Si tagliano gambe e braccia con vetri, coltellini e lamette per sfogare il disagio. "Quando esce il sangue la pelle brucia, ma dentro, nel cuore, arriva la tranquillità". E' la nuova frontiera dell'autolesionismo giovanile e gli psicologi che lavorano nelle scuole parlano già di un'epidemia
di MARIA NOVELLA DE LUCASi chiama "cutting", è la non recentissima ma ora dilagante nuova frontiera dell'autolesionismo giovanile, c'è chi utilizza lamette, chi vetri, chi addirittura lattine usate, gli psicologi di solito cauti con le cifre, parlano di "epidemia" di giovanissimi che si tagliano. "Quanti? Sempre di più, almeno quelli che vediamo nel nostro consultorio, e la prevalenza è femminile, ma il fenomeno è talmente in evoluzione che è impossibile avere numeri certi", conferma lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, fondatore del gruppo "Minotauro", una grande esperienza clinica tra i giovanissimi.
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Alcune stime ipotizzano il 10% dei teenager tra i 13 e i 16 anni, dunque oltre duecentomila adolescenti. Spiega Charmet: "Tagliarsi è un rito ipnotico e catartico. Il coltello che scava nella pelle, la vista del sangue, il batuffolo d'ovatta che si macchia, la ferita che diventerà una cicatrice e dunque un trofeo. Può essere la rabbia contro un'ingiustizia subita, un rifiuto amoroso, un fallimento a scuola: si volge il coltello contro se stessi quando ci si sente impotenti di fronte ad un dolore, un sopruso, una delusione. Attenzione però: anche se i ragazzi fanno di tutto per nascondere quei segni coprendoli con i pantaloni, sotto le maniche lunghe, l'autolesionismo è un gesto contro di sé che vuole parlare agli altri. Un grido d'aiuto insomma". Come quello di Benedetta. Che ha diciassette anni e da due anni si taglia. Si fa male. Infiniti segni sulla pelle. "Ho iniziato quando i miei genitori si sono separati. Soffrivo ma lo nascondevo. Volevo restare la ragazza più-che-perfetta di cui erano sempre andati fieri. Ma nello studio perdevo colpi, e tagliarmi mi dava sollievo. Il dolore della lama, il sangue caldo: chiudevo la porta del bagno della scuola, l'ansia scompariva e alle interrogazioni vincevo di nuovo...". Fino ad una notte d'estate quando Benedetta nel sonno "perde il controllo", scopre un braccio e sua madre vede per la prima volta le cicatrici. "Mi sono svegliata e l'ho sentita piangere accanto a me: pensava che quei segni fossero i buchi dell'eroina. Le ho raccontato tutto: ho accettato di curarmi, capisco di avere un problema, ma non ho ancora smesso". E sono proprio gli psicologi che hanno i centri di ascolto nelle scuole ad aver lanciato l'allarme sulla diffusione "epidemica" del cutting, e sulla sua replicazione virale attraverso ogni tipo di social e in particolare su "Tumblr". Dove però Aurelia, 16 anni, invece scrive: "Mi ferivo perché non ne potevo più di essere sola. Perché le altre mi avevano isolata. Adesso quando ho voglia di tagliarmi invece di prendere la lametta mi disegno una farfalla sulle braccia, sui polsi, sono piena di farfalle dappertutto...". In realtà "The butterfly project" è una vera e propria disintossicazione dall'autolesionismo, un percorso complesso dove il disegno della farfalla è soltanto il primo passo per tornare a prendersi cura di sé. E di quella farfalla da non uccidere e da non ferire si occupa l'Asif, "Adolescent Self Injury Foundation", team formato da medici, psichiatri, psicoterapeuti ma anche da genitori di ragazzi "cutter" ed ex pazienti oggi guariti, prezioso riferimento per chiunque tenti di uscire dalla dipendenza del farsi male. Le ragazze soprattutto. Sembra strano infatti, ma nell'età in cui è più forte l'esaltazione estetica, aggiunge Charmet, "le adolescenti maltrattano il proprio corpo con tagli, cicatrici, piercing, sfogano la propria rabbia contro quel fisico a cui tanto tengono, così come da piccole riversavano le proprie sofferenze sulla bambola più amata, tagliandole i capelli o magari facendola a pezzi". Seduta ai tavolini di un caffè-bistrot nel parco romano di Villa Pamphili, Maria Teresa, 15 anni, accompagnata dalla madre Sara, mostra i "disegni" sulle sue braccia. Una specie di scacchiera di graffi e croste, il segno nitido della lametta o di qualche punta aguzza, tagli recenti, freschi, terribili. "Parlo soltanto perché me l'ha chiesto mia madre e perché ho deciso di smettere. Mi ferisco quando sto male, quando il mondo mi rifiuta, quando mi sento brutta, quando i ragazzi non mi invitano ad uscire, quando tutto mi sembra inutile. E' una liberazione, sapete? Il sangue è rosso, è vita... Lo faccio qui, al parco, con le forbicine, il rasoio, con quello che capita. Ma per il resto sono normalissima, vado bene a scuola, se non avessi chiesto aiuto io a mia madre, nessun a casa si sarebbe accorto di nulla". La pelle, diaframma tra il dentro e il fuori. Sara annuisce, con tristezza. "La verità è che da tempo Teresa non faceva più vedere il suo corpo a nessuno, nemmeno a me. Maniche lunghe, pantaloni, calze scure. Forse perché è un po' tonda, mi dicevo, un po' in sovrappeso, capita che molte ragazze nell'adolescenza entrino in crisi con la propria immagine. Ripassavamo insieme la sera, mi raccontava della scuola, delle amiche... Quanto sono stata superficiale. Poi qualche settimana fa Teresa è corsa da me in lacrime: una delle ferite si era infettata, il braccio era gonfio e lei scottava. Ci siamo abbracciate e l'ho portata di corsa al pronto soccorso. Adesso Teresa è in terapia. E anch'io". Federico Bianchi di Castelbianco, dirige l'Ido, l'Istituto italiano di ortofonologia, storico centro per i disturbi del linguaggio e di psicoterapia dell'età evolutiva. Ed è proprio degli psicologi dell'Ido che lavorano nelle scuole secondarie l'ultimo allarme sul "cutting" tra gli adolescenti. "Sono decine i ragazzi che rivelano questa pratica nascosta nei nostri centri di ascolto, con fenomeni di emulazione sempre più diffusi. Dicono che quei tagli tolgono il dolore e restituiscono la vita. Spesso è un senso di inadeguatezza che li tormenta. Molti per fortuna smettono da soli... Ma noi intercettiamo soltanto una piccola parte del fenomeno, soltanto i ragazzi che scelgono di bussare alla porta dello psicologo scolastico. E quei pochi sono già disponibili a farsi aiutare. Il problema sono tutti gli altri che continuano a farsi del male". Scrive sul profilo Facebook "Rosso sangue" autolesionista anonima: "Non chiedermi perché mi taglio, non farmi domande stupide. Quando non ce la fai più in quale modo devi abbandonare il dolore... E a volte non hai scelta di fronte a quella dannata lametta". | ||||||
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