Quando la politica prescinde così platealmente dalla giustizia,
quest’ultima evapora. Negoziare non solo la legge elettorale ma anche la
Costituzione con un pregiudicato è difficilmente giustificabile perché
gli italiani si diranno: ma come, B. non era interdetto e incandidabile?
Che ne è, della maestà della Legge?
di Barbara Spinelli, da Repubblica
Difficile
pensare che un politico accorto, abituato a vincere, usi le parole a
casaccio. Che si spinga fino a dire, come Renzi dopo l’incontro con
Berlusconi al Nazareno, che nel colloquio è emersa «profonda sintonia».
Sintonia si ha quando il suono che emetti s’accorda perfettamente con un
altro. Se poi è addirittura profonda, ogni incongruenza diventa schiuma
delle cose. Schiuma la condanna giudiziaria del Cavaliere;
schiumal’imperio della legge.
Armonia regna. La Grande Trattativa
può iniziare. Se fosse una fiaba, e non un pezzo emblematico di storia
italiana, le incongruenze sarebbero normali: la montagna che scali è in
realtà una pianura, i sassolini bianchi che raccogli nel bosco ti fanno
dimenticare che la madre ti ha scacciato e gettato nella notte. Stoffa
delle fiabe è anche il ripetersi del perturbante, che risbuca uguale a
se stesso finché l’incanto si spezza.
Non così in politica, dove
il perturbante stride: per alcuni insopportabile, per altri
incomprensibile. Quando la politica prescinde così platealmente dalla
giustizia, quest’ultima evapora. Negoziare non solo la legge elettorale
ma anche la Costituzione con un pregiudicato è difficilmente
giustificabile perché gli italiani si diranno: ma come, Berlusconi non
era interdetto? incandidabile? Che ne è, della maestà della Legge?
La
fiaba, dice Cristina Campo, è una professione di fede; è «incredulità
nella onnipotenza del visibile». Non fidarti di quel che vedi, credi
piuttosto nell’invisibile, nel sotterraneo. Non è successo nulla nei
tribunali, Berlusconi s’è candidato alle europee e nessuno inarca il
sopracciglio. Quel che hai visto al Nazareno, la favola lo rende
possibile: la politica più che autonoma è sconnessa dalla giustizia,
Berlusconi ha milioni di elettori e solo questo conta. Lui l’ha sempre
preteso.
La sintonia affiorò subito, quando il manager entrò in
politica col suo enorme conflitto di interessi e gli fu condonato. A più
riprese fu poi protetto; in momenti critici Napolitano gli diede tempo
per rialzarsi; ogni volta lo scettro gli fu restituito. Lo stesso accade
oggi, sei mesi dopo la sentenza: il condannato s’accampa sugli schermi
come cofondatore, addirittura, di nuove Costituzioni. «La pacificazione
che non è riuscita a Letta è andata in porto con Renzi», si compiace
Forza Italia.
La pacificazione copre punti cruciali, a cominciare
dalla legge elettorale. Per Berlusconi l’Italia deve essere bipolare,
perfino bipartitica: sempre ha detto che l’esecutivo non va imbrigliato.
Solo di recente ha accettato, per convenienza, larghe intese. Renzi gli
fa eco: l’accordo «garantisce la governabilità, il bipolarismo, ed
elimina il ricatto dei partiti piccoli». La rappresentatività neanche è
menzionata. Forza Italia recupererà Alfano, ma il Pd chi recupererà? Non
solo: Berlusconi ha sempre voluto Camere di nominati, e con le liste
boccate (sia pur piccole) i nominati torneranno. Forse Renzi ci
ripenserà. Al momento, anch’egli sogna deputati controllabili. Ha tirato
fuori il doppio turno: che evita gli inciuci, non i parlamenti
blindati.
Una minoranza del Pd s’indigna («Mi sono vergognato »,
ha detto Fassina, e Cuperlo si è dimesso da Presidente). Ma anche qui
regna l’infingimento fiabesco. Chi s’offende ha fatto le stesse cose,
per vent’anni, senza vergogna in eccesso. Agì nell’identico modo
Veltroni, quando nel gennaio 2008 proclamò a Orvieto che il Pd rompeva
le alleanze e «correva da solo» contro Berlusconi. Meno di quattro mesi
dopo il governo Prodi cadeva, Berlusconi saliva al trono. Né furono meno
corrivi D’Alema, Violante, che ignorarono la legge sul conflitto
d’interessi aprendo le porte al capo d’un impero televisivo. Dicono
alcuni che Renzi può patteggiare, essendo «nato-dopo» questa storia di
compromessi. Ma i nati-dopo sono responsabili della Storia (compresa la
non elezione di Prodi e Rodotà al Quirinale, compreso il tradimento dei
101) anche se personalmente incolpevoli. Da quando guida il Pd,
l’incolpevole risponde del passato, e di un’autocritica storica che
tarda a venire.
Sostiene Renzi che tutto è diverso, oggi: la
sintonia è semplice accordo, obbligato e «fatto alla luce del sole». La
consolazione è magra. Berlusconi esce dalla notte ed entra nel giorno,
con lui si rifanno leggi elettorali e anche costituzioni. Smetterà
d’essere considerato un pregiudicato e dunque infido. Già ha smesso: è
il senso simbolico-fatato della Grande Trattativa.
Conta a questo
punto sapere l’oggetto del patto. Per alcuni è la salvezza del boss dai
giudici, vil razza dannata. Più nel profondo, è la consacrazione di
nuovi padri costituenti. Tra loro ha da esserci chi, anche se
condannato, s’ostina a definire desueta la Costituzione del ’48. L’ha
ribadito l’11 gennaio: «Abbiamo fiducia, con una legge elettorale che
dia il premio di governabilità del 15%, di arrivare da soli ad avere la
maggioranza in Parlamento, per poter farequello di cui l’Italia ha
bisogno dal 1948 a oggi». Il ’48, in altre parole, fu un inizio nefasto.
Non si sa se la sintonia profonda copra anche questo.
Renzi
parla solo di Senato e regioni, ma quel che succederà dopo non è chiaro.
Chiaro è però l’approdo: l’Italia deve essere bipolare, bipartitica, e i
governi non destabilizzabili da coalizioni insidiose. Un’ambizione
legittima, se l’Italia politica fosse davvero divisa in due. Ma è divisa
in tre: la crisi ha partorito Grillo. Semplificare quel che è complesso
è la molla di Berlusconi, di Renzi, di Letta, anche del Colle. Il fine è
un comando oligarchico, non prigioniero delle troppo frammentate
volontà cittadine. La soglia elettorale dell’8 per cento per i partiti
solitari è una mannaia. Grillo non temerà concorrenti.
Nel suo
ultimo libro, Luciano Gallino dà un nome alla nuova Costituzione cui
tanti tendono: la chiama costituzione di Davos. Il termine lo coniò in
una riunione a Davos Renato Ruggiero, ex direttore dell’Organizzazione
mondiale per il commercio: «Noi non stiamo più scrivendo le regole
dell’interazione tra economie nazionali separate. Noi stiamo scrivendo
la costituzione di una singola economia globale». Un obiettivo non
riprovevole in sé (anche Kant l’immaginò), se lo scopo non fosse quello
di «proteggere un’unica categoria di cittadini, l’investitore societario
globale. Gli interessi di altre parti in causa — lavoratori, comunità,
società civile e altri i cui diritti duramente conquistati vennero
finalmente istituzionalizzati nelle società democratiche — sono stati
esclusi» (Gallino,Il colpo di Stato di banche e governi, Einaudi 2013).
Non
stupisce che 5 Stelle (o altri movimenti alternativi) disturbino i
semplificatori. Sia pure caoticamente, la società civile — quella vera —
s’interessa alla politica perché vede minacciati non interessi di parte
ma il
pubblico bene,come definito da Machiavelli: proprio il bene
ignorato dalla costituzione di Davos. Non stupisce nemmeno che nelle
mappe raffiguranti l’odierno Parlamento, lo spicchio di 5 Stelle perda
spesso il nome: è occupato da «Altri». Era così nelle mappe del decimo
secolo. Dove cominciavano terre sconosciute, specie asiatiche, si
scriveva:
Hic abundant leones, qui abbondano i leoni. Questo forse
intendeva il capo dello Stato, dopo le amministrative del ‘12, quando di
Grillo disse: «Non vedo boom».
I leoni sono ora in Parlamento, e
ci torneranno. Possono dire qualcosa, difendere la Costituzione del
’48, la legalità. È grave che non agiscano, lasciando che la Sintonia
sia ancor più vasta. Il loro sbigottimento di fronte all’incontro che ha
rilegittimato un politico condannato lo si può capire. È vero,
«l’Italia è in preda alle allucinazioni e ai déjà-vu». Ma lo stato di
stupore non è sufficiente. Alla lunga paralizza. La Grande Trattativa
non è scongiurata: davanti a tanti volti trasecolati, può proseguire nei
più imprevedibili dei modi.
(22 gennaio 2014)
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giovedì 23 gennaio 2014
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