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A macchia di leopardo, lentamente ma inesorabilmente, su tutto il territorio nazionale stanno nascendo nuove realtà che si occupano della gestione dell’energia, delle utenze e dei rifiuti. A titolo di esempio vi vogliamo descrivere ciò che avviene nel nord della Toscana nell’area tra Pistoia, Prato, Firenze ed Empoli. Il progetto Multiutility Toscana riguarda ben 64 Comuni e prevede la costituzione di una nuova holding dei servizi pubblici locali che andrà ad assorbire Acqua Toscana Spa, Acque Spa, Publiservizi Spa e Alia servizi ambientali Spa. Oltre 60 Comuni affideranno quindi la gestione dei servizi pubblici in materia di acqua, gas e rifiuti a questa nuova realtà che avrà il compito, teoricamente, di offrire servizi di elevata qualità a tariffe più basse.
Questo progetto porta con sé tanti pericoli derivanti dalla creazione di un’unica società che potrebbe essere chiamata a gestire in maniera unitaria l’erogazione di servizi inerenti i rifiuti e l’acqua, ma anche nel prossimo futuro quelli di gas e luce. Questa unica società sarà per il 51% a partecipazione pubblica, ma per ben il 49% a gestione privata.
L’inserimento dell’acqua in questo tipo di progetto è l’aspetto che maggiormente preoccupa: infatti il suo inserimento implica non solo che ben il 49% dell’acqua pubblica sarà privatizzata (in barba ad un referendum nazionale) ma anche la sua quotazione in borsa e la commistione con il settore rifiuti. Niente di più aberrante.
La previsione di quotare in borsa la società è già prevista (anche se gli assessori rispondono con un politicamente corretto “non lo escludiamo”), così come è previsto il pericolo più imminente: il fine è esplicitamente quello di realizzare profitto piuttosto che erogare servizi a basso prezzo.
Si tratta in poche parole di una vera e propria privatizzazione dei servizi essenziali che non solo comporterà rischi enormi per le casse dei comuni coinvolti, ma anche un possibile aumento delle bollette per i cittadini (come se non bastassero gli aumenti già avvenuti).
C’è una cosa che risulta, se possibile, ancora più odiosa: la popolazione dei 67 Comuni rimane del tutto ignara di questi cambiamenti e non è al corrente delle decisioni prese nei Consigli comunali. Anche se, forse, sarebbe meglio dire che i Consigli comunali (quasi tutti con poche eccezioni) si stanno limitando a ratificare decisioni prese altrove. Non è raro, infatti, trovare consiglieri che hanno avuto pochi giorni per leggere e comprendere centinaia di pagine di documentazione tecnica e che ammettono candidamente di non capirne molto. Tuttavia, votano favorevolmente il progetto.
È doveroso ricordare il riconoscimento dell’acqua come bene pubblico sancito in modo inequivocabile con il referendum del 2011: più del 93% dei votanti aveva espresso tale parere.
Un bene essenziale come l’acqua non può essere privatizzato (in modo del tutto ipocrita lo lasciano pubblico al 51% espropriando di fatto i cittadini dell’altra metà) o addirittura quotato in borsa. Tutto questo avviene senza che i cittadini ne siano a conoscenza e apertamente contro la loro volontà espressa nel referendum del 2011.
Altro passaggio preoccupante riguarda le casse dei 64 Comuni citati che vedono regalare a Firenze (capofila nella realizzazione del progetto) importi esorbitanti, con grande gioia solo del sindaco Nardella. Cosa si nasconde quindi dietro il grande affare della Multiutility Toscana? Il progetto voluto dal Pd toscano, ma accettato a quanto pare di buon grado anche da sindaci di altra provenienza politica, sta emergendo dopo una gestazione molto carsica e poco vantaggiosa per i cittadini. Se guardiamo il panorama nazionale vediamo che la Toscana ha già dei tristi primati: sono ben 9 le province di questa regione con le bollette dell’acqua più care d’Italia. Come mai a Milano, ad esempio, tali costi sono ben 5 volte inferiori? Forse perché lì le società che gestiscono l’acqua sono pubbliche e sono l’esatto contrario della Multiutility Toscana? Il dubbio è assolutamente lecito da porsi.
E infatti in tanti stanno cominciando a porsi degli interrogativi. In prima linea troviamo ovviamente le associazioni del territorio e quei comitati che ormai da 12 anni (da prima del referendum) lottano per proteggere l’acqua affinché torni ad essere assolutamente e totalmente pubblica e che, assicurano, non molleranno la presa affinché l’acqua, bene essenziale, resti un diritto per tutti.
Ma non solo: complici il caro bollette e i problemi energetici, la questione Multiutility ha interessato e avvicinato tante realtà territoriali e nazionali di tipo politico e associativo realmente sensibili ai problemi dei cittadini. Intorno a questo tema è stata individuata una battaglia comune, in grado di avvicinare sigle politiche che recentemente si sono presentate alle elezioni nazionali come Italia Sovrana e Popolare, Unione Popolare, ma anche i Carc, il Partito Comunista, Forza del Popolo e tante associazioni e liste civiche come Onda Etica, Obiettivo Periferia, Alleanza Beni Comuni e ovviamente l’associazione Acqua Bene Comune che costituisce il cuore pulsante di questa mobilitazione popolare.
Riteniamo fondamentale che la politica e le associazioni di tutti i territori riescano a fare sintesi pur nelle proprie specifiche identità, perché solo l’unione potrà portare buoni frutti e a raggiungere dei traguardi. Un obiettivo fondamentale che si stanno ponendo tutte queste sigle è in primis l’informazione dei cittadini (essi sono direttamente toccati da queste decisioni) e la salvaguardia dei diritti fondamentali, dei beni essenziali e il rispetto della volontà popolare così bene espressa nel referendum 2011.
Rosanna Crocini Presidente Acqua Bene Comune, Alleanza Beni Comuni
Samuela Breschi Presidente Obiettivo Periferia e Onda Etica
Veronica Colaianni Ancora Italia e candidata Italia Sovrana e Popolare
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