Come nella più classica delle tradizioni, i mesi estivi sono quelli che i governi preferiscono per annunciare o varare misure peggiorative nei confronti del lavoro: stavolta è toccato alla ministra Madia, mentre i destinatari della “riforma” sono i famigerati statali.
Dopo anni di feroce campagna mediatica contro “i fannulloni” e “i furbetti del cartellino”, il terreno è pronto per accogliere misure di una gravità senza precedenti. Secondo le notizie trapelate dai giornali i punti salienti sono i seguenti:
• fine del posto fisso: sono previste sanzioni per i dirigenti che non rispetteranno l’obbligo, già esistente, di indicare gli “esuberi” di personale sulla base di esigenze di programmazione economica e finanziaria. Chi si troverà ad essere in sovrannumero dovrà accettare il trasferimento, se possibile, o restare a disposizione per due anni all’80% dello stipendio: se al termine dei due anni non è stato ricollocato sarà licenziato
• fine degli scatti di anzianità: gli aumenti salariali non saranno più legati a criteri oggettivi ma ad annuali valutazioni del dirigente, e potranno riguardare al massimo il 20% del personale: la perversa logica brunettiana di distribuzione di indennità accessorie e premialità si estende così alla parte fissa, e più consistente, dello stipendio, vietando esplicitamente al dirigente di valutare positivamente anche un solo dipendente oltre il limite fissato per legge
• riduzione del campo d’intervento della contrattazione: molte materie vengono attribuite all’azione legislativa, dalla cancellazione dell’indennità di trasferta al buono pasto di sette euro per tutti. Va da sé che cambiare queste misure, se inserite in un testo di legge, diventa molto più difficile.
• fine degli scatti di anzianità: gli aumenti salariali non saranno più legati a criteri oggettivi ma ad annuali valutazioni del dirigente, e potranno riguardare al massimo il 20% del personale: la perversa logica brunettiana di distribuzione di indennità accessorie e premialità si estende così alla parte fissa, e più consistente, dello stipendio, vietando esplicitamente al dirigente di valutare positivamente anche un solo dipendente oltre il limite fissato per legge
• riduzione del campo d’intervento della contrattazione: molte materie vengono attribuite all’azione legislativa, dalla cancellazione dell’indennità di trasferta al buono pasto di sette euro per tutti. Va da sé che cambiare queste misure, se inserite in un testo di legge, diventa molto più difficile.
Il ricatto
La presentazione della riforma avviene in concomitanza col primo tavolo di confronto sindacale sul rinnovo contrattuale (come si sa, i contratti del pubblico impiego sono fermi al 2009): ogni irrigidimento sindacale in questo momento determinerebbe automaticamente un blocco della procedura di rinnovo (nonostante i richiami della Corte Costituzionale, il governo è in estremo e colpevole ritardo). Se i sindacati – complici, dato che le iniziative conflittuali negli ultimi anni sono state di gran lunga sottodimensionate rispetto alla portata dell’attacco – si mettono di traverso su un punto qualunque della riforma, siamo sicuri che le indicazioni governative per l’ARAN non partirebbero. Appuntamento per tutti, quindi, rimandato a Settembre.
Il referendum costituzionale
A Settembre dovrebbe partire il rinnovo dei contratti, mentre per il varo di tutti i decreti connessi alla riforma Madia ci sarebbe tempo fino a Febbraio. È possibile, quindi, che il Governo decida di rimandare gli argomenti scottanti successivamente al voto referendario, per provare negli ultimi due mesi a giocarsi qualche carta di consenso in più (misure antipovertà, chiusura cantieri, iniziative di propaganda varie); è possibile però anche il contrario, Hollande insegna: di fronte ad un consenso in caduta libera Renzi potrebbe decidere di sparare tutte le cartucce che gli restano subito, rischiando di perdere il referendum (che lui stesso ha posto come un voto di fiducia sulla sua persona), ma in cambio presentandosi di fronte ai suoi veri padroni – i padroni, appunto – come lo scolaro diligente che ha portato a termine tutti i compiti che gli erano stati assegnati; loro, i padroni, sanno essere riconoscenti a lungo con chi fa loro regali di questa portata…
…e noi?
Lo scriviamo da subito: se da un lato è fin troppo evidente l’importanza della battaglia referendaria – e quindi la necessità di investirci ogni energia – dall’altro lato sarebbe un errore accettare di leggere il referendum come un plebiscito pro o contro Matteo Renzi. Le battaglie che dobbiamo vincere sono quotidiane ed articolate su più livelli: il NO al referendum vince se articoliamo il conflitto in ogni ambito, dalla scuola alla società al mondo del lavoro. Per quanto riguarda quest’ultimo nello specifico, occorre mettere in piedi ogni tipo di iniziativa per difendere e rilanciare la contrattazione come strumento normativo del mondo del lavoro; occorre riprendere la battaglia contro il jobs act su più livelli, dalla disapplicazione dell’art.18 riformato nei settori che vedono la pubblica amministrazione come committente alla campagna per costruire città “voucher free”, dall’applicazione della clausola sociale negli appalti al rifiuto di introdurre ogni forma di controllo a distanza del lavoratore; serve insomma mettere il governo e le amministrazioni locali alle strette ogni qualvolta si toccano quei – pochi e residuali – diritti dei lavoratori, costruendo campagne nazionali sui temi elencati e anche nuove forme di organizzazione, più in grado di intercettare e organizzare il dissenso e l’opposizione sociale.
Dove vanno loro?
Che strada sta prendendo la nostra controparte? Sarebbero davvero tanti gli aspetti da analizzare: in questo caso vogliamo limitarci a ciò che il testo Madia suggerisce.
Un aspetto ci ha colpito particolarmente: la determinazione a mezzo decreto del valore del buono pasto, fissato per tutti a sette euro. Un tema tipico dei tavoli di contrattazione – anche perché viene usato come strumento di parziale recupero salariale, visto che di aumenti non se ne parla da anni – viene sottratto all’azione sindacale e deciso per legge. Un’ulteriore attacco alla contrattazione, quindi? Dipende.
La risposta, infatti, non è univoca. Assistiamo – anche qui, in Italia come altrove, tipo in Francia – ad una sorta di “biforcazione” relativa alle norme: da un lato si rafforza la legislazione nazionale per privare i lavoratori di ogni potere residuale derivato dalla loro forza sui luoghi di lavoro; dall’altro si dà sempre più spazio al livello aziendale della contrattazione perché si è rivelato essere il più adatto ad imporre ulteriori condizioni peggiorative che ancora non possono essere generalizzate. Le due tendenze, come si vede, non sono in contraddizione ma assolutamente complementari.
Questi, tra tanti, sono solo alcuni temi sui quali riteniamo sia necessario confrontarsi: ne parleremo anche in occasione dell’Je so pazzo Festival, che si svolgerà dal 9 all’11 Settembre a Napoli, all’ex OPG occupato, e che prevede un tavolo specifico sul tema del lavoro e dell’organizzazione. Partecipiamo, incontriamoci, costruiamo reti: le battaglie sono tante e difficili, ma il nostro nemico non è invincibile!
da http://clashcityworkers.org
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