«L’analisi
dell’Oxfam mostra che le alterazioni climatiche, derivanti dalla
produzione di cibi più raffinati e abbondanti per una minoranza della
popolazione mondiale, rendono più scarsi e costosi gli alimenti
disponibili nei paesi più poveri. Molti di questi sono costretti a
cedere le proprie terre alle grandi società che praticano quelle
coltivazioni intensive e distruttive che consentono di fornire a basso
prezzo le materie prime per gli sprechi dei ricchi.»
Reti di Pace di GIORGIO NEBBIA
L’organizzazione
non governativa Oxfam è nata 64 anni fa ad Oxford come “Comitato per
alleviare la fame nel mondo” e oggi è una federazione internazionale di
12 sezioni che operano in 75 paesi; esiste anche una sezione Oxfam
Italia. Oxfam, proprio nei giorni scorsi, ha pubblicato un documento
(consultabile gratuitamente in Internet) che getta nuova luce sui
rapporti fra produzione agricola e alimentare e alterazioni ambientali,
soprattutto modificazioni del clima dovute alle immissioni
nell’atmosfera dei “gas serra”.
I
due principali responsabili del lento inarrestabile riscaldamento del
nostro pianeta, sono l’anidride carbonica (CO2) e il metano; quando si
nominano questi gas il pensiero corre subito ai fumi delle centrali
termoelettriche che bruciano combustibili fossili (la sola centrale di
Cerano, vicino Brindisi, immette nell’atmosfera circa 15 milioni di
tonnellate all’anno di CO2), alle caldaie delle case, ai gas di
scappamento degli autoveicoli, agli sfiati nell’atmosfera dei pozzi
metaniferi.
In
realtà al riscaldamento globale contribuisce per circa un quarto del
totale anche la produzione di cibo, quella complessa catena di rapporti
che va dai campi coltivati, alle stalle, fino ai negozi e alla nostra
tavola.
Apparentemente
la produzione alimentare dovrebbe essere “neutrale”, dal punto di vista
del bilancio planetario della CO2, perché “porta via” dall’atmosfera la
CO2 che utilizza, insieme all’acqua e grazie all’energia solare, per
formare i vegetali per fotosintesi; la stessa CO2 ritorna nell’atmosfera
in seguito al metabolismo degli animali e degli esseri umani.
In
realtà non è affatto così; intanto la natura “fabbrica”, con la
fotosintesi, i vegetali senza occuparsi di quello che è utile per i
nostri commerci; della biomassa vegetale esistente nei campi soltanto
una parte, spesso meno del 40 percento, diventa cibo. Nelle piante di
mais, i semi da cui trarre la farina e l’olio sono soltanto circa il 30
percento; delle olive l’olio rappresenta soltanto meno del venti per
cento. La biomassa restante, che ammonta ad alcuni miliardi di
tonnellate all’anno nel mondo, trova in parte impiego nell’alimentazione
del bestiame e in parte viene restituita al terreno dove si decompone
liberando CO2, ma anche altri gas serra. Inoltre la lavorazione dei
campi comporta una modificazione della struttura del suolo che
contribuisce anch’essa al peggioramento del clima.
Ma
soprattutto le operazioni agricole richiedono l’impiego di macchinari
che usano carburanti che emettono CO2 nell’aria; inoltre le elevate rese
dei raccolti sono possibili con l’impiego di crescenti quantità di
concimi contenenti azoto, fosforo, potassio, per la cui fabbricazione
vengono impiegati combustibili fossili che emettono anche loro CO2
nell’atmosfera. Non solo: i concimi azotati svolgono la loro funzione di
nutrizione delle piante attraverso complesse reazioni microbiologiche e
chimiche, durante le quali si liberano ossidi di azoto, altri gas che
contribuiscono, con la CO2 e il metano, al riscaldamento del pianeta. In
una spirale: più rese agricole, più meccanizzazione, più concimi,
peggioramento del clima.
Lo
studio di Oxfam ha mostrato che i cinque principali raccolti --- riso,
mais, soia, palma, grano --- contribuiscono ad immettere ogni anno
nell’atmosfera circa quattro miliardi di tonnellate di gas serra, il 10
percento del totale mondiale. Alcune piante, come il riso, producono
metano proprio nei processi di coltivazione.
Ma
il cammino dai campi alla tavola è ancora molto lungo. Circa un terzo
delle sostanze nutritive dei raccolti agricoli viene impiegato per
l’alimentazione del bestiame. La vita degli animali da allevamento
restituisce in parte la CO2 all’atmosfera, ma la “fabbricazione” di
carne, di latte, di uova è accompagnata anche dalla liberazione di altri
gas serra che vanno dal metano dei bovini a quello che si forma nella
decomposizione microbiologica degli escrementi animali.
Molti
prodotti agricoli vengono trasportati a grandi distanze. L’olio di
palma, prima di arrivare nei dolciumi, percorre ottomila chilometri via
mare. L’Italia importa mais dall’America, grano dal Canada, latte dalla
Germania, zucchero dalla Francia, viaggi che richiedono combustibili e
immissioni di altra CO2 nell’atmosfera.
I
prodotti agricoli a questo punto entrano in processi industriali nei
quali vengono macinati, miscelati, sottoposti a processi di
conservazione, inscatolati e infine trasportati dalle industrie ai
negozi e da questi a casa nostra e ai trattamenti di cucina, tutte
operazioni accompagnate da emissioni di gas serra.
L’agricoltura
è, quindi, fonte di alterazioni climatiche, ma è anche prima vittima
delle stesse: l’aumento della siccità e le piogge eccessive che allagano
i campi distruggono i raccolti; l’agricoltura intensiva impoverisce la
fertilità dei suoli.
L’analisi
dell’Oxfam mostra che le alterazioni climatiche, derivanti dalla
produzione di cibi più raffinati e abbondanti per una minoranza della
popolazione mondiale, rendono più scarsi e costosi gli alimenti
disponibili nei paesi più poveri. Molti di questi sono costretti a
cedere le proprie terre alle grandi società che praticano quelle
coltivazioni intensive e distruttive che consentono di fornire a basso
prezzo le materie prime per gli sprechi dei ricchi.
Sono
denunce fatte anche molte volte e in varie sedi internazionali dal papa
Francesco. Si tratta non di pensare ad un improbabile ritorno
all’agricoltura contadina, ma di passare dalla agricoltura
industrializzata intensiva e inquinante ad una agricoltura ”ecologica”,
come ha messo in evidenza il bel libro di Pier Paolo Poggio Le tre
agricolture, apparso di recente. La soluzione del problema alimentare
dei poveri è l’unica condizione per estirpare la violenza che ci sta
travolgendo.
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