Il
debito di Roma continua a essere considerato oggettivo e insindacabile.
Il Comune ha entrate insufficienti a coprire le spese per i servizi.
Non è possibile nessun buongoverno senza mettere in discussione
l’esistente: dal debito alla fiscalità locale, dalla gestione del
patrimonio alla riappropriazione dei beni comuni e dei servizi pubblici.
E così anche la Giunta
Raggi, che aveva fatto dell’efficienza la propria cartina di tornasole,
sperimenta l’impasse nel governo della città: il bilancio consolidato di
Roma Capitale non è stato approvato entro la data prevista per legge
-30 settembre- determinando il blocco, per il Comune e per tutte le
società controllate, di tutte le spese per assunzioni, consulenze e
personale fino al via libera del documento contabile.
Che cosa è successo? Il fatto è che senza l’approvazione del bilancio di AMA Spa (la società dei rifiuti), anche il bilancio del Comune non può essere approvato. E il bilancio di Ama è divenuto oggetto di contenzioso tra l’azienda e il Comune che la controlla per via di 18 milioni vantati da Ama per servizi cimiteriali e non riconosciuti dal Comune. Nel frattempo, Ama si è trattenuta la quota della prima tranche della Tari, non versandola nelle casse comunali.
Senza quei 18 milioni il bilancio di Ama andrebbe in passivo, da qui lo stallo.
Non è la prima volta, né il primo contenzioso: sempre 18 milioni, questa volta relativi a incassi per i parcheggi, dividono le valutazioni del Comune, che ne chiede il versamento, da quelle di Atac Spa (la società dei trasporti), che lo nega.
Sembrano contenziosi secondari, ma rappresentano la miglior cartina di tornasole dell’alienazione della funzione pubblica e sociale a cui il sistema della società per azioni ha ridotto gli enti locali: l’unico azionista di Ama e Atac è il Comune di Roma, che si ritrova quindi ad avere contenziosi e conflitti con se stesso. E a provocarsi la relativa paralisi.
Il gatto si morde la coda e non sa che la coda è sua. Ma, volendo approfondire, la vicenda di cui sopra apre altri due nodi, senza affrontare i quali il circolo vizioso è destinato a protrarsi all’infinito.
Il primo è il nodo del debito. Il debito del Comune – quello storico, oggetto di commissariamento, e quello ordinario – e il debito delle sue controllate.
A questo proposito, l’avventura amministrativa della Sindaca Raggi si era aperta con le migliori intenzioni: nel programma elettorale era inserito l’avvio di una commissione d’indagine (audit) pubblica e indipendente per socializzare la conoscenza della situazione finanziaria e per mettere in discussione la legittimità del debito pregresso e attuale.
Vi è un secondo nodo sostanziale: il sottofinanziamento di Roma Capitale e delle sue partecipate. Come ha evidenziato l’audit sul debito promossa dal basso da Decide Roma, il Comune ha strutturalmente entrate insufficienti a coprire le spese per i servizi, ed è dunque inevitabile che produca o debiti o deficit di servizi.
Negli ultimi 15 anni, ad esempio, le entrate pro-capite del Comune di Roma sono state stabilmente più basse del 15% di quelle del comune di Milano, nonostante la diversa organizzazione fisica della città renda Roma una città strutturalmente più costosa.
Tutto ciò non vale solo per il Comune: se prendiamo i dati sul trasporto pubblico locale, la spesa media di Roma negli ultimi 5 anni è stata di 260 euro/residente contro i 580 euro di Milano.
Da questo punto di vista, il prossimo referendum dell’11 novembre contro la privatizzazione di Atac può essere l’occasione per invertire la rotta, non solo opponendosi a chi vorrebbe completare l’opera regalando i servizi ai privati, ma costruendo dal basso un altro modello di città.
Che cosa è successo? Il fatto è che senza l’approvazione del bilancio di AMA Spa (la società dei rifiuti), anche il bilancio del Comune non può essere approvato. E il bilancio di Ama è divenuto oggetto di contenzioso tra l’azienda e il Comune che la controlla per via di 18 milioni vantati da Ama per servizi cimiteriali e non riconosciuti dal Comune. Nel frattempo, Ama si è trattenuta la quota della prima tranche della Tari, non versandola nelle casse comunali.
Senza quei 18 milioni il bilancio di Ama andrebbe in passivo, da qui lo stallo.
Non è la prima volta, né il primo contenzioso: sempre 18 milioni, questa volta relativi a incassi per i parcheggi, dividono le valutazioni del Comune, che ne chiede il versamento, da quelle di Atac Spa (la società dei trasporti), che lo nega.
Il paradosso è che tanto Ama Spa quanto Atac Spa sono interamente controllate da Roma Capitale e che nei rispettivi bilanci i crediti e i debiti reciproci occupano una posizione rilevante.
Sembrano contenziosi secondari, ma rappresentano la miglior cartina di tornasole dell’alienazione della funzione pubblica e sociale a cui il sistema della società per azioni ha ridotto gli enti locali: l’unico azionista di Ama e Atac è il Comune di Roma, che si ritrova quindi ad avere contenziosi e conflitti con se stesso. E a provocarsi la relativa paralisi.
Il gatto si morde la coda e non sa che la coda è sua. Ma, volendo approfondire, la vicenda di cui sopra apre altri due nodi, senza affrontare i quali il circolo vizioso è destinato a protrarsi all’infinito.
Il primo è il nodo del debito. Il debito del Comune – quello storico, oggetto di commissariamento, e quello ordinario – e il debito delle sue controllate.
A questo proposito, l’avventura amministrativa della Sindaca Raggi si era aperta con le migliori intenzioni: nel programma elettorale era inserito l’avvio di una commissione d’indagine (audit) pubblica e indipendente per socializzare la conoscenza della situazione finanziaria e per mettere in discussione la legittimità del debito pregresso e attuale.
Nulla di tutto questo è avvenuto e il debito, nei fatti, è stato considerato oggettivo e insindacabile. Il risultato di questa subalternità è più che evidente: se la coperta è corta e nessuno ne rivendica una più lunga, la guerra interna tra gli assessorati dentro Roma Capitale e fra il Comune e le sue società partecipate non può che perdurare senza soluzione di continuità.
Vi è un secondo nodo sostanziale: il sottofinanziamento di Roma Capitale e delle sue partecipate. Come ha evidenziato l’audit sul debito promossa dal basso da Decide Roma, il Comune ha strutturalmente entrate insufficienti a coprire le spese per i servizi, ed è dunque inevitabile che produca o debiti o deficit di servizi.
Negli ultimi 15 anni, ad esempio, le entrate pro-capite del Comune di Roma sono state stabilmente più basse del 15% di quelle del comune di Milano, nonostante la diversa organizzazione fisica della città renda Roma una città strutturalmente più costosa.
Tutto ciò non vale solo per il Comune: se prendiamo i dati sul trasporto pubblico locale, la spesa media di Roma negli ultimi 5 anni è stata di 260 euro/residente contro i 580 euro di Milano.
La conclusione è lapalissiana: non è possibile nessun buongoverno senza mettere in discussione l’esistente: dal debito alla fiscalità locale, dalla gestione del patrimonio alla riappropriazione dei beni comuni e dei servizi pubblici.
Da questo punto di vista, il prossimo referendum dell’11 novembre contro la privatizzazione di Atac può essere l’occasione per invertire la rotta, non solo opponendosi a chi vorrebbe completare l’opera regalando i servizi ai privati, ma costruendo dal basso un altro modello di città.
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