sabato 4 gennaio 2014

Diaz, «non si sono mai pentiti»

Non si è mai pen­tito, non ha voluto risar­cire le vit­time e non ha col­la­bo­rato con la magi­stra­tura. Per que­sto il Tri­bu­nale di sor­ve­glianza di Genova ha negato l’affidamento in prova a Fran­ce­sco Grat­teri, ex numero tre della poli­zia ita­liana. Dodici pagine di ordi­nanza con cui i giu­dici geno­vesi sot­to­li­neano come Grat­teri non abbia fatto nulla di quanto richie­sto dal Tri­bu­nale, vale a dire una pub­blica assun­zione di respon­sa­bi­lità e il risar­ci­mento almeno par­ziale delle vit­time. Ma fin dall’udienza dello scorso aprile, quando i ver­tici della Que­stura geno­vese arri­va­rono a Palazzo di Giu­sti­zia a por­tare soli­da­rietà a lui e agli altri super poli­ziotti della Diaz, era chiaro che scuse non ce ne sareb­bero state.
Grat­teri, in par­ti­co­lare, dopo aver saputo del parere con­tra­rio all’affidamento della Pro­cura gene­rale, ha depo­si­tato un appunto in cui si è limi­tato a defi­nire la Diaz un «grave inci­dente che cer­ta­mente non ho cer­cato né voluto», seguito da una memo­ria in cui ha riba­dito che la con­danna non è per le vio­lenze e sarebbe deri­vata dal fatto che altri non hanno voluto assu­mersi le pro­prie respon­sa­bi­lità. Per i giu­dici di sor­ve­glianza invece Grat­teri è stato respon­sa­bile di «gra­vis­simi atteg­gia­menti di mini­miz­za­zione», in par­ti­co­lare quando si pre­sentò alla Com­mis­sione par­la­men­tare di inda­gine (a pochi mesi dal G8), davanti alla quale «lungi dal pale­sare il pro­prio ram­ma­rico» parlò di «con­dotta ener­gica» e moda­lità ope­ra­tive «legit­ti­ma­mente adot­tate». Posi­zione che non cam­bia nem­meno dopo, con un «per­si­stente atteg­gia­mento men­tale giu­sti­fi­ca­tivo del pro­prio com­por­ta­mento anti­do­ve­roso». Negando ogni «mani­fe­sta­zione di per­so­nale con­tri­zione per il male ad altri arre­cato — scri­vono i giu­dici — ma anche insi­stendo nell’individuare la con­se­guenza più impor­tante della vicenda nella pro­pria per­so­nale mor­ti­fi­ca­zione, Grat­teri ha dato prova di non essere dispo­ni­bile a quel per­corso di revi­sione cri­tica che costi­tui­sce ele­mento por­tante delle misure alter­na­tive alla deten­zione».


Anche per quanto riguarda il risar­ci­mento delle vit­time, «pur aven­done la pos­si­bi­lità in forza dell’ottimo trat­ta­mento eco­no­mico rice­vuto» (5.600 euro al mese di pen­sione e 200 mila euro di liqui­da­zione), «ancora nell’udienza odierna — si legge nell’ordinanza — ha con­te­stato la fonte dell’obbligazione ipo­tiz­zando l’inesistenza di un danno deri­vante dal reato di falso» quando invece la sen­tenza lo ha espli­ci­ta­mente con­dan­nato a risar­cire anche quei danni. La difesa ha poi sot­to­li­neato che il con­dan­nato Grat­teri avrebbe col­la­bo­rato con gli inqui­renti. Non è così dicono i giu­dici. «Sono note le dif­fi­coltà incon­trate dagli inqui­renti nella rico­stru­zione dei fatti e nell’identificazione degli ope­ra­tori di poli­zia coin­volti» e il fatto che Grat­teri abbia «rinun­ciato ad avva­lersi della facoltà di non rispon­dere» ai pm viene liqui­dato dai giu­dici come «atto dove­roso» per un alto fun­zio­na­rio di ps. D’altra parte, rin­ca­rano la dose i magi­strati, ciò che emerge non è la col­la­bo­ra­zione, anzi: «L’unica pre­oc­cu­pa­zione […]era quella di otte­nere dai pm la spe­ci­fica indi­ca­zione di ele­menti di prova […]e/o di con­vin­cere gli inqui­renti dell’inconsistenza di tali prove». A riprova di que­sto Grat­teri non ha mai voluto ren­dere dichia­ra­zioni davanti al Tri­bu­nale.
I giu­dici di sor­ve­glianza hanno invece con­cesso l’affidamento in prova a Pie­tro Tro­iani, l’uomo che mate­rial­mente intro­dusse le molo­tov nella Diaz, sot­to­li­neando che «è stato uno dei pochi impu­tati a fare ammis­sioni di respon­sa­bi­lità». Tro­iani, attual­mente sospeso dalla poli­zia (con un asse­gno ali­men­tare di circa mille euro), dovrà risar­cire il Mini­stero con 4 mila euro. La deten­zione domi­ci­liare per Grat­teri non sarà troppo dura: l’ordinanza dei giu­dici geno­vesi gli con­sente di uscire di casa per quat­tro ore al giorno e, per scon­tare la pena, il pre­fetto in pen­sione potrà con­ti­nuare ad usu­fruire di un appar­ta­mento di lusso in uno dei quar­tieri più esclu­sivi di Roma, messo a dispo­si­zione dal Mini­stero dell’Interno e giu­sti­fi­cato come «misura di sicu­rezza» in seguito a pre­sunte minacce subite. Che il Vimi­nale sia par­ti­co­lar­mente indul­gente con gli uomini della Diaz lo dimo­stra l’azzeramento del pro­ce­di­mento disci­pli­nare a carico dell’ex capo della Digos geno­vese Spar­taco Mor­tola: il Mini­stero, visto che è in corso un disci­pli­nare pro­mosso dalla Pro­cura gene­rale di Genova, a fine novem­bre ha dichia­rato estinto il pro­prio. C’è una dif­fe­renza: il disci­pli­nare mini­ste­riale avrebbe potuto por­tare alla desti­tu­zione dei con­dan­nati men­tre quello della Pro­cura solo a 6 mesi di sospen­sione. Se, come pro­ba­bile, così sarà per tutti, chi non è andato in pen­sione potrà rien­trare in servizio.

da controlacrisi.org

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