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ll testo della legge di Bilancio 2023, votato qualche giorno fa dal governo Meloni – e che dovrà essere definitivamente approvato entro la fine dell’anno – è un colabrodo. Fra tutti i tagli che l’esecutivo ha annunciato di voler introdurre, quello sulla giustizia (che comprende, tra le altre cose, la riduzione del personale penitenziario, già sotto organico) promette di far sprofondare ulteriormente un sistema che evidenzia i suoi limiti continuamente.
“Misure di razionalizzazione della spesa e di risparmio connesse all’andamento effettivo della spesa”, si legge all’art. 154 della bozza, che prosegue specificando che “a decorrere dall’anno 2023 il Ministero della giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, assicura […] la ripianificazione dei posti di servizio e la razionalizzazione del personale”, attraverso cui si dovranno risparmiare all’anno almeno 9,57 milioni per il 2023, 15,4 milioni per il 2024 e 10,9 milioni per il 2025. Un ammanco di oltre 35 milioni in tre anni, che in altre parole significa riduzione all’osso dell’organico penitenziario, già presente negli istituti carcerari in quantità molto più bassa di quanto prevedrebbe il Ministero. I dati infatti dicono che su 41.595 unità che dovrebbero essere all’interno delle strutture, nel 2021 ce ne siano state poco più di 36mila (e nel 2020 erano 37.242).
Una scelta quella del Governo Meloni in netto contrasto con le intenzioni dichiarate al Senato la scorsa dall’allora Ministra della giustizia Marta Cartabia, per cui la «ristrutturazione degli spazi carcerari, miglioramento della qualità della vita dei detenuti e degli agenti di custodia penitenziaria» sono gli obiettivi principali a cui i soldi previsti dal PNRR per la giustizia dovranno servire, e che tra l’altro saranno utilizzati per promuovere assunzioni straordinarie nella polizia penitenziaria per i prossimi dieci anni. D’altronde lo aveva richiesto esplicitamente anche il leader leghista e attuale vicepremier Matteo Salvini e più di recente anche l’attuale Ministro della Giustizia, Carlo Nordio. «A fronte di 18mila unità mancanti al corpo di Polizia penitenziaria, 85 suicidi (80 fra i detenuti e 5 fra gli operatori) dall’inizio dell’anno […] siamo letteralmente esterrefatti e increduli. Ci sembra di trovarci su scherzi a parte», sono le parole con cui il sindacato Uilpa, per bocca del suo segretario Gennarino De Fazio, ha commentato gli interventi.
Eppure non sfuggirà ai tagli nemmeno il Dipartimento di giustizia minorile, a cui è stato chiesto di tirare la cinghia per risparmiare all’anno almeno 331.583 euro per il 2023, 588.987 per il 2024 e 688.987 dal 2025, attraverso “l’efficientamento dei processi di lavoro nell’ambito delle attività per l’attuazione dei provvedimenti penali emessi dall’Autorità giudiziaria e la razionalizzazione della gestione del servizio mensa per il personale”.
L’aspetto che però ha destato più polemiche e dubbi di altri è la riduzione delle spese destinate a finanziare le intercettazioni, per cui è previsto un “risparmio” di 1,57 milioni euro all’anno a partire dal 2023. Una mossa che il leader di Europa verde, Angelo Bonelli ha commentato come «folle e intollerabile, la conseguenza diretta di un governo che viene appoggiato da forze politiche che hanno vissuto sempre con grande insofferenza l’uso delle intercettazioni da parte dell’autorità giudiziaria».
Le perplessità riguardano il fatto che in realtà quello delle intercettazioni non è uno strumento “fisso” a cui le autorità ricorrono (e nel caso ha un prezzo variabile da ufficio ad ufficio e può essere anche incluso nelle spese processuali dei condannati), e per questo è difficile stabilire un fondo economico massimo a cui attingere, così come, allo stesso tempo, è inspiegabile indicare – come ha fatto il Governo – un quantitativo di denaro da tagliare. Come si fa se non si conosce la base di partenza? Fu la stessa Ministra Cartabia a non voler stilare un tariffario preciso entro cui rimanere, proprio perché si tratta di costi soggetti a innumerevoli variabili. Su questo aspetto rimane un grosso punto interrogativo.
In generale si tratta di disposizioni – sia questa che le altre sopra descritte – che non trovano una spiegazione se proiettate nella realtà. Le carceri italiane assistono a 10,6 suicidi ogni 10.000 persone detenute (nel 2019 era 8,7 ogni 10mila). Usando le parole di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone «quando i suicidi sono così tanti e in carcere ci si uccide 16 volte in più che nel mondo libero, l’intero sistema penitenziario e quello politico non possono non interrogarsi sulle cause di questo diffuso malessere» e soprattutto non possono diminuire la sorveglianza o pensare di sostituirla con metodi poco ortodossi. Secondo l’ultimo rapporto Antigone, ad esempio, l’abuso di farmaci e psicofarmaci in carcere per tenere a bada certe situazioni sono all’ordine del giorno. Questi sono usati spesso arbitrariamente come “cura” per monitorare situazioni psichiche difficili, senza però un’adeguata perizia. Tra l’altro che mantenere un’igiene mentale integra in celle senza finestre e con 3mq calpestabili a persona, risulta davvero difficile. Quelle che il governo vuole togliere al sistema carcerario sono risorse vitali, anche numericamente parlando. Rimpolpare l’organico penitenziario potrebbe significare ridurre lo stress a cui gli agenti sono sottoposti e scongiurare il rischio che si verifichino episodi di violenza.
Proprio come quelle capitate nel carcere di Ivrea, dove ad oggi sono indagate 45 persone tra agenti della Polizia penitenziaria, medici, funzionari, educatori ed ex direttori per alcuni episodi di pestaggio. Violenze di cui nessuno pare essersi accorto di niente. «Desta seria preoccupazione l’atteggiamento diffuso sostanzialmente tra tutto il personale della Casa circondariale che pare non vedere o non saper ricostruire fatti e circostanze di oggettiva evidenza» ha detto Mauro Palma, Presidente del Garante nazionale dei detenuti.
Non basta forse questo per capire che il sistema carcerario va ricostruito da zero, e che non si può fare gratis?
[di Gloria Ferrari]
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