Svoltosi
per la prima volta in un paese del “Nord”, crocevia di interessi di
imprese multinazionali, al centro di importanti vertenze sindacali e
teatro di grandi mobilitazioni studentesche e di giovani.
Sono loro che hanno occupato lo spazio, non tanto nei numeri, ma
nella ricerca di metodologie orizzontali, e partecipative: dai workshop
autogestiti, all’agorà finale, le assemblee di convergenza, i
collegamenti «esterni», l’uso di Internet . Una scossa di adrenalina ad
un processo troppo ingessato nella annosa diatriba sulla sua natura.
C’è chi immagina il Forum Sociale Mondiale come un soggetto «politico»; con le redini e l’incarico di dare la linea ad un Consiglio internazionale, che a Montreal dava la sensazione di rischiare definitivamente la sua obsolescenza. Nessun giovane al tavolo, molti giovani nelle magliette gialle dell’organizzazione, ai margini.
C’è chi poi pensa che il Forum sia uno «spazio» collettivo , in cui incontrarsi, rafforzare reti e relazioni, affinare strategie. Probabilmente questo forum non genererà una scelta tra «verticalità» e «orizzontalità», forte rimane l’impronta dei movimenti sociali e dei soggetti che l’hanno ideato e che persistono nella visione forse ormai logora del Forum come soggetto politico. Rischiando così di negare soggettività politica alle forme plurali e auto-organizzate che non si riconoscono nei soggetti che tradizionalmente hanno formato l’ossatura del Fsm, sindacati, movimenti sociali, intellettuali.
La partecipazione a Montreal è stata numericamente inferiore a quelli precedenti ed è senz’altro vero che la connessione «sentimentale» con la città e con il Canada è stata piuttosto loose, allentata. Montreal è una città che ha anch’essa il suo Sud, come del resto il Canada. Le vertenze delle First Nations, contro il fracking e l’estrazione di sabbie bituminose in Alberta e Athabasca; l’insorgenza del movimento Idle No More e nei vicini Usa le mobilitazioni di Black Lives Matter, sono state poco presenti di persona nelle giornate del Forum. Eppure a migliaia hanno sfilato in concomitanza con la chiusura del Forum nel Gay Pride, con il primo ministro Justin Trudeau in testa. Eppure ad un tiro di schioppo i leader nativi si stanno mobilitando contro le pipeline. Eppure in Canada ci sono tra siriani e iracheni circa 50 mila rifugiati e a Montreal un migliaio di homeless, in maggioranza “aborigeni”, in maggioranza inuit, lasciati per strada, all’alcol, ai maltrattamenti della polizia.
Si rischia però di cadere nella trappola del voler valutare tutto e subito, utilizzando criteri numerici arbitrari, invece di contestualizzare il tentativo di imprimere una svolta alle pratiche ed al protagonismo di soggetti «storici» che non possono ritenersi immuni dall’ondata di critica radicale e di riappropriazione dal basso dell’agire politico, intepretato da movimenti quali Occupy, Nuits Debout o Indignados.
Ragionano fuori dagli schemi tradizionali di quella sinistra istituzionale e di “movimento” che fatica a cogliere il desiderio di riappopriazione della sfera pubblica di nuove generazioni non solo anagrafiche ma anche “politiche”. Questo Forum avrà successo, se le connessioni e le sinergie potranno generare occasioni di resistenza e proposta nei luoghi e nelle comunità che soffrono gli effetti del liberismo, dei mutamenti climatici, della marginalizzazione sociale, della guerra. Un Forum poco globale, molto glocal e molto “forum”; non più tanto sociale ma forse “comune”. L’afflato culturale e politico che si respirava era non più quello del “sociale” ma quello del “comune”, delle vertenze per i beni comuni, per la giustizia climatica ed ambientale, per la ricostruzione di spazi “comuni”, con lo sforzo di pensare “fuori” degli schemi cui la vecchia sinistra ci ha abituato.
Varie sono state le discussioni sulle sinistre in America Latina, prova dell’urgenza di interrogarsi su quanto quelle esperienze abbiano contribuito al rafforzamento della democrazia reale e alla fuoriuscia dal capitalismo estrattivista. Allora, leggendo in prospettiva i pro e i contra di questo Forum il risultato potrebbe essere inusuale. Potrebbe infatti segnare il primo passo della trasformazione da Forum Sociale Mondiale a Forum Mondiale del “Comune”. Una scossa è stata data, e forse non poteva essere se non a Montreal.
C’è chi immagina il Forum Sociale Mondiale come un soggetto «politico»; con le redini e l’incarico di dare la linea ad un Consiglio internazionale, che a Montreal dava la sensazione di rischiare definitivamente la sua obsolescenza. Nessun giovane al tavolo, molti giovani nelle magliette gialle dell’organizzazione, ai margini.
C’è chi poi pensa che il Forum sia uno «spazio» collettivo , in cui incontrarsi, rafforzare reti e relazioni, affinare strategie. Probabilmente questo forum non genererà una scelta tra «verticalità» e «orizzontalità», forte rimane l’impronta dei movimenti sociali e dei soggetti che l’hanno ideato e che persistono nella visione forse ormai logora del Forum come soggetto politico. Rischiando così di negare soggettività politica alle forme plurali e auto-organizzate che non si riconoscono nei soggetti che tradizionalmente hanno formato l’ossatura del Fsm, sindacati, movimenti sociali, intellettuali.
La partecipazione a Montreal è stata numericamente inferiore a quelli precedenti ed è senz’altro vero che la connessione «sentimentale» con la città e con il Canada è stata piuttosto loose, allentata. Montreal è una città che ha anch’essa il suo Sud, come del resto il Canada. Le vertenze delle First Nations, contro il fracking e l’estrazione di sabbie bituminose in Alberta e Athabasca; l’insorgenza del movimento Idle No More e nei vicini Usa le mobilitazioni di Black Lives Matter, sono state poco presenti di persona nelle giornate del Forum. Eppure a migliaia hanno sfilato in concomitanza con la chiusura del Forum nel Gay Pride, con il primo ministro Justin Trudeau in testa. Eppure ad un tiro di schioppo i leader nativi si stanno mobilitando contro le pipeline. Eppure in Canada ci sono tra siriani e iracheni circa 50 mila rifugiati e a Montreal un migliaio di homeless, in maggioranza “aborigeni”, in maggioranza inuit, lasciati per strada, all’alcol, ai maltrattamenti della polizia.
Si rischia però di cadere nella trappola del voler valutare tutto e subito, utilizzando criteri numerici arbitrari, invece di contestualizzare il tentativo di imprimere una svolta alle pratiche ed al protagonismo di soggetti «storici» che non possono ritenersi immuni dall’ondata di critica radicale e di riappropriazione dal basso dell’agire politico, intepretato da movimenti quali Occupy, Nuits Debout o Indignados.
Ragionano fuori dagli schemi tradizionali di quella sinistra istituzionale e di “movimento” che fatica a cogliere il desiderio di riappopriazione della sfera pubblica di nuove generazioni non solo anagrafiche ma anche “politiche”. Questo Forum avrà successo, se le connessioni e le sinergie potranno generare occasioni di resistenza e proposta nei luoghi e nelle comunità che soffrono gli effetti del liberismo, dei mutamenti climatici, della marginalizzazione sociale, della guerra. Un Forum poco globale, molto glocal e molto “forum”; non più tanto sociale ma forse “comune”. L’afflato culturale e politico che si respirava era non più quello del “sociale” ma quello del “comune”, delle vertenze per i beni comuni, per la giustizia climatica ed ambientale, per la ricostruzione di spazi “comuni”, con lo sforzo di pensare “fuori” degli schemi cui la vecchia sinistra ci ha abituato.
Varie sono state le discussioni sulle sinistre in America Latina, prova dell’urgenza di interrogarsi su quanto quelle esperienze abbiano contribuito al rafforzamento della democrazia reale e alla fuoriuscia dal capitalismo estrattivista. Allora, leggendo in prospettiva i pro e i contra di questo Forum il risultato potrebbe essere inusuale. Potrebbe infatti segnare il primo passo della trasformazione da Forum Sociale Mondiale a Forum Mondiale del “Comune”. Una scossa è stata data, e forse non poteva essere se non a Montreal.
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