martedì 2 ottobre 2018

Bilancio consolidato di Roma Capitale: il gatto che si morde la coda

Il debito di Roma continua a essere considerato oggettivo e insindacabile. Il Comune ha entrate insufficienti a coprire le spese per i servizi. Non è possibile nessun buongoverno senza mettere in discussione l’esistente: dal debito alla fiscalità locale, dalla gestione del patrimonio alla riappropriazione dei beni comuni e dei servizi pubblici.

E così anche la Giunta Raggi, che aveva fatto dell’efficienza la propria cartina di tornasole, sperimenta l’impasse nel governo della città: il bilancio consolidato di Roma Capitale non è stato approvato entro la data prevista per legge -30 settembre- determinando il blocco, per il Comune e per tutte le società controllate, di tutte le spese per assunzioni, consulenze e personale fino al via libera del documento contabile.
Che cosa è successo? Il fatto è che senza l’approvazione del bilancio di AMA Spa (la società dei rifiuti), anche il bilancio del Comune non può essere approvato. E il bilancio di Ama è divenuto oggetto di contenzioso tra l’azienda e il Comune che la controlla per via di 18 milioni vantati da Ama per servizi cimiteriali e non riconosciuti dal Comune. Nel frattempo, Ama si è trattenuta la quota della prima tranche della Tari, non versandola nelle casse comunali.
Senza quei 18 milioni il bilancio di Ama andrebbe in passivo, da qui lo stallo.
Non è la prima volta, né il primo contenzioso: sempre 18 milioni, questa volta relativi a incassi per i parcheggi, dividono le valutazioni del Comune, che ne chiede il versamento, da quelle di Atac Spa (la società dei trasporti), che lo nega.

Il paradosso è che tanto Ama Spa quanto Atac Spa sono interamente controllate da Roma Capitale e che nei rispettivi bilanci i crediti e i debiti reciproci occupano una posizione rilevante.

Sembrano contenziosi secondari, ma rappresentano la miglior cartina di tornasole dell’alienazione della funzione pubblica e sociale a cui il sistema della società per azioni ha ridotto gli enti locali: l’unico azionista di Ama e Atac è il Comune di Roma, che si ritrova quindi ad avere contenziosi e conflitti con se stesso. E a provocarsi la relativa paralisi.
Il gatto si morde la coda e non sa che la coda è sua. Ma, volendo approfondire, la vicenda di cui sopra apre altri due nodi, senza affrontare i quali il circolo vizioso è destinato a protrarsi all’infinito.
Il primo è il nodo del debito. Il debito del Comune – quello storico, oggetto di commissariamento, e quello ordinario – e il debito delle sue controllate.
A questo proposito, l’avventura amministrativa della Sindaca Raggi si era aperta con le migliori intenzioni: nel programma elettorale era inserito l’avvio di una commissione d’indagine (audit) pubblica e indipendente per socializzare la conoscenza della situazione finanziaria e per mettere in discussione la legittimità del debito pregresso e attuale.

Nulla di tutto questo è avvenuto e il debito, nei fatti, è stato considerato oggettivo e insindacabile. Il risultato di questa subalternità è più che evidente: se la coperta è corta e nessuno ne rivendica una più lunga, la guerra interna tra gli assessorati dentro Roma Capitale e fra il Comune e le sue società partecipate non può che perdurare senza soluzione di continuità.

Vi è un secondo nodo sostanziale: il sottofinanziamento di Roma Capitale e delle sue partecipate. Come ha evidenziato l’audit sul debito promossa dal basso da Decide Roma, il Comune ha strutturalmente entrate insufficienti a coprire le spese per i servizi, ed è dunque inevitabile che produca o debiti o deficit di servizi.
Negli ultimi 15 anni, ad esempio, le entrate pro-capite del Comune di Roma sono state stabilmente più basse del 15% di quelle del comune di Milano, nonostante la diversa organizzazione fisica della città renda Roma una città strutturalmente più costosa.
Tutto ciò non vale solo per il Comune: se prendiamo i dati sul trasporto pubblico locale, la spesa media di Roma negli ultimi 5 anni è stata di 260 euro/residente contro i 580 euro di Milano.

La conclusione è lapalissiana: non è possibile nessun buongoverno senza mettere in discussione l’esistente: dal debito alla fiscalità locale, dalla gestione del patrimonio alla riappropriazione dei beni comuni e dei servizi pubblici.

Da questo punto di vista, il prossimo referendum dell’11 novembre contro la privatizzazione di Atac può essere l’occasione per invertire la rotta, non solo opponendosi a chi vorrebbe completare l’opera regalando i servizi ai privati, ma costruendo dal basso un altro modello di città.

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