abitava il 40% degli italiani, si è passati a circa l’80% attuale, mentre la media europea è intorno al 64%. Molti, però, di coloro che avevano contratto un mutuo non sono stati in grado di pagarlo, per la maggiore disoccupazione e precarietà del lavoro. Chi si è rivolto al mercato dell’affitto non è stato in grado di pagare gli alti canoni richiesti.La dismissione del patrimonio degli enti previdenziali ha trasformato una parte degli inquilini in proprietari, ma ha messo sulla strada tutti gli altri. Dal 2001 al 2012 a Roma sono state vendute agli inquilini 90 mila case a prezzi molto bassi. Poi la vendita degli alloggi è stata delegata a Fondi Immobiliari che per garantire la rendita finanziaria agli investitori hanno applicato, sia per l’acquisto che per l’affitto, i prezzi di mercato, troppo alti per poter essere sopportati da famiglie colpite dalla crisi.
E sono, come detto, quasi 10 mila le persone che vivono in case occupate (lasciate vuote o invendute). Si è costruito tanto. Si è consumato tanto suolo. Si continuano a costruire case destinate a non essere abitate. Almeno centomila nuclei familiari con redditi bassi e spesso senza reddito, anziani e giovani coppie, persone separate e single, immigrati, sono alla ricerca di un alloggio, una parte di questi soggetti, per avere un tetto sulla testa, sono stati spesso costretti ad occupare palazzi pubblici o privati abbandonati, oppure alloggi lasciati vuoti. Tremila persone vivono nei residence, per i quali l’amministrazione paga ai proprietari 29 milioni di euro l’anno. Ci sono 85 mila studenti fuori sede che si rivolgono al mercato nero dell’affitto, perché sono solo 2000 i posti letto garantiti dal contributo regionale.
Oggi la risposta che viene data alla totale assenza di una politica della casa, al mancato utilizzo dei fondi a disposizione (a cominciare dai fondi ex Gescal), alla città lasciata in mano alla finanza, alla svendita del patrimonio pubblico è la Circolare di Salvini, che vuole lo sgombero delle occupazioni, senza che sia garantita una soluzione per i tanti che finiranno in mezzo alla strada.
La lunga storia della lotta per la casa adesso deve affrontare nuove difficoltà, determinate da quanto previsto dal Decreto Legge Sicurezza (sic) che stabilisce pene esorbitanti per chi promuove e partecipa alle occupazioni, usando nelle relative indagini intercettazioni come se fossero pericolosi criminali.
La questione della casa non è mai stata un problema di ordine pubblico, ma la raffigurazione dell’ingiustizia sociale all’interno del fenomeno urbano.
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