mercoledì 23 novembre 2022

Immigrati, il razzismo progressista

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Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ci hanno invasi, oltraggiano le nostre donne o le sottopongono a un plagio, per rafforzare con la loro progenie il meticciato, vengono concesse loro prerogative eccezionali, portano via i nostri posti di lavoro, godono di concessioni che premettono loro di superarci nelle liste del collocamento e dell’assegnazione di alloggi o dei servizi di assistenza sanitaria!

 
Queste convinzioni che un tempo venivano attribuite in regime di esclusiva al rumoreggiare trucido dei fermenti dei margini e delle periferie, via via sono stati condivisi prima da ceti piccolo borghesi spinti verso la progressiva proletarizzazione, fino a diventare patrimonio comune del progressismo neoliberista che non aveva più interesse a speculare con profitto sulla pelle di un esercito di riserva, ricattabile e intimorito, che assolveva la funzione desiderata di portare al livello minimo prerogative e aspettative dei lavoratori locali oltre che a svolgere mansioni indesiderate e umilianti.
Oggi che certi incarichi potranno essere assolti invece dal capitale umano indigeno ormai retrocesso, diviso, annichilito da nuove e antiche povertà, circa il 63 per cento della popolazione europea pensa che gli immigrati “sono troppi”, che vanno attribuiti a loro problemi e conflittualità nelle scuole, il 60 % li incolpa delle emergenze abitative nelle zone a alta densità il 71% crede che il fenomeno gravi sullo stato sociale a danno dei nativi, e ben il 63 critica e si preoccupa che un numero troppo elevato di nuovi arrivati non accetti e non si integri nel sistema di valori occidentali. Oltre il 70% dei danesi, il 67 degli ungheresi, il 58 dei francesi è persuaso che occorra al più presto limitare gli ingressi.
E vi rammentate quelli che dicevano che bisognava contrastare accoglienza e integrazione perché faceva parte di un piano per ridurre le pretese dei lavoratori locali abbassandole al livello dei migranti ricattati e disposti a qualsiasi rinuncia? Beh nel giro di pochi mesi proprio il governo italiano scaraventerà sul mercato almeno 800 mila persone senza reddito pronte a farsi la guerra per un salario al di sotto di bisogni e dignità.


C’è modo e modo: il modo della ludica Sanna Marin è alzare intanto un muro altro tre metri con filo spinato lungo 200 km tra Finlandia e Russia eseguendo il progetto presentato dall’Agenzia di Frontiera finlandese e che costerà 380 milioni di euro in questa prima fase e 139 nella seconda e che prevede una recinzione lunga tre chilometri proprio al valico di Imatra, il più vicino a San Pietroburgo.

Ma d’altra parte non c’è paese europeo che possa rivendicare una coscienza tranquilla: dagli attentati di Parigi la Francia ha di fatto chiuso le frontiere, sospendendo i trattati di Schengen, l’Italia a firma di governi progressisti e riformisti ha sottoscritto un infame accordo bilaterale con il governo fantoccio della Libia rimandando indietro migliaia di disperati destinati a tornare nei lager d’origine e successivi esecutivi ne hanno fotocopiato il testo per reiterarne le regole criminali.
Adesso dopo che per anni l’immigrazione è stata fonte di profitto pure per Mafia Capitale in aggiunta a tutte le organizzazioni legali e ufficiali, tocca all’Italia farci i conti quando l’affare ha perso il suo appeal, quando nell’area della banlieu urbana di Parigi il 24% della popolazione è costituita di immigrati addetti ai lavori più servili, nel Regno Unito i nati all’estero costituiscono il 35% della popolazione dell’Outer London e il 40% di quella dell’Inner London, in 10 delle 15 città più grandi della Germania, a cominciare da Berlino, Amburgo e Monaco, la percentuale di immigrati adibiti a mansioni esecutive e lavori usuranti, è superiore alla media nazionale, con un bacino che produce il 27% del pil nazionale.
Se poi ai nati all’estero si aggiungono gli immigrati di seconda generazione, nati nel paese ospitante da genitori stranieri, le cifre raddoppiano: in Francia le seconde generazioni nel 2017 erano oltre 8 milioni, 11 % della popolazione.
Eppure le prime limitazioni agli ingressi risalivano agli anni della crisi petrolifera in Svizzera, Svezia, seguite da Germania, Belgio e Francia nel ’74 con l’immigration stop almeno fino al 1978 quando il Fronte Nationale acquisì consenso con lo slogan “Due milioni di disoccupati sono due milioni di immigrati di troppo”. I canali di ammissione di nuovi lavoratori immigrati divennero diversi da quelli originati da motivi occupazionali, il bacino di provenienza dei flussi cessò di essere la manodopera eccedentaria di Grecia, Portogallo e Spagna allargandosi al Mediterraneo e al Nord Africa, aggiungendosi a quella che in Francia Sarkozy definì l’immigrazione scelta e non subita. Mentre in Germania invece la crescita della popolazione grazie a oltre 7,8 milioni di nati all’estero ha poco a che fare con gli africani, etnia inaccettabile dai tedeschi, che preferivano i flussi provenienti dall’Est e in sottordine quelli in fuga dalla fame e dalle ruberie delle imprese coloniali.
Resta da capire come si presenta il fenomeno da noi, ultimo Paese nel quale costituisce un problema contro il quale i decisori sono scesi in campo: dopo la sedicente emergenza sanitaria le indagini ufficiali denunciano che la forza-lavoro migrante “è più soggetta alla crisi e al rischio di perdere il posto di lavoro proprio come gli italiani con basse qualifiche e senza specializzazione professionale e le donne”. Restano invisibili ovviamente i clandestini: a fine 2020 i regolari con cittadinanza straniera ammontavano a oltre milioni di persone, di cui oltre la metà con svariate mansioni perlopiù precarie e decine di migliaia in nero.
Come dimostrano i dati il 35% degli occupati scomparsi dalle statistiche nel 2020 (160 mila su 450 mila) è rappresentato da immigrati, quando nello stesso periodo gli occupati italiani sono diminuiti dell’1,4%, gli extra Unione Europea del 6%, i comunitari del 7,1%. Adesso la cancellazione del reddito di cittadinanza, già dal nome considerato una molesta concessione a chi non ha diritto allo ius soli, salvo qualche influencer in stivaloni, minaccia l’esistenza di una parte considerevole della nuova classe operaia, già precaria e impiegata nell’agricoltura, nella logistica, nei servizi nell’edilizia, strozzata nel sistema delle cooperative vere o solo speculative, dove le paghe non raggiungono i 7 euro.
Proprio vero la lotta di classe è stata vinta, sì, dal padrone bianco.

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