Sabato
6 ottobre sarà una giornata importante. A Riace si manifesterà per
Mimmo Lucano, per difendere una straordinaria esperienza di
accoglienza e perché non si arresta la solidarietà. Contemporaneamente a
Roma manifesteranno per la cultura le tanti e i tanti che la cultura la
fanno, tra ostacoli, sfruttamento, precarietà indegni. A queste
manifestazioni, e a tante altre iniziative in tutto il paese,
parteciperanno con tutto il loro entusiasmo le ed i militanti di Potere
al Popolo. Che nello stesso giorno avvierà anche la consultazione
online, che si concluderà il 9 ottobre, per decidere il proprio statuto.
Potere al Popolo è così sin dal proprio inizio, la sua ragione fondamentale è fare e lottare; e quando affronta le discussioni interne inevitabili in ogni organizzazione, lo fa senza fermare un attimo la propria attività. È per questo che, nonostante i facili cattivi presagi derivanti dalle passate esperienze, Potere al Popolo non si è disfatto come neve al sole dopo il risultato elettorale non soddisfacente, ma anzi ha continuato a crescere e ad organizzarsi ovunque.
Potere al Popolo sin dall’inizio non è stato una semplice lista elettorale, né tantomeno la pura aggregazione di organizzazioni della sinistra radicale, ma un movimento che interpretava una domanda vera e profonda. Quella di una organizzazione in grado di dare voce alla lotta sociale e politica contro le ingiustizie e le sopraffazioni crescenti e sempre più devastanti del sistema. Una organizzazione che nascesse dalle esperienze e dai valori della sinistra sociale anticapitalista, ma che rifiutasse categoricamente di collocarsi nel campo della sinistra reale ed istituzionale. Quella che ha scelto il mercato ed il profitto e che é moralmente e politicamente responsabile dell’ascesa della destra nel paese.
Fin dal suo inizio Potere al Popolo si è posta la necessità di essere non tanto un movimento “nuovo” – la parola è ampiamente squalificata – ma diverso.
Se oggi in Italia la parola “sinistra” è inutilizzabile per chi voglia lottare contro il potere economico e finanziario, perché una parte rilevante della popolazione identifica proprio la sinistra con quel potere, allora è necessaria una rottura di fondo. Bisogna rompere con la storia e e le esperienze di ciò che da decenni viene chiamato “centrosinistra”. Quella storia é finita ed ha prodotto il governo legastellato ed il suo vasto consenso popolare. Un consenso che si alimenta prima di tutto con il fatto che l’alternativa ufficiale ad esso sarebbero, da un lato, il mondo residuo del PD e dall’altro i resti del berlusconismo, oggi addirittura unificati dalla comune difesa dell’austerità UE.
Lo scivolamento di tante persone verso il dominio reazionario del neofascismo xenofobo di Salvini, il soggiogamento ad esso dei leader dei cinque stelle, si consolidano ogni volta il governo attuale si trova di fronte Renzi, Berlusconi, i burocrati UE.
Per questo Potere al Popolo non può collocarsi in nessun fantomatico “quarto polo”, infelice espressione politicista che già in partenza assegna a PaP un ruolo marginale. No, c’è bisogno di una alternativa politica generale alle due destre che oggi dominano la vita politica del paese, quella reazionaria e quella liberale, entrambe liberiste. Potere al Popolo o accetta la sfida di costruire questa alternativa, o non serve a nulla.
Ci sono in Italia tante e diffuse lotte contro la distruzione dei diritti sociali e del lavoro, contro la privatizzazione dei beni comuni e la devastazione ambientale delle Grandi opere, contro il patriarcato, il razzismo, lo sfruttamento delle persone e della natura. Chi fa queste lotte spesso si considera oramai estraneo al confronto politico ufficiale e quando decide di votare spesso adotta il comportamento del cosiddetto “voto utile”. Prima verso il PD ed il centro sinistra, ora verso i Cinque Stelle.
Così le istanze sociali e politiche di vero cambiamento da tempo sono estromesse dalla rappresentanza politica; e il palazzo si sposta sempre più a destra in tutte le sue componenti. Quando qualche militante di Potere al Popolo compare in una trasmissione televisiva, la prima cosa che appare è la sua completa estraneità rispetto a tutti gli altri. Perché la politica ed i mass media hanno espulso il conflitto e l’alternativa al sistema dominante. Dai reazionari ai finti progressisti, nei palazzi della politica e dell’informazione, tutti sono per questo capitalismo, che considerano incontestabile e rispetto al quale litigano solo su quale sia la ricetta migliore per rendere il paese e le persone più competitivi ed efficienti. È la miseria di ciò che oggi si autodefinisce “riformismo”.
La priorità della lotta contro “l’avidità del capitalismo”, usando le parole di Corbyn, è vissuta con estraneità ed ostilità dal 99% del Parlamento italiano. Il nostro è oggi il paese politicamente più arretrato di Europa nella critica al capitalismo e nella legittimità di una alternativa socialista ad esso.
Potere al Popolo serve se ribalta il tavolo imbandito dalla politica ufficiale e se ridà voce a tutto ciò che essa, per responsabilità principale di una sinistra venuta meno al suo ruolo, ha respinto e rifiutato.
La discussione sullo Statuto si svolge e si intreccia su questa base politica. Le persone e le organizzazioni che hanno dato vita a Potere al Popolo si stanno misurando sul difficile compito di dare regole e forma ad un movimento politico che o è ambizioso, e rifiuta le passate esperienze di assemblaggio di ceto politico, o non ha futuro.
Si deve scegliere tra due diverse ipotesi di Statuto ed è bene smentire subito alcune forzature emerse nella discussione.
Non è vero che da un lato c’è chi voglia PaP come “partito” e dall’altro chi lo voglia “movimento”. Entrambe le proposte di statuto delineano una organizzazione politica solida e strutturata. Semmai la proposta numero due, con la sua organizzazione piramidale per delegati ai vari livelli, con il ruolo di fondo affidato al coordinamento nazionale, somiglia di più a ciò che definisce un “partito”, mentre quella numero 1, con il potere decisionale degli iscritti a tutti i livelli e per tutti gli incarichi, somiglia di più a quella di un movimento.
In secondo luogo non è vero che da un lato ci siano i fanatici della rete e dall’altro quelli della democrazia delle persone in carne ed ossa. Tutte e due le proposte assegnano un ruolo rilevante alla piattaforma e alla partecipazione on line, senza che questo sostituisca la discussione, la partecipazione e la militanza di persona; e la centralità delle Case del Popolo come prima sede di esse. Anche la stessa proposta di votare online lo statuto è frutto di una decisione comune, presa nel campeggio di Grosseto, su proposta di un compagno di Rifondazione Comunista, alla quale si era opposto solo un compagno di Sinistra Anticapitalista.
Infine non è vero che da un lato ci siano i sostenitori a tutti costi del voto su due statuti, che hanno impedito di votare su un testo unico.
È bene sapere che la proposta1 di statuto ha raccolto molte indicazioni ed emendamenti dei territori e anche dei sostenitori della proposta 2. In particolare di fronte alla questione che sembrava dirimente – quale maggioranza serve per decidere, se quella semplice o quella dei due terzi – si è cambiato il testo iniziale. Ora la proposta 1 afferma che per le decisioni rilevanti (elezioni e simili) si decide in prima istanza con la maggioranza dei due terzi e, se questa non viene raggiunta, dopo una pausa di dieci giorni, con una nuova votazione che decide a maggioranza semplice. È un cambiamento rilevante per garantire il massimo consenso alle decisioni, evitando però di giungere alla pura impossibilità di decidere, che distruggerebbe qualsiasi organizzazione, in particolare se appena costituita.
Di fronte a questo e ad altri cambiamenti del testo iniziale, i sostenitori della proposta 2 avrebbero potuto accettare l’invito rivoltogli nell’ultimo coordinamento, ossia di usare quel testo come base e di presentare ad esso i loro emendamenti. Così funziona ogni assemblea democratica: c’è un testo che ha maggiore consenso e su quello si presentano gli emendamenti, oppure si presenta un testo alternativo. Dalle firme raccolte, i sostenitori nel coordinamento nazionale della proposta 1 sono 29, quelli della proposta 2 sono 10. Ma l’invito ad usare come base il testo sostenuto da più dei due terzi del coordinamento è stata rifiutato dai sostenitori della proposta 2. Che invece hanno chiesto di programmare due votazioni degli scritti, ovviamente a distanza l’una dall’altra, una su come votare e l’altra su cosa votare. Poi hanno specificato come essi per statuto unico intendessero il voto per punti tra due proposte scomposte in blocchi, in modo che ogni iscritto fossero libero di comporre un proprio statuto, prendendo un pezzo dall’uno e uno dall’altro.
Francamente non pare sensato che una consultazione online – già difficile perché è la prima in Italia con scelta tra alternative alla pari e che nulla ha a che vedere con i plebisciti cinquestelle – possa complicarsi fino alle modalità e ai tempi indicati dai sostenitori della proposta 2. D’altra parte il testo che i sostenitori della proposta 2 hanno poi presentato alla consultazione è stato anch’esso modificato e presenta ora diverse coincidenze con il testo 1.
Allora perché rifiutare di fare emendamenti su di esso, mantenere il proprio documento e proporre modalità di voto di così difficile attuazione in tempi brevi, che il coordinamento nazionale non avrebbe potuto che respingere?
No, né sul piano dei propositi, né su quello dei fatti è sostenibile che ci sia una maggioranza del coordinamento che voglia la rottura interna a tutti i costi.
Allora le differenze sono inventate? No, sfrondate da tutte le inutili polemiche su chi voglia più bene a PaP, le differenze ci sono ed è giusto che gli iscritti le abbiano di fronte. Esse sono essenzialmente tre.
Il richiamo ai partiti che hanno concorso a formare la lista elettorale di PaP, fortemente voluto dalla proposta 2. Il primo testo non lo ritiene utile, in quanto la facoltà della doppia adesione già riconosce ad ogni iscritto il diritto di continuare a militare in un partito. Aggiungere le parole di richiamo ai partiti con cui fu varata la lista elettorale, significherebbe riconoscere una sorta di primogenitura permanente, sul futuro di PaP, alle forze che hanno contribuito a fondarlo. Invece bisogna costruire Potere al Popolo, aperto e inclusivo, come si suol dire, ma Potere al Popolo.
In secondo luogo, per la proposta 1 l’Assemblea nazionale è la sede dove si riuniscono e decidono, fisicamente o online, tutte le iscritte e tutti gli iscritti, senza delegare ad altri le decisioni. La proposta 2 invece propone una assemblea composta per delegati, come nei congressi delle organizzazioni tradizionali.
Infine per la proposta 1 tutte le decisioni e tutti gli incarichi, da quelli locali ai portavoce nazionali, sono decisi e revocabili direttamente dagli iscritti. Per la proposta 2 invece sono i coordinamenti, in primo luogo quello nazionale, che assumono un ruolo decisionale centrale.
Naturalmente tra i due documenti ci sono anche altre differenze, ma queste per me sono quelle fondamentali ed é per queste che io ho scelto di sostenere la proposta 1. Ci saranno certamente regole da aggiustare con l’esperienza, e lo stesso documento 1 lo annuncia tra un anno, ma il modello di organizzazione fondato sul potere diretto degli iscritti è il più coerente con la necessità di fare di PaP un soggetto politico diverso, in grado di affrontare con il massimo di partecipazione le durissime lotte che ci attendono.
La consultazione non va drammatizzata, ma valorizzata. Per la prima volta le e gli aderenti ad un movimento hanno l’ultima parola sulle regole con cui organizzarsi, dovrebbe essere una scelta da esaltare, non da compiangere con paure.
9500 persone hanno aderito a Potere al Popolo in questi giorni e sarebbero state molte di più, se non si fossero sospese temporaneamente le iscrizioni per permettere il voto. È un piccolo miracolo della partecipazione, che vale più di qualsiasi altra cosa. Per questo se le e gli aderenti dovessero scegliere una proposta di statuto diversa da quella che mi sembra più giusta mi dispiacerebbe molto, ma comunque farei mia la loro decisione, perché questo è e sarà comunque Potere al Popolo.
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