sabato 5 luglio 2014

Palestina. Gaza, la guerra che verrà.

Territori Occupati. La Striscia vive nell'angoscia della nuova offensiva che minaccia il premier israeliano Netanyahu in ritorsione contro Hamas per l'uccisione dei tre ragazzi ebrei in Cisgiordania. A pagare sarà comunque la popolazione civile.
Il Manifesto Michele Giorgio
«Non puoi pas­sare, occorre far parte di una lista di gior­na­li­sti auto­riz­zati per entrare (a Gaza)». Cadiamo dalle nuvole. Inu­tile far notare che que­sta dispo­si­zione non è mai stata comu­ni­cata alla stampa estera. Alla fine, dopo un’ora pas­sata tra tele­fo­nate di pro­te­sta e discus­sioni con gli agenti della società di sicu­rezza che gesti­sce il valico di Erez, otte­niamo il via libera. Anche per i gior­na­li­sti con rego­lare accre­dito si fa più dif­fi­cile entrare a Gaza. I comandi mili­tari israe­liani ora richie­dono un “coor­di­na­mento”, ossia essere infor­mati in anti­cipo dell’intenzione dei media di inviare un loro gior­na­li­sta a Gaza. Un uffi­ciale ci spiega che le nuove pro­ce­dure d’ingresso per la stampa sono state decise dopo il rapi­mento, il 12 giu­gno, dei tre gio­vani israe­liani tro­vati morti a ini­zio set­ti­mana in Cisgior­da­nia. Non riu­sciamo pro­prio a capire il col­le­ga­mento tra la libertà di svol­gere il pro­prio lavoro a Gaza e il caso dei tre ragazzi ebrei, ma alla fine entriamo. E siamo dav­vero for­tu­nati rispetto alle decine di pale­sti­nesi, donne in pre­va­lenza, in attesa di poter tran­si­tare. Tor­nano a casa, alcuni dopo un inter­vento chi­rur­gico in un ospe­dale meglio attrez­zato in Cisgior­da­nia o in Israele. Ma non hanno un accesso faci­li­tato, devono aspet­tare l’autorizzazione per il pas­sag­gio del valico. E l’attesa può durare anche ore. Fa caldo, molto. Il sole bru­cia e il cielo è lim­pido. Eppure su Gaza gra­vano ugual­mente nuvole nere. Si avvi­cina la tem­pe­sta di una nuova guerra. L’esercito israe­liano ieri ha deciso di inviare rin­forzi mili­tari verso Gaza per, ha spie­gato, «sco­rag­giare» il movi­mento isla­mico Hamas e altri gruppi armati dal lan­ciare razzi. Il tenente colon­nello e por­ta­voce mili­tare Peter Ler­ner mini­mizza, descrive la deci­sione come fina­liz­zata alla “de-escalation”, a ridurre la ten­sione e a far tor­nare la calma. A Gaza si vedono le cose in modo molto diverso. Per­chè l’aviazione israe­liana – con F-16, droni ed eli­cot­teri – ha lan­ciato decine di raid nelle ultime 72 ore e nono­stante la “de-escalation” i civili pale­sti­nesi si atten­dono nuovi bom­bar­da­menti. Pre­lu­dio di quella ritor­sione per l’uccisione dei tre ragazzi ebrei che il pre­mier Neta­nyahu ha pro­messo ai tanti che in Israele da giorni invo­cano, anche su Face­book, una puni­zione esem­plare per i palestinesi.
Nella notte tra mer­co­ledì e gio­vedì, men­tre la Geru­sa­lemme araba si tra­sfor­mava in un campo di bat­ta­glia per il seque­stro e l’omicidio, com­piuto, pare, da coloni israe­liani, di un ragazzo pale­sti­nese, Moham­med Abu Khdeir, i mis­sili sgan­ciati dai jet dello Stato ebraico mar­tel­la­vano 15 punti di Gaza, facendo almeno 11 feriti tra i quali una anziana, tre ragazze e un gio­vane 17enne, il più grave di tutti per­chè col­pito da schegge di metallo. Per il por­ta­voce israe­liano le bombe hanno cen­trato sol­tanto depo­siti di armi e rampe di lan­cio di mis­sili. La notte pre­ce­dente erano state prese di mira pre­sunte instal­la­zioni mili­tari di Hamas a Khan Yunis e Rafah. «I boati delle esplo­sioni erano così potenti che tre­ma­vano i vetri delle case anche qui a Gaza city», ricorda Meri Cal­velli una coo­pe­rante ita­liana che vive e lavora da anni in Pale­stina. E a Gaza nes­suno dimen­tica che il mese scorso il pic­colo Ali Abd al-Latif al-Awour, di 7 anni, è morto dopo tre giorni di ago­nia per le ferite ripor­tate in un attacco di un drone aveva come obiet­tivo un pre­sunto jiha­di­sta. Una delle tante morti pale­sti­nesi che i media tra­scu­rano, tal­volta oscurano.
I mili­ziani dei gruppi armati da parte loro con­ti­nuano a lan­ciare razzi, in par­ti­co­lare verso la vicina cit­ta­dina israe­liana di Sde­rot dove non hanno fatto feriti ma hanno pro­vo­cato spa­vento, cau­sato danni in qual­che caso gravi e costretto migliaia di civili a tenere aperti i rifugi di sicu­rezza. «A lan­ciarli per la prima volta dal 2012 (dall’accordo di ces­sate il fuoco che mise fine all’offensiva aerea israe­liana “Colonna di Difesa”, ndr) è anche Hamas, non solo i Comi­tati di Resi­stenza Popo­lare o i sala­fiti, in rea­zione alla cam­pa­gna di arre­sti con­tro i suoi lea­der in Cisgior­da­nia e all’assassinio di Moham­med Abu Khdeir», ci spiega un gior­na­li­sta di Gaza in con­di­zione di anonimato.
Secondo Shi­mon Schif­fer, uno dei gior­na­li­sti israe­liani meglio inse­riti ai ver­tici dell’establishment politico-militare del suo paese, nei pros­simi giorni «L’obiettivo prin­ci­pale dell’esercito sarà quello di limi­tare le capa­cità di Hamas in Cisgior­da­nia e di cer­care di creare un nuovo equi­li­brio di potere a Gaza». Israele, afferma, non vuole rioc­cu­pare la Stri­scia ma costi­tuire «la base per una chiara stra­te­gia nelle set­ti­mane e nei mesi a venire». Il pre­mier Neta­nyahu, aggiunge Schif­fer, «ha biso­gno di pen­sare fuori dagli schemi. Ha biso­gno di tro­vare una rispo­sta crea­tiva, inat­tesa e audace alla cre­scente minac­cia del ter­ro­ri­smo. In caso con­tra­rio, con­ti­nuerà solo pro­met­tere la linea dura con Hamas». Insomma una «guerra crea­tiva» che comun­que pagherà la popo­la­zione civile di Gaza e non certo o non solo Hamas preso di mira nei discorsi e negli ultimi inter­venti del pre­mier israe­liano e dei suoi mini­stri. In vista della guerra «crea­tiva» di Shi­mon Schif­fer, la gente di Gaza fa prov­vi­sta, accu­mula generi di prima neces­sità, cerca di pro­cu­rarsi medi­ci­nali. Chi può per­met­ter­selo acqui­sta decine di bot­ti­glie di acqua, i più poveri, ossia gran parte della popo­la­zione, con­ti­nua a bere l’acqua ormai salata che esce dai rubi­netti. Asmaa al Ghoul, una cyber-attivista, ci dice che a dif­fe­renza delle pre­ce­denti offen­sive mili­tari, “Piombo Fuso” (2008) e “Colonna di Difesa”, sta­volta gli abi­tanti di Gaza cul­lano una spe­ranza. «Si dif­fonde l’idea che Israele alla fine non attac­cherà in massa – rife­ri­sce -, lunedì scorso quando hanno tro­vato i corpi dei tre coloni la guerra era sicura. Poi degli israe­liani hanno rapito e ucciso bru­tal­mente un ragazzo pale­sti­nese a Geru­sa­lemme (Moham­med Abu Khdeir, ndr) e que­sta noti­zia ha fatto il giro del mondo ren­dendo dif­fi­cile per Neta­nyahu sca­te­nare un nuovo inferno (a Gaza)».
Scende il sole, il tra­monto porta con sè l’invito alla pre­ghiera del muez­zin. Le auto improv­vi­sa­mente spa­ri­scono. Le strade si svuo­tano. Il pro­fumo dei piatti tipici si dif­fonde nelle scale dei palazzi e nelle case. La gente torna a casa per l’iftar, la cena che nel Rama­dan chiude il digiuno comin­ciato all’alba, e per stare insieme a parenti e amici. Il mese più impor­tante dell’anno isla­mico Gaza lo vive nell’angoscia di una guerra sul punto di ini­ziare. Amer Abu Sama­dana, un inse­gnante di Rafah che vive e lavora nel capo­luogo Gaza city, ci offre la sua spie­ga­zione: «Gli israe­liani puni­scono una intera popo­la­zione per i lanci di razzi, ci bom­bar­dano, ci ucci­dono. Piut­to­sto dovreb­bero chie­dersi per­chè i pale­sti­nesi spa­rano quei razzi. Sono un uomo tran­quillo – aggiunge – e non un soste­ni­tore della lotta armata e di chi prende di mira le città dall’altra parte (del con­fine) ma gli israe­liani devono capire che non pos­sono tenerci pri­gio­nieri, sotto asse­dio, sotto pres­sione senza che que­sto pro­vo­chi la nostra reazione».
L’unica “nor­ma­lità” di Gaza in que­sti giorni è lo schermo della tele­vi­sione, il totem intorno al quale si riu­ni­scono le fami­glie per seguire i Mon­diali. L’Algeria ha occu­pato il cuore degli appas­sio­nati pale­sti­nesi ma la nazio­nale afri­cana è stata scon­fitta ed eli­mi­nata dalla Ger­ma­nia. Un affetto che il por­tiere Rais e gli altri nazio­nali alge­rini hanno voluto ricam­biare donando a Gaza il pre­mio con­se­guito ai Mon­diali, circa 6 milioni e mezzo di euro, frutto di tante buone pre­sta­zioni in que­sti ultimi anni e non solo di quelle viste al mon­diale in corso. Un gesto che Gaza ricor­derà per sem­pre anche se ora tifa Brasile.

Nessun commento:

Posta un commento