venerdì 4 luglio 2014

Riforme, Berlusconi dà il via libera a Renzi. E dentro Forza Italia crescono i sospetti: "Ci ha venduti per tutelare Mediaset"

BERLUSCONIÈ “resa” la parola che rimbalza nei capannelli della Camera, al termine dell’incontro tra Berlusconi e Renzi. Quando si capisce che l’ex premier è andato a palazzo Chigi per dare il via libera a un accordo che non contiene neanche una bandierina per Forza Italia. Non solo non c’è il presidenzialismo, o il semi, ma al posto dell’elezione diretta c’è una specie di “elezione di terzo grado”, come la chiamano i deputati azzurri che hanno dimestichezza con la materia: i cittadini scelgono i consiglieri regionali e i sindaci, i quali a loro volta indicano i senatori, che poi eleggono il capo dello Stato. E poi l’intero impianto del nuovo Senato risulta un rospo indigeribile per un partito come Forza Italia, considerata l’attuale geografia elettorale. 

 
Ecco perché in parecchi accompagnano al sostantivo “resa” altre due paroline che rendono l’idea: “senza condizioni”. Ed è magra la consolazione che, di fronte a un caffè negli appartamenti presidenziali (nel senso di Renzi) il Cavaliere, accompagnato da Gianni Letta e Verdini sia riuscito a ottenere quale tecnicalità sulla cosiddetta proporzionalità del Senato. Ovvero, detta in modo grezzo, riuscendo a strappare qualche senatore in più in Lombardia e nel Nord (dove Forza Italia ancora non sparisce) e meno in Valle D’Aosta. O che sia riuscito a ottenere la rassicurazione che si farà la legge entro l’estate, già sapendo che il calendario del Senato è ingolfato.
Sempre di “resa” si tratta. Su cui è già nata una fronda. Oltre al direttorissimo Minzolini, al Senato è nell’ombra che cova l’insofferenza. I pugliesi promettono battaglia e lo stesso i cosentini ani. Un terzo del gruppo cioè è fuori controllo in vista del voto d’Aula. Un frondista, a microfoni spenti la mette così: “Se Forza Italia diventa una corrente di Renzi, come sta accadendo, allora liberi tutti”. Perché è questo il sospetto sul perché della resa che allarma il corpaccione di Forza Italia. Che Berlusconi abbia negoziato più in termini personali che politici. “Ci ha venduto a Renzi per tutelare se stesso e le aziende”: è questa la frase ripetuta a microfoni spenti da truppe mai tanto sconfortate.

Una vendita che ha certo a che fare con i guai giudiziari del Capo, convinto che l’Appello su Ruby confermerà il primo grado e che il regalo di Natale della Cassazione sia la perdita della libertà. Ma che ha a che fare soprattutto col quel partito Mediaset, diventato un grande supporter di Renzi. I telegiornali, per chi ricorda come venivano usati su Prodi, D’Alema, Fini, trattano il premier come se fosse un alleato. I talk non mordono. Gli house organ come il Giornale esaltano le virtù del Renzi anti-tedesco. Ma soprattutto sono i dirigenti dell’azienda ad essersi esposti con dichiarazioni pesantissime verso il governo “amico”. Piersilvio è stato solo l’ultimo. Poche settimane fa Ennio Doris, presentando il suo libro aveva già detto “io voto per Silvio ma tifo per Renzi”. Così come erano arrivate lodi da Confalonieri e da Dell’Utri (finché non è finito al gabbio). In fondo, dice chi sa davvero le cose, l’unico settore dove Renzi non ha asfaltato un bel niente è quello delle concessioni tv. E anche sulla Rai ha annunciato tagli più che riforme che possano stimolare Mediaset in un’ottica di concorrenza. Un business che vale un Senato, un po’ come una messa per Parigi.

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