martedì 1 luglio 2014

Riflessioni di sinistra. Syriza italiana - Viale: Lo spettro di un altro soggetto politico.


Lista Tsipras. Per passare dalle parole ai fatti, l’Altra Europa deve mettersi alla prova nei gruppi di lavoro locali, promuovendo collegamenti nazionali e internazionali, anche grazie alla nostra presenza nel parlamento europeo. Il modello dovrebbe essere quello dei beni comuni. L'Europa deve essere: democratica, federale, solidale, ecologica, inclusiva e pacifica.

Il Manifesto Guido Viale

Domani Renzi inau­gu­rerà il seme­stre di pre­si­denza ita­liana dell’Unione euro­pea. Nono­stante i giri di parole, è un’Europa che non cam­bia. Noi vogliamo un’altra Europa: demo­cra­tica, fede­ra­li­sta, soli­dale, eco­lo­gica, inclu­siva, pacifica. Demo­cra­tica, cioè con una vera Costi­tu­zione, con un governo sovra­na­zio­nale a base par­la­men­tare, auto­nomo dai poteri dell’alta finanza, che defi­ni­sca le poli­ti­che eco­no­mi­che, sociali, ambien­tali e cul­tu­rali. Ma la demo­cra­zia riguarda anche i sin­goli paesi.
Dob­biamo pre­ser­vare l’impianto della Costi­tu­zione ita­liana e fer­mare l’erosione della demo­cra­zia da tempo in corso. Inol­tre, alla demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva occorre affian­care, in tutto il con­ti­nente, nuove forme di demo­cra­zia par­te­ci­pa­tiva di pros­si­mità, che è ciò che tra­sforma risorse e ser­vizi in beni comuni.
Fede­rale, non signi­fica un aggre­gato di Stati, ma una riva­lu­ta­zione radi­cale delle auto­no­mie locali; dei Comuni o delle unioni di pic­coli Comuni: le isti­tu­zioni più vicine ai cit­ta­dini, dove è meno dif­fi­cile dar vita a forme di demo­cra­zia partecipativa.

Soli­dale: i paesi dell’Unione devono con­di­vi­dere costi e bene­fici del cam­mino comune: non solo moneta, ma debiti, tassi di inte­resse, fisco, inve­sti­menti pub­blici. Altre forme di soli­da­rietà devono riguar­dare anche tutti gli altri paesi del mondo, a par­tire da quelli rima­sti ai mar­gini dei bene­fici, ma non dei costi, dello svi­luppo indu­striale. Ma soli­da­rietà vuol dire soprat­tutto giu­sti­zia sociale in ogni paese; redi­stri­bu­zione del lavoro, del potere con­trat­tuale, del red­dito, degli oneri fiscali, dell’istruzione, dei pre­sidi sani­tari, dei diritti. Senza esclu­dere il rispetto di tutto il vivente e della natura.
Eco­lo­gica vuol dire fare i conti non solo con la natura pro­dotta dall’evoluzione geo­lo­gica e bio­lo­gica del pia­neta, ma anche con quella “seconda natura” in cui siamo ormai tutti immersi, pro­dotta dalla rivo­lu­zione indu­striale, dai mate­riali sin­te­tici, dalla pro­li­fe­ra­zione di pro­dotti e rifiuti – solidi, liquidi e gas­sosi — gene­rati dalla “civiltà” dei con­sumi. Occorre ritro­vare un equi­li­brio fra mondo natu­rale e mondo arti­fi­ciale che impe­di­sca a que­sto di sof­fo­care quello. Pur­troppo l’Unione euro­pea si sta pro­gres­si­va­mente disim­pe­gnando dalle poli­ti­che ambien­tali, men­tre mano­mis­sione e inqui­na­mento di ogni sin­golo ter­ri­to­rio non fanno che aumentare.
Inclu­siva: l’Europa non deve più essere gover­nata come una “for­tezza” asse­diata da una “armata” di pro­fu­ghi e migranti in cerca della pro­pria soprav­vi­venza. In un’Europa soli­dale ci deve essere posto per tutti. Emar­gi­na­zione, clan­de­sti­nità, discri­mi­na­zione raz­ziale – sia quella su basi bio­lo­gi­che o cul­tu­rali, che quella sem­pre più dif­fusa con­tro i poveri – sono cala­mite di nuove mise­rie che si ripro­du­cono in una spi­rale senza sboc­chi. L’accoglienza con­sente invece un diverso rap­porto con le popo­la­zioni e con le isti­tu­zioni dei paesi di ori­gine di pro­fu­ghi e migranti; rico­no­scere loro diritti e rap­pre­sen­tanza può faci­li­tare la com­po­si­zione dei con­flitti che ne deter­mi­nano l’esodo e una cir­co­la­zione di per­sone, di com­pe­tenze e di rela­zioni che pos­sono arric­chire sia i paesi di ori­gine che quelli di arrivo. Ma l’inclusione riguarda ogni forma di diver­sità – che messe tutte insieme costi­tui­scono ormai una vera mag­gio­ranza sociale – che, prima di met­tere sotto accusa idee e com­por­ta­menti altrui, inter­pel­lano innan­zi­tutto le nostre con­ce­zioni e il nostro stile di vita. Que­sto vale in par­ti­co­lare nei con­fronti della cul­tura e del potere patriar­cale che con­ti­nua a domi­nare la vita eco­no­mica e sociale in tutta l’Europa e par­ti­co­lar­mente nel nostro paese.
Paci­fica: non basta garan­tire la pace all’interno se ai con­fini imper­ver­sano con­flitti san­gui­nari. L’Europa deve avere un ruolo attivo nella com­po­si­zione dei con­flitti altrui; spe­cie quelli pro­dotti dai pro­pri inte­ressi, come la corsa al petro­lio o l’esportazione di armi. Nei con­fronti delle atti­vità eco­no­mi­che che ali­men­tano quei con­flitti occorre poi pro­get­tare una vera ricon­ver­sione ecologica.
L’articolazione ulte­riore di que­sti con­cetti non può pro­ce­dere però per logi­che interne, ma solo met­ten­doli alla prova nei ter­ri­tori o in spe­ci­fici ambiti set­to­riali. La lista L’altra Europa con Tsi­pras ha finora rac­colto solo una pic­cola parte di quel fer­vore di lotte, di ini­zia­tive, di pro­get­tua­lità alter­na­tive che con­trad­di­stin­gue da anni il nostro paese. Ma è con que­ste realtà che ora occorre con­fron­tarsi e pren­dere ini­zia­tive comuni, orga­niz­zan­dosi a livello locale per gruppi di lavoro o per com­mis­sioni tema­ti­che, pro­muo­vendo col­le­ga­menti nazio­nali e inter­na­zio­nali (gra­zie anche alla nostra pre­senza nel par­la­mento euro­peo e nel Gue), ma soprat­tutto andando a cer­care que­gli inter­lo­cu­tori, sin­goli o già orga­niz­zati, che non sono stati coin­volti dalla nostra mobi­li­ta­zione elet­to­rale, per pro­muo­vere con loro con­fronti e ini­zia­tive comuni su un piano di asso­luta parità. Tutti pos­sono arric­chire, con ini­zia­tive con­di­vise, un pro­gramma che si deve fare pra­tica poli­tica quotidiana.
Ma que­sto pro­gramma si deve anche con­so­li­dare sul piano cul­tu­rale. Intorno al pro­getto della lista L’altra Europa si è rac­colto in pochi mesi il meglio dell’intelligenza ita­liana. I nomi sono tan­tis­simi. A tutti dob­biamo offrire un ter­reno di con­fronto con le nostre pra­ti­che per dare al pro­getto, nella più asso­luta libertà di cia­scuno, un respiro indi­spen­sa­bile a pro­muo­vere una rifon­da­zione su nuove basi di una cul­tura della demo­cra­zia e della soli­da­rietà da con­trap­porre a quella impe­rante della com­pe­ti­ti­vità. Abbiamo due modelli dalle grandi poten­zia­lità: la Costi­tuente dei beni comuni, che ha visto il meglio della dot­trina giu­ri­dica ita­liana soste­nere alcune lotte come l’occupazione del Tea­tro Valle, il Muni­ci­pio dei Beni comuni di Pisa e altre ini­zia­tive ana­lo­ghe; e la costi­tu­zione dell’azienda spe­ciale Acqua Bene Comune di Napoli, prima tra­du­zione pra­tica degli obiet­tivi dei refe­ren­dum del 2011.
Que­sto approc­cio aperto a ogni sorta di nuovi apporti ha certo biso­gno di stru­menti di coor­di­na­mento e di comu­ni­ca­zione migliori, evi­tando però strut­ture pesanti e dif­fi­cili da ridi­men­sio­nare. Ma biso­gne­rebbe evi­tare di con­cen­trarsi su uno spet­tro che si aggira nel nostro dibat­tito interno: il “nuovo sog­getto poli­tico” (o “sog­getto poli­tico nuovo”); o la “costi­tuente della sini­stra”; o, senza tante media­zioni, il “nuovo partito”.
Per­ché il ter­mine sog­getto poli­tico, men­tre sem­bra esal­tare l’iniziativa e l’autonomia di un agire comune, fini­sce spesso, invece, per rin­chiu­derlo in qual­cosa di solido, di sostan­ziale, di auto­suf­fi­ciente e rischia di disto­gliere il dibat­tito e l’agire dall’impegno a svi­lup­pare nella pra­tica quo­ti­diana il tema dell’Europa che vogliamo, dell’Italia che vogliamo, della società che vogliamo. Non sto par­lando del “sol dell’avvenire”, ma, più mode­sta­mente, di una visione del futuro che vede con­flitto e par­te­ci­pa­zione, varia­mente intrec­ciati tra loro, come com­po­nenti per­ma­nenti di una dina­mica sociale in cui a ogni gene­ra­zione tocca fare i conti con le acqui­si­zioni e le scon­fitte di quella precedente.
Il rischio è quello di un dibat­tito con­fi­nato al tema di come costruire il nuovo sog­getto, o il nuovo par­tito, o la nuova sini­stra, sot­tin­ten­dendo che il come tra­sfor­mare i rap­porti sociali con la nostra pra­tica quo­ti­diana ne discenda auto­ma­ti­ca­mente; o comun­que sia una que­stione del “dopo”. Tra­scu­rando, per di più, la dimen­sione euro­pea e inter­na­zio­nale in cui la lista L’altra Europa ha voluto col­lo­care fin dall’inizio la pro­pria iniziativa.

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