domenica 7 agosto 2016

Legge contro il caporalato: se a pagare non è tutta la filiera sarà un'arma spuntata.

Il momento è quello giusto. La campagna di raccolta dei pomodori nel Sud Italia è iniziata ormai già da un paio di mesi e terminerà alla fine di agosto o settembre, a seconda delle zone. E mentre migliaia di braccianti lavorano tra sudore e sangue le terre italiane, con 190 voti favorevoli, nessun voto contrario e le astensioni di Forza Italia e Lega, pochi giorni fa è passato al Senato il disegno di legge 2217 contro il caporalato.

Come l’iter impone, il provvedimento adesso transiterà alla Camera e la speranza dei sindacati e dei tanti attivisti solidali con i braccianti, italiani e migranti, è quella di vedere il ddl trasformato in legge prima della fine della raccolta estiva del 2016.

Cosa prevede il DDL
Rispetto al testo presentato dal governo, quello approvato al Senato fa leva sul reato di caporalato. A quanti saranno giudicati colpevoli di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro, di caporalato appunto, saranno tributati fino a 6 anni di carcere. Chiunque recluterà lavoratori per conto di terzi, attraverso l’intermediazione di caporali, riceverà una multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore assoldato. Non solo. Una delle novità rispetto all’art. 603-bis del Codice penale, normativa attualmente in vigore, è che chiunque adescherà lavoratori attraverso minacce e atti di violenza rischierà la reclusione da 5 a 8 anni e una multa da 1.000 a 2.000 euro.
Per la prima volta viene messo nero su bianco cosa voglia dire per lo stato italiano ‘sfruttamento del lavoro agricolo’: violazione dei regolari orari di lavoro; nessun diritto alle ferie o al riposo settimanale; inosservanza delle norme in materia di igiene e sicurezza sul posto di lavoro; alloggi fatiscenti al limite del disumano.

E il testo continua con gli aggravanti della pena, comminati a chi sfrutta un numero di lavoratori superiore a tre oppure minori e a chi espone ad una situazione di pericolo i propri dipendenti. E gli sgravi alla pena, se si collabora con le forze di polizia o l’autorità giudiziaria.
Viene rinforzato inoltre lo strumento della Rete del Lavoro Agricolo di Qualità, che dopo un tiepido inizio, sembra stia dando i suoi frutti. Uno strumento che ha come obiettivo quello di selezionare le aziende che lavorano nella legalità e di circoscriverle, distanziarle da quelle che sfruttano i dipendenti.
Un progetto ardito e ambizioso, che attribuisce tra gli altri, all’Inps, al Ministero del Lavoro, a quello dell’Economia e Finanze e, per i lavoratori, alle associazioni di categoria, il ruolo di sentinelle della legalità. La Rete però ha attirato molte polemiche da parte delle imprese agricole, che per iscriversi, oltre a certificare la regolarità contributiva e la fedina penale pulita, devono ad esempio attestare di non essersi macchiate di “delitti contro il sentimento degli animali”. I soliti orpelli ‘all’italiana’, che rischiano però di rallentare il già difficoltoso compito di selezione delle aziende. E se il problema del settore dell’ortofrutta italiano non fosse questo?

Le critiche

Non c’è ombra di dubbio che il disegno di legge 2217 apra una nuova fase nell’ambito dei diritti sul lavoro e in quello della regolamentazione del mercato ortofrutticolo. Tanti, troppi sono stati i dossier che paesi esteri hanno redatto suoi nostri prodotti ortofrutticoli, pomodori in primis, a cui poi sono seguite campagne di boicottaggio proprio per le deprecabili condizioni dei nostri braccianti agricoli. Tuttavia risulta lampante che chi pagherà, con questo provvedimento, sarà soprattutto il caporale, mentre le aziende che si servono di queste figure di intermediazione, seppur messe sotto controllo dall’autorità giudiziaria, continueranno a lavorare. È questa la replica del Procuratore capo di Lecce Cataldo Motta, intervistato da Il Fatto Quotidiano.it (qui), per il quale la legge avrebbe dovuto colpire maggiormente le imprese agricole.

Il caporale infatti non è che colui che riempie i vuoti delle politiche del lavoro in Italia ed è l’espressione forse più evidente dell’indebolimento dei sindacati. Il caporale in questo paese ‘serve’. Serve a schiacciare i costi del lavoro e a rintracciare manodopera a basso costo in pochissimo tempo. Un lavoro che dovrebbero svolgere i centri per l’impiego, che però sono stati smantellati oppure sussunti in queste logiche di illegalità e di lavoro nero. E quindi, ora che con il ddl si punta a colpire perlopiù il caporale, bisognerà anche vedere come ripristinare o costruire dal principio politiche lavorative nuove, che non facciano sentire l’esigenza di rivolgersi ai caporali. Che di sicuro alle spalle hanno aziende, imprese, alle quali fa comodo che qualcuno svolga il lavoro di ‘adescamento’: dall’organizzazione degli alloggi, quasi sempre ghetti, fino al trasporto nei campi.

Fino a quando tra le responsabilità degli attori della filiera non saranno conteggiate anche quelle delle imprese, tanto quanto quelle dei caporali, il provvedimento in discussione risulterà monco e miope. Bisogna auspicare che a cambiare scenario siano proprio tutti: dalle catene della Grande Distribuzione, che fanno il mercato, ai produttori, dai sindacati ai caporali.

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