L’Italia ha una crisi bancaria – quindi presumibilmente ha avuto quel tipo di folle boom che in genere conduce ad un crollo finanziario. Ad esempio, piccoli mini-appartamenti in vendita a Torino per un milione di euro. Banchieri che tracannano Asti Spumante e sniffano coca nei club di lap dance di Milano. Concessionari Ferrari che vendono ad adolescenti macchine nuove da duecentomila euro, senza alcun controllo sul credito. Vecchie signore che scivolano fuori dalla folla per piazzare ordini su azioni da due soldi coi loro smartphone. Ma aspettate. L’Italia non ha visto niente del genere. Negli ultimi dieci anni, la crescita è stata completamente piatta. I prezzi delle case in realtà sono in discesa. I mercati azionari hanno avuto l’euforia di uno dei comizi elettorali di Angela Merkel, all’incirca. In effetti, l’Italia adesso ha la sbornia, senza mai aver partecipato alla festa. In realtà, l’Italia non ha affatto una crisi bancaria. Ha una crisi valutaria. L’euro ha succhiato la domanda fuori dall’economia e ha ucciso la crescita. Il risultato? Le sofferenze sono salite alle stelle.
Ora sta frenando il governo dal salvare il settore finanziario. Il primo ministro Matteo Renzi può nascondere la magagne, ma fino a quando il paese non trova il modo di vivere con l’euro, o una via d’uscita dalla zona euro, nessuno dei suoi problemi sarà risolto. Dopo un mese di agitazione sul Brexit, che finora si è rivelato un non-evento, i mercati ora si stanno preoccupando del crollo del sistema bancario italiano – ed è giusto così. Secondo i dati del Fmi, le banche del paese hanno 360 miliardi di euro di crediti in sofferenza, pari al 18% del prodotto interno lordo. I prezzi delle azioni di tutte le maggiori banche sono in caduta libera. UniCredit, la più grande banca del paese, ha visto la sue azioni perdere oltre il 60% del valore. Banca Popolare di Milano ha perso oltre il 60% da inizio anno, e così anche Intesa Sanpaolo. Queste sono il tipo di perdite che suggeriscono che una banca sta per finire in guai seri.
Anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha detto all’inizio di questo mese che il settore avrebbe bisogno di una qualche forma di aiuto di Stato. Ci siamo già passati, naturalmente. Le banche fanno un sacco di prestiti irresponsabili. Caricano aziende, promotori immobiliari e consumatori con i debiti, e poi, quando i mercati iniziano a scendere, molti di questi prestiti vanno male e non possono essere rimborsati. Questo è quello che è successo negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel 2008 e 2009, ed è un gioco che è stato giocato in molti altri paesi prima e dopo. In Italia, però c’è una giravolta. Non ci sono mai stati molti segni di prestiti irresponsabili. Se l’Italia è passata in una bolla speculativa, di quelle che è sempre probabile che scoppino, è molto difficile trovare delle prove. I prezzi delle case? Di solito sono un segno sicuro di surriscaldamento nel sistema. Ma, secondo i dati Eurostat, i prezzi degli immobili italiani sono in contrazione del 1,6% dall’ultimo anno.
Il mercato azionario? Nemmeno quello è stato esattamente in zona bolla. A quota 16.700 l’indice di Milano è più basso e lontano da quota 25.000 che ha toccato l’anno scorso, ed è a malapena sopra il livello di tre anni fa. Che ne dite del credito al consumo? Secondo la Banca Centrale Europea, quest’anno sta crescendo ad un tasso di circa l’1% annuo. In realtà, lebanche italiane sono state gestite in modo perfettamente prudente e ragionevole. Il problema è che l’economia è diventata molto più piccola. La crescita ha colpito un muro, e sembra impossibile farla tornare in vita. Nel 2015, l’economia italiana è cresciuta meno dell’1%. In realtà, l’economia in Italia è tuttora più piccola dell’8% di quanto era prima del crollo del 2008, e non è più grande di quanto fosse nel 1999, quando è entrata nell’euro. Non è difficile capire cosa sta succedendo. Quando l’economia è così fiacca, un sacco di piccole imprese lottano per ripagare i loro debiti.
Allo stesso modo, i mutui vanno male e così i prestiti al consumo. Un debito che sembrava perfettamente gestibile un decennio fa, non sembra così sano a 10 anni di distanza, quando l’economia è quasi un decimo più piccola, la disoccupazione è molto più alta, e i salari reali sono continuamente in calo. Quindi i livelli di debito sono aumentati inesorabilmente, solo perché l’economia annaspa. Ciò ha portato ad una marea di crediti inesigibili. Semmai, è sorprendente non che le banchesiano in difficoltà, ma che c’è voluto così tanto tempo perché i problemi emergessero. In realtà, quello che ha l’Italia è una crisi da euro, non è una crisi bancaria. La moneta unica ha distrutto la competitività di quello che, 20 anni fa, era un settore manifatturiero perfettamente sano. Ha succhiato domanda fuori dall’economia, e ha sovraccaricato la spesa dei consumatori. La situazione peggiora. Le regole dell’Eurozona introdotte all’inizio di quest’anno significano che i detentori di obbligazioni, che in Italia sta ad intendere molti investitori privati, devono essere utilizzati per il “bail-in”.
Il governo non può semplicemente salvare le banche nei guai. Deve fare in modo che anche gli investitori privati ricevano un brutto colpo – e dal momento che molti sono semplici risparmiatori, questo significherà un calo anche maggiore della domanda, e lascerà l’economia in una forma ancora peggiore. Come vi dirà qualsiasi medico, a meno che la diagnosi non sia giusta non vi sarà alcuna speranza di successo del trattamento. In questo momento, la Bce e i ministri delle finanze della zona euro stanno agendo come se si trattasse di una crisi bancaria come tutti le altre. Aggiustare le banche, fermare i prestiti irresponsabili, e tutto andrà di nuovo bene. Ma questo non è vero. Anche se le banche questa volta vengono riparate, in una economia stagnante saranno nuovamente nei guai in qualche anno. L’Italia è intrappolata nel peggiore dei mondi possibili – ed è diventata una vivida lezione di quanto sia diventato disfunzionale l’euro.
(Matthew Lynn, “L’Italia non è in crisi bancaria, è in crisi da euro”, da “Marketwatch” del 21 luglio 2016, post ripreso da “Voci dall’Estero”).
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