giovedì 31 luglio 2014

Zoro, l'Unità e il passato del Pd: una salsetta strumentale preparata dai renziani

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Nel trailer del film ‘Arance e martello’ di Diego Bianchi (meglio noto come ‘Zoro’) prossimo ad uscire, un gruppo di commercianti dello storico mercato ‘dietro’ San Giovanni è posto, diciamo così, sotto sfratto.
Zoro nasce dal web, da youtube, dalle puntate di Tolleranza Zoro che gli hanno fatto guadagnare un pubblico vastissimo grazie alla sua comicità che, in realtà, erano flussi di coscienza del militante/elettore medio del Partito Democratico.
Le due voci che a volte diventavano tre, come le correnti del Pd in vista delle tanto declamate e schernite da egli stesso, primarie dei democratici; l’imitazione di Lavitola che, a onor del vero, ha strappato più di un sorriso a qualcuno con il suo «Lavitola di un latitantolo è piena di insidie e poi, sa, io col pesce ci campo..».
Insomma, anche Zoro, dopo ‘qualche’ stagione di youtube, sbarca in televisione con Gazebo: va in onda supportato da Mirko Matteucci «in arte e al lavoro Missouri 4», conosciuto in una delle puntate di Tolleranza Zoro, durante la famosa protesta dei taxisti della Capitale; Marco Damilano, giornalista; Makkox, vignettista; e un trittico musicale composto – inizialmente – da Awa Ly, Giovanni di Cosimo e Roberto Angelini, preso in giro per la sua canzone di molti anni fa dal titolo “Gatto Matto”.

Ovviamente ‘Arance e martello’, come già scritto, deve ancora uscire nelle sale cinematografiche e per ora chi scrive si appoggia al solo trailer che, però, lo ha fatto sussultare più del dovuto quando i proprietari dei banchi del mercato di via Orvieto si rivolgono alla sezione (in realtà ‘circolo’) del Pd di San Giovanni.

In un’intervista di Maria Pia Fusco per ‘Repubblica’, Zoro afferma: «Arance e martello si svolge nell’arco di una sola giornata del 2011, con i vestiti, la lingua, il costume di due anni fa. È un film politico e anche storico».

Perché proprio il 2011?
«Avevamo Berlusconi presidente del Consiglio, Alemanno sindaco di Roma, senza dimenticare la Polverini presidente della regione, non ci siamo fatti mancare niente. Già fare politica non ti rende fico, in quel periodo per un militante di sinistra il livello di impopolarità era altissimo. L’elemento narrativo è che nel 2011 la sezione del Pd prese un’iniziativa originale, che trovai esilarante: la raccolta di 10 milioni di firme per far dimettere Berlusconi. Ci mobilitammo, firmammo tutti, sapendo benissimo che non sarebbe servito a niente. Ecco, il film racconta la giornata in cui il mercato reagì all’iniziativa».
Le firme del Partito Democratico per far dimettere Berlusconi sono servite a ben poco dal momento che il ministro Maria Elena Boschi ha dichiarato come il dialogo con Forza Italia sia doveroso dal momento che «è un partito che possiede milioni di voti».
Che non lo si voglia prendere in considerazione o meno, la questione politica c’è ed è evidente: è un menhir di Goscynniana memoria, non un sassetto da prendere a calci al posto di un pallone.
Affermare, come ha fatto ancora il video blogger e conduttore televisivo Zoro, che il Partito Democratico affondi le radici nella storia del Partito Comunista Italiano - poi trasformatosi in Partito Democratico della Sinistra, poi in Democratici di Sinistra e infine fusi con La Margherita e i Popolari per dar vita al Pd – è un inganno. Solo semantico? Non proprio.
Da una parte la traduzione mediatica del Pci che diventa Pd nel corso del tempo, dall’altra il neo Presidente del Pd che ha come mito Palmiro Togliatti ma come segretario Matteo Renzi il ‘liberista di sinistra’, come si è autodefinito in un’intervista al quotidiano ‘Il Foglio’ realizzata da Claudio Cerasa.
Il sogno ‘obamiano e riformatore’ che aveva spinto inizialmente il Pd, si ammetta anche da parte democrat, si è sciolto come neve al sole già prima che il gelato raggiungesse la cialda a forma di cono.
La continua traduzione mediatica che si fa del percorso Pci-Pds-Ds-Pd è, in un certo qual modo, funzionale a far rimanere attaccata una parte, sempre più piccola, di elettorato democratico a quella che era la sua storia, brutalmente scippata e resa ininfluente in nome del ‘tempo che passa’. L’unico che parlava di Marx, Lenin, di Rivoluzione, all’interno delle scarne scene dal trailer di ‘Arance e Martello’, targato Fandango, era un energico anziano della sezione che, al suo infervorarsi, veniva placato da un calmo 40enne, marginalizzando dei temi a persone ‘in avanti’ con l’età. Così, infatti, il segretario democratico, il 25 aprile twittava ‘un grazie ai ribelli di allora’.
Ribelli che avevano un’ideale che lottavano per un “mondo più giusto, più libero e lieto”, come scriveva Italo Calvino, che “marciavano con l’anima in spalla”.
Il sentimentalismo e l’affetto di Zoro, comunque sia, nei confronti di quel luogo-politico targato Pd-San Giovanni c’è ed è presente, dal momento che nei suoi racconti torna molto spesso il tema della vendita domenicale de L’Unità.
Giornale, così come quell’organizzazione politica, che non tornerà.
Sarà, poi, che da quando Zoro ha preso in giro dei manifestanti di una manifestazione anti austerità che, sfilando per le vie della Capitale, alla fine di Bandiera rossa avevano intonato un «W Marx, W Lenin, W Mao-Tse-Tung» bollandoli come anacronistici e ridendo delle loro ‘strofe, personalmente l’ho posto sotto un'altra ottica. E anche Gazebo lo guardo meno volentieri.
"Arance e Martello", nonostante titolo e idea possano essere un buon mix, comunque, non è foriero di un’idea reale: i commercianti, specialmente nel 2011, non si sarebbero rivolti al Pd locale. Nella vita reale sarebbe andata molto diversamente, come commenta lo stesso Zoro.
Menzione d'onore, comunque, a Tirabassi che interpreta l'onorevole "Quattordicine".
p.s. La fine di Bandiera rossa di cui sopra, la si cantava nelle manifestazioni del PCI, o almeno così i compagni più anziani mi hanno sempre detto. Anzi, in realtà dopo quel triumvirato (Marx-Lenin-Mao-Tse-Tung) si chiamava in causa anche uno con baffi molto in vista.

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