Al suo ritorno dall’Africa, in serata, il premier Matteo Renzi troverà ancora sassi a bloccare il binario della riforma costituzionale in Senato. Oggi l’aula di Palazzo Madama avrebbe dovuto cominciare a votare sugli emendamenti, ma non è andata così: si inizia a votare domani. Il blocco non sta tanto nei 200 emendamenti presentati dal M5s, che pure insiste con l’ostruzionismo in aula. No, l’ostacolo maggiore, a sentire il gruppo del Pd in Senato, sta nei circa 6mila emendamenti presentati dai sette senatori di Sinistra e Libertà.
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L’inizio di questa settimana, definita “decisiva” dal premier, è stato una prova del fuoco per il governo. Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi ha saggiato il gusto amaro dei fischi in aula, tributo dei grillini scatenati dai banchi dell’opposizione. “Qualcuno parla di svolta autoritaria: questa è un'allucinazione e come tutte le allucinazioni non può essere smentita con la forza della ragione”, ha detto il ministro. “E’ un percorso difficile ma affascinante quello che stiamo facendo insieme. Il governo ha legato in modo indissolubile il proprio cammino al percorso delle riforme”. Che è un modo per risfoderare l’arma principale che Renzi brandisce nei momenti di massima difficoltà: il ritorno al voto anticipato. Il che presupporrebbe: riforma della legge elettorale con chi ci sta (al Pd piace sempre molto la proposta grillina di ballottaggio di lista) e poi urne al più presto. Ma prima di arrivare fin lì, saranno esplorati tutti i margini di azione per riuscire sulle riforme prima delle ferie di agosto.
E quindi per rimuovere il sasso degli emendamenti governo e relatori si preparano a trattare. Con Sel e con il M5s, in primis. L’idea è di concedere qualcosa su questi punti: il referendum e le leggi di iniziativa popolare; i rapporti del nuovo Senato con l'Europa; la legge di bilancio e l'elezione del presidente della Repubblica. Sono punti che anche a detta della relatrice Anna Finocchiaro "meritano certamente un approfondimento". Solo con questi ritocchi, aggiunge la presidente della Prima Commissione di Palazzo Madama, è possibile pensare ad un “fisiologico svolgimento” dei lavori, cioè concludere entro l’estate. Insomma, lo dice chiaro Finocchiaro, per i tempi di approvazione della riforma “molto dipende dalla possibilità di trovare un’intesa su alcune questioni sollevate da Sel e M5s e sulle quali è possibile svolgere un approfondimento”. Non si tratta invece sul nodo dell’elettività, nemmeno a dirlo, ormai per il governo quel capitolo è chiuso.
Ma il punto è che anche la Lega continua ad alzare il tiro. Il capogruppo del Carroccio Gian Marco Centinaio ha chiesto “un rinvio della discussione sulle riforme perché ad oggi non abbiamo ricevuto risposte alle proposte da noi avanzate. Ci aspettavamo che il ministro Boschi nel suo intervento, facesse riferimento alle richieste migliorative della Lega nord al testo ma, non avendo ricevuto alcuna risposta, non possiamo votare la riforma. Ricordiamo al governo, che le nostre proposte sono molto articolate e non si limitano al tema del referendum e peraltro, corrispondono a molti dei rilievi fatti dai relatori". Ma per Finocchiaro il tema del ‘Titolo V’, quello più caro al Carroccio, è stato “riscritto ed è un ottimo punto di mediazione, sarebbe strano che la Lega votasse contro”.
Al gruppo del Pd al Senato fanno un po’ di conti e previsioni. Per lo meno non si aspettano sgambetti da Forza Italia, anche se le rassicurazioni di Silvio Berlusconi sulla tenuta del Patto del Nazareno non hanno ancora estirpato del tutto l’opposizione dei frondisti di Minzolini. Ad ogni modo, l’idea dei Dem è di impegnare questa settimana per verificare la possibilità di trovare un’intesa con Sel e M5s sugli emendamenti presentati. Ma sulla riforma si fa sempre più concreto lo spettro del contingentamento dei tempi, un’ipoteca pesante che scatenerebbe grillini e tutta l’opposizione come quando la presidente della Camera Laura Boldrini decise per la ‘ghigliottina’ sul decreto Bankitalia. Dunque, una scelta difficile. Ma l’unica possibile se i sassi continueranno a stare sui binari. Per ora la richiesta non è stata avanzata al presidente del Senato Piero Grasso. Ma, tra Pd e Palazzo Chigi, il rischio non è affatto escluso.
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