giovedì 9 gennaio 2014

Augusto Graziani, il rigore della critica al pensiero dominante.

La scomparsa di Augusto Graziani, uno dei più importanti economisti italiani. Da Keynes a Marx. Sulle sue opere si sono formate più generazioni di studiosi. Critico verso la moneta unica, riuscì ad anticipare i limiti politici e sociali dell’Unione europea.


 
di Emiliano Brancaccio, da il Manifesto
Augu­sto Gra­ziani è morto il 5 gennaio a Napoli, pochi mesi dopo le cele­bra­zioni per i suoi ottant’anni. Scom­pare così il mae­stro di una intera gene­ra­zione di eco­no­mi­sti ita­liani, raf­fi­nato inno­va­tore delle idee di Marx e Key­nes e acu­tis­simo cri­tico dei luo­ghi comuni su cui regge il con­senso verso la poli­tica eco­no­mica domi­nante. Nell’opera di ricerca, così come nella didat­tica e nella divul­ga­zione, Gra­ziani ha incar­nato una miscela per certi versi unica di rigore intel­let­tuale, potenza dia­let­tica e deli­ca­tezza espres­siva.
Una figura minuta, quasi a sim­bo­leg­giare la fra­gi­lità della con­di­zione umana, che mani­fe­stava una sin­cera empa­tia verso chiun­que fosse sog­gio­gato dalla durezza della vita mate­riale, ma che al con­tempo rac­chiu­deva lo spi­rito di un temuto com­bat­tente, capace con pochi affondi di rive­lare l’insipienza dei pro­tervi stril­loni della vul­gata eco­no­mica che ave­vano la sven­tura di incro­ciare le sue affi­late armi cri­ti­che. Quello stesso spi­rito tut­ta­via sem­brò pure obbli­garlo a un voto di perenne sobrietà: un velo di rigo­roso under­sta­te­ment, sem­pre lì a celare la sua grandezza.

La sua attualità
Nell’epoca della medio­crità alla ribalta lo si potrebbe defi­nire un uomo d’altri tempi. Appel­la­tivo con­di­vi­si­bile, pur­ché ci si rife­ri­sca non solo al pas­sato ma anche e soprat­tutto al futuro. In più occa­sioni, infatti, Gra­ziani ha saputo anti­ci­pare il corso degli eventi sto­rici. Attua­lis­simi, in que­sto senso, sono i suoi studi sulle con­trad­di­zioni nel rap­porto tra svi­luppo eco­no­mico ita­liano e ristrut­tu­ra­zione del capi­ta­li­smo con­ti­nen­tale, che oggi domi­nano la scena poli­tica e che sol­le­vano dubbi cre­scenti sulla soprav­vi­venza dell’Unione mone­ta­ria europea.

Nel 2002, a Napoli, nell’aula Van­vi­tel­liana della facoltà di Scienze poli­ti­che, Gra­ziani tenne una lezione sull’euro appena entrato in cir­co­la­zione. I col­le­ghi ad ascol­tarlo ven­nero nume­rosi. La sen­sa­zione era che i più lo ono­ras­sero senza esser mini­ma­mente per­suasi dal suo scet­ti­ci­smo sulla soste­ni­bi­lità futura dell’eurozona. Sarebbe inge­ne­roso cri­ti­carli, col senno di poi. Dopo­tutto la gran­cassa dell’ideologia in quei giorni ope­rava a pieno ritmo, sedu­cendo per­sino le menti più bril­lanti e avvezze alla cri­tica. Gra­ziani peral­tro è sem­pre parso alquanto refrat­ta­rio alle opere di sedu­zione ideologica.

I suoi dubbi sulla moneta unica, ben sal­dati sul ter­reno dei fatti, non si limi­ta­vano a trarre spunto dalla ben nota lezione key­ne­siana sulla inso­ste­ni­bi­lità di quelle unioni valu­ta­rie che pre­ten­dono di sca­ri­care l’intero peso dei rie­qui­li­bri com­mer­cia­li­sui soli paesi debi­tori. Vi era pure, nella sua ana­lisi, una let­tura impli­cita del con­cetto mar­xiano di cen­tra­liz­za­zione dei capi­tali, e dei tre­mendi con­flitti poli­tici che ne pos­sono deri­vare. Il pes­si­mi­smo di Gra­ziani era dun­que fon­dato su una con­sa­pe­vo­lezza pro­fonda dell’equilibrio pre­ca­rio su cui ver­teva il pro­cesso di uni­fi­ca­zione euro­pea, e del rischio che prima o poi la situa­zione potesse pre­ci­pi­tare, sotto il giogo di mec­ca­ni­smi diver­genti favo­re­voli all’economia più forte del con­ti­nente. Una sorta di richiamo impli­cito alla cau­stica sen­tenza di Tho­mas Mann sull’essenza dello spi­rito pre­va­lente in Ger­ma­nia: «Dove l’orgoglio dell’intelletto si accop­pia all’arcaismo dell’anima e alla costri­zione, inter­viene il demonio».

Nel clima di entu­sia­smo susci­tato dalla nascita dell’euro, tut­ta­via, le pre­oc­cu­pa­zioni di Gra­ziani non attec­chi­rono. Nel nostro paese, piut­to­sto, trovò largo seguito l’improbabile ideo­lo­gia del «vin­colo esterno». I suoi pro­pu­gna­tori soste­ne­vano che i vin­coli impo­sti dall’Europa sul governo della moneta, del tasso di cam­bio, dei bilanci pub­blici, non costi­tui­vano la dimo­stra­zione che l’Unione andava costi­tuen­dosi a imma­gine e somi­glianza degli inte­ressi del più forte, ossia del capi­ta­li­smo tede­sco. Piut­to­sto, si diceva, quei vin­coli avreb­bero mira­co­lo­sa­mente tra­sfor­mato i pic­coli ranoc­chi dello sta­gnante e fram­men­tato capi­ta­li­smo ita­liano in algidi prin­cipi della moder­nità glo­bale, in vere e pro­prie avan­guar­die della pro­du­zione pla­ne­ta­ria.

Insomma, moder­niz­zare il capi­ta­li­smo ita­liano, ren­derlo più cen­tra­liz­zato e quindi più forte: alcuni padri della patria hanno incre­di­bil­mente soste­nuto che il vin­colo esterno impo­sto dall’Europa potesse spon­ta­nea­mente fare tutto questo,sia pure in un deserto di pro­get­tua­lità e di investimenti.

In tanti furono abba­gliati da simili illu­sioni. Di con­tro, in un arti­colo pub­bli­cato sem­pre nel 2002 sulla Inter­na­tio­nal Review of Applied Eco­no­mics, Gra­ziani fu tra i pochi a segna­lare che il vin­colo esterno avrebbe potuto deter­mi­nare un effetto esat­ta­mente oppo­sto a quello annun­ciato. Egli cioè pre­vide che i capi­ta­li­sti ita­liani avreb­bero ten­tato di rime­diare alla per­dita delle ultime leve del cam­bio e della poli­tica eco­no­mica tra­mite una con­tra­zione dei costi basata sulla ulte­riore fram­men­ta­zione dei pro­cessi pro­dut­tivi, fina­liz­zata a rei­te­rare il las­si­smo in campo fiscale e con­tri­bu­tivo e ad acce­le­rare la pre­ca­riz­za­zione del lavoro. Fino a sco­prire, nella crisi, che que­sta stra­te­gia non poteva reggere.

Con­trad­di­zioni di classe
Oggi sap­piamo che le cose sono andate pro­prio come Gra­ziani aveva pre­vi­sto. Sap­piamo pure che, pro­se­guendo di que­sto passo, l’inasprirsi dei con­flitti tra capi­ta­li­smi euro­pei potrà con­durre a un tra­collo dell’Unione, che porrà i deci­sori poli­tici di fronte a una scelta cru­ciale tra moda­lità alter­na­tive di uscita dall’euro, ognuna delle quali avrà diverse impli­ca­zioni sui diversi gruppi sociali coin­volti. I con­tri­buti di Gra­ziani, fon­dati su una visione moderna delle con­trap­po­si­zioni tra e den­tro le classi sociali, potranno aiu­tarci anche ad affer­rare i ter­mini di quello snodo deci­sivo, che pian piano affiora all’orizzonte.

Senza dub­bio, vi è oggi ancora chi pre­fe­ri­sce disto­gliere lo sguardo da una simile pro­spet­tiva, e si affida ancora alle sem­pre più fle­bili spe­ranze di rilan­cio del miglior euro­pei­smo. Ma in tempi più illu­mi­nati del nostro è stato detto acu­ta­mente che l’invito a spe­rare è in fondo un invito a igno­rare. Chi cono­sce non spera ma pre­vede, e se le con­di­zioni ogget­tive e la meto­dica orga­niz­za­zione delle forze lo per­met­tono, si dispone ad agire per il cam­bia­mento. Credo che Augu­sto Gra­ziani abbia bene incar­nato que­sto modus ope­randi.

(8 gennaio 2014)

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