martedì 1 novembre 2022

La dottrina strategica USA non esclude più l’uso preventivo dell’atomica

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Gli Stati Uniti, attraverso il documento sulla nuova Strategia di Difesa Nazionale 2022 (NDS) rilasciata dal Pentagono su indicazione del presidente Joe Biden, hanno deciso di stravolgere la loro dottrina sulle armi nucleari e, in generale, l’intera architettura di sicurezza militare, integrando le modalità d’impiego delle armi convenzionali con quelle delle armi nucleari. Hanno infatti accorpato i tre documenti, prima separati, che stabiliscono le rispettive strategie in ciascun ambito: quello sulla sicurezza nazionale, sulla postura atomica e sullo scudo antimissile. I tre documenti formano un tutt’uno, in quanto, pur restando autonomi vengono direttamente legati uno all’altro per realizzare quella che viene definita “deterrenza integrata”. Cade così l’ultima barriera che separava gli scenari della cosiddetta guerra “tradizionale” da quelli di un disastro nucleare. Gli USA, inoltre, non escludono più, come successo fino ad ora, la possibilità di utilizzare ordigni nucleari per primi, secondo la regola del “No first use”.

L’amministrazione americana ha giustificato la revisione della dottrina strategica con l’alto livello di tensione raggiunto con Russia e Cina: Biden, infatti, ha affermato che il mondo sta attraversando un «decennio decisivo», caratterizzato da cambiamenti drammatici in ambito geopolitico, tecnologico, economico e ambientale. Di conseguenza, l’NDS ha stabilito quattro priorità di difesa da perseguire attraverso la «deterrenza integrata, la campagna e la costruzione di un vantaggio duraturo»: queste priorità comprendono la difesa della patria, la dissuasione di attacchi strategici contro Stati Uniti, alleati e partner; il disincentivo all’aggressività soprattutto nella sfida con la Cina nell’Indo-Pacifico e la costruzione di una forza congiunta e di un ecosistema di difesa. «Stiamo integrando perfettamente i nostri sforzi di deterrenza per rendere una verità di base cristallina a qualsiasi potenziale nemico», ha affermato il Segretario alla Difesa Lloyd J. Austin. «Questa verità è che il costo dell’aggressione contro gli Stati Uniti o i nostri alleati e partner supera di gran lunga qualsiasi guadagno immaginabile». A tale scopo, il dipartimento ha incrementato le sue attività e i suoi investimenti in tutti gli spettri possibili di conflitto, inclusi lo spazio e il cyberspazio, identificando nella Cina uno dei principali avversari.

Per quanto attiene la deterrenza nucleare, Austin ha affermato che il Dipartimento prevede di aumentare gli sforzi nella modernizzazione della triade nucleare, ossia delle componenti terrestre, navale e aerea. Ha reso noto quindi che la richiesta di bilancio fiscale 2023 include circa 34 miliardi di dollari per sostenere e modernizzare le forze nucleari. La richiesta di budget include anche più di 56 miliardi di dollari per piattaforme e sistemi di propulsione aerea, più di 40 miliardi di dollari per mantenere il dominio degli Stati Uniti in mare e quasi 13 miliardi di dollari per supportare e modernizzare le forze di terra.

La novità più dirompente della nuova strategia di difesa, tuttavia, riguarda l’utilizzo delle armi nucleari che, più volte nel documento, vengono equiparate agli armamenti convenzionali. Non conta più, dunque, la tipologia dell’ordigno, ma quali effetti può provocare, sdoganando di conseguenza la possibilità di impiegare armi atomiche e superando il principio – fatto proprio da tutte le nazioni dotate di arsenali nucleari – secondo cui “una guerra nucleare non può essere vinta e non deve quindi mai essere combattuta”. Secondo il nuovo piano strategico, infatti, le minacce poste dagli avversari degli USA – in primis Russia e Cina – giustificano il superamento delle regole del “No first use” e del “Sole Purpose policies”: «Abbiamo condotto una profonda revisione di un largo spettro di opzioni sulla politica di dichiarazioni nucleari – incluso il No First Use e il Sole Purpose policies – e abbiamo concluso che questi approcci potrebbero comportare un livello di rischio inaccettabile alla luce della gamma di capacità non nucleari che vengono schierate e progettate dai nostri avversari, tali da infliggere danni strategici agli Usa e ai nostri alleati», si legge nel report del Pentagono. Ciò significa che anche in caso di attacchi con armi “convenzionali”, gli USA – qualora lo ritengano necessario per la sicurezza nazionale o degli alleati – potrebbero rispondere con ordigni atomici. Cosa non prevista fino alla pubblicazione del rapporto in questione e ancora ora esclusa da tutte le altre potenze dotate di testate atomiche.

Il nuovo piano strategico è stato giudicato deludente da diversi analisti americani esperti in materia che ne hanno sottolineato soprattutto la gestazione iniziata prima del conflitto in Ucraina e poi il suo rapido adeguamento alla situazione bellica in corso. La rivoluzione senza precedenti della dottrina nucleare e di sicurezza americana si spiega con il rapido mutamento di assetti geopolitici in corso che minaccia il ruolo degli Stati Uniti come potenza egemone globale. Per questo, agli occhi di Washington, tale situazione giustifica anche l’uso “preventivo” delle armi atomiche, in quanto si tratta di difendere quello che i vertici americani ed europei definiscono l’“ordine basato sulle regole”. Tuttavia, tale “ordine” unilaterale sta incontrando la disapprovazione di sempre più Paesi e potenze emergenti che ne esigono uno più giusto e “democratico”. Tale livello di tensione – che ha condotto alla revisione dell’architettura di sicurezza militare americana – può contribuire ad avvicinare sempre di più l’Occidente ad un potenziale e catastrofico conflitto nucleare con Russia e Cina da cui difficilmente potrebbe emergere una potenza vincitrice, quanto piuttosto una catastrofe senza precedenti nella storia umana. Più logico sarebbe, invece, rivedere gli assetti di potere internazionali all’insegna dell’equilibrio e di una governance condivisa, prendendo atto che l’era del mondo dominato da un’unica potenza egemone è ormai giunta alle sue battute finali.

[di Giorgia Audiello]

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