La crociata contro il Reddito di cittadinanza si arricchisce quasi quotidianamente di dichiarazioni false e distorte da parte di chi – imprenditori, tutta la destra e molti giornalisti – ha deciso di schierarsi contro una misura che, al netto dei suoi difetti, ha il merito storico di aver dato un po’ di respiro a qualche milione di italiani (troppo pochi comunque).
(DI ROBERTO ROTUNNO – Il Fatto Quotidiano)
Ultimi, ma solo in ordine di tempo, ci sono il presidente della Confindustria Carlo Bonomi, secondo il quale il Rdc fa concorrenza agli stipendi; Matteo Renzi che ha promesso per la seconda volta la raccolta firme per un referendum abrogativo; svariati imprenditori che continuano a denunciare la carenza di manodopera. Un assolto contro il sussidio anti-povertà che si basa quasi sempre su bugie, smentite dai dati ufficiali. Ecco una raccolta ampiamente inesaustiva con le dieci bufale più frequenti.
1. Tutti a casa. “Si preferisce stare a casa con 800 euro piuttosto che andare a lavorare”. Frase molto cara al presidente campano Vincenzo De Luca, contiene una grossa inesattezza: il Rdc vale circa 560 euro in media a famiglia; la media per i nuclei con 4 componenti si ferma a 745 euro; per i single è 457 euro, poco più della metà della fantasiosa cifra ripetuta dall’uomo della “clientela scientifica”.
2. Stagionali estinti. “Trovare lavoratori stagionali è diventato impossibile”. Lo denunciano ristoratori e albergatori, gli fanno eco i politici. Nel 2021, però, i dati Inps dicono che c’è stato un record di assunzioni stagionali: ben 920 mila contratti attivati, mentre negli anni precedenti (anche prima della pandemia) si viaggiava su poco più di 600 mila all’anno.
3. Lavoro nero. “Il Reddito ha aumentato la propensione al lavoro nero” va ripetendo il leader leghista Matteo Salvini. Le stime Istat sul 2019 – primo anno di operatività del Rdc – dicono che le unità di lavoro irregolare non sono aumentate, anzi sono leggermente diminuite: 3 milioni e 586 mila, ridotte di 57 mila rispetto al 2018. Il problema del lavoro irregolare esiste a prescindere dai sussidi.
4. Volontà di lavorare. “Chi prende il Rdc non ha voglia di lavorare”. In realtà, ben 725 mila beneficiari lavorano (o hanno lavorato) durante la fruizione del Reddito. Sono il 40% circa degli 1,8 milioni di percettori inviati ai centri per l’impiego. Il dato va contestualizzato: il 75% di queste persone ha al massimo la terza media, quindi è poco occupabile, a non dire che i dati si riferiscono a un periodo in cui la crisi pandemica ha ridotto di molto il numero di assunzioni totali. Il fatto che molti abbiano lavorato, e comunque mantenuto i requisiti per il Reddito, dimostra che si tratta di impieghi a bassissimi salari. Insomma, di lavoro povero.
5. Meglio sul divano. “Si rifiuta il lavoro perché si preferisce restare sul divano”. Da un’indagine Inapp emerge che i beneficiari del Reddito che hanno ricevuto una proposta di lavoro sono pochissimi, la minoranza più “qualificata”. Di questi, il 78% ha attribuito il rifiuto alla modesta qualità dell’offerta prospettata, cioè a proposte non in linea con competenze e titoli di studio con paghe basse.
6. Obblighi. “L’obbligo di cercare lavoro resta sulla carta perché i centri per l’impiego sono inefficienti”. In effetti, queste strutture hanno sempre avuto delle difficoltà. Due le cause: la storica carenza di personale, tanto che la legge sul Rdc ha per la prima volta dopo anni affrontato il problema, autorizzando 11.600 nuove assunzioni (i concorsi regionali stanno avvenendo con una certa lentezza); le imprese non si rivolgono ai centri per l’impiego per le loro assunzioni. I navigator (quasi 3 mila al momento del reclutamento) hanno contattato circa 400 aziende a testa, racimolando solo 56 mila opportunità di lavoro e, di queste, solo 13 mila riferite ad assunzioni immediatamente disponibili.
7. Domanda e offerta. “L’incrocio di domanda e offerta di lavoro è ormai completamente spiazzato”. Affermazione che ha un vizio di fondo: non considera che l’Italia ha aree con economie molto diverse. Come ha fatto notare il ministro del Lavoro Andrea Orlando, nelle zone più “produttive” e con più opportunità di lavoro, ci sono solo 300 mila beneficiari del Reddito di cittadinanza. Tutti gli altri si concentrano nelle aree con meno imprese e meno disponibilità, prevalentemente nelle Regioni del Mezzogiorno con alti tassi di disoccupazione.
8. Povertà. “Il Reddito di cittadinanza è uno spreco perché non ha ridotto la povertà”. L’ha detto in più occasioni Matteo Renzi, ma non è vero. Nel 2019, dopo l’arrivo del Reddito, i poveri assoluti si sono ridotti per la prima volta in cinque anni, passando da 5 milioni a 4,6 milioni. Nel 2020 sono invece tornati a salire, diventando 5,6 milioni a causa della crisi pandemica. Ma la stessa Istat ha chiarito che il Reddito di cittadinanza e gli altri aiuti statali hanno contenuto l’aumento che altrimenti sarebbe stato persino peggiore.
9. Tasso occupazione. “L’unico modo per combattere la povertà è far crescere i posti di lavoro e ridurre le tasse alle imprese”. Questa piace soprattutto a Giorgia Meloni, ma quanto avvenuto in Italia tra il 2014 e il 2018 smentisce l’equazione. In quegli anni, infatti, il tasso di occupazione è passato dal 55,7% a oltre il 58%, spinto anche dagli incentivi. Eppure contemporaneamente è salita anche la povertà assoluta: dal 6,3% al 7%. Paradosso solo apparente: non è detto che l’aumento di posti di lavoro vada a beneficio della componente più povera della popolazione, fanno notare gli esperti. Quindi le misure anti-povertà sono sempre necessarie, anche in un Paese in crescita.
10. Truffe&furbetti. “La cronaca sulle inchieste dimostra che il Reddito va a camorristi, delinquenti e a chi non ne ha diritto”. In realtà, proprio le operazioni delle forze dell’ordine, che poi finiscono sui giornali, dimostrano che i controlli ci sono. Tra l’altro, l’Ispettorato del lavoro possiede gli elenchi dei beneficiari del Reddito di cittadinanza, quindi ha la possibilità di incrociare i dati. In ogni caso appare abbastanza debole l’argomento di chi vuole abolire per intero una misura anziché potenziare il contrasto agli abusi.
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