Le riflessioni dello studioso attivista Noam Chomsky su come la guerra in Ucraina abbia favorito le multinazionali del fossile.
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Di recente, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha avvertito che il mondo ha il 50% di possibilità di assistere a un riscaldamento di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali nei prossimi cinque anni. Anche coloro che vedono il bicchiere mezzo pieno tendono a concordare sul fatto che gli sforzi intrapresi finora dai Paesi del mondo per combattere la crisi climatica, per quanto significativi sotto alcuni aspetti, non sono sufficienti. Infatti, l’economia globale continua a fare ampio affidamento sui combustibili fossili, che forniscono tuttora circa l’80% dell’approvvigionamento energetico.
Gli avvertimenti circa l’imminente catastrofe climatica contenuti nella seconda e terza parte dell’ultima valutazione scientifica del Gruppo intergovernativo di esperti sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (IPCC), pubblicate rispettivamente il 28 febbraio e il 4 aprile 2022, sono rimasti completamente ignorati, tra la guerra in Ucraina e l’impennata dei costi energetici.
Negli Stati Uniti, la risposta dell’amministrazione Biden all’impennata dei prezzi del gas è stata quella di consentire nuove trivellazioni di petrolio e gas nelle terre federali e di annunciare “la più grande fornitura di petrolio dalle riserve strategiche”. Anche il resto del mondo ha risposto con una visione a breve termine alle conseguenze della guerra in Ucraina.
Lo studioso attivista di fama mondiale Noam Chomsky si confronta qui con le conseguenze di questo pensiero a breve termine nel pieno dell’escalation delle tensioni militari, in questo estratto da un’intervista esclusiva per Truthout. Chomsky è il padre della linguistica moderna e uno degli studiosi più citati della storia moderna, e ha pubblicato circa 150 libri. È professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology e attualmente professore insignito all’Università dell’Arizona.
CHOMSKY: «LA GUERRA HA ACCELERATO LA CORSA AL SUICIDIO»
«La politica di inasprire la guerra in Ucraina, invece di cercare di adottare provvedimenti per porvi fine, ha un impatto terribile ben oltre l’Ucraina. Come ampiamente riportato, l’Ucraina e la Russia sono importanti esportatori di derrate alimentari. La guerra ha tagliato le forniture di cibo alle popolazioni che ne hanno il più disperato bisogno, in particolare in Africa e in Asia.
Prendiamo solo un esempio, la peggiore crisi umanitaria del mondo secondo le Nazioni Unite: lo Yemen. Secondo il Programma alimentare mondiale, oltre 2 milioni di bambini rischiano di morire di fame. Quasi il 100% dei cereali viene importato, “con la Russia e l’Ucraina che rappresentano la quota maggiore di grano e prodotti di grano (42%)”, oltre a farina e grano lavorato esportati dalla stessa regione.
La crisi si estende ben oltre. Cerchiamo di essere onesti al riguardo: la perpetuazione della guerra è, semplicemente, un programma di omicidio di massa in gran parte del Sud globale.
Questo è il meno. Su riviste apparentemente serie si discute di come gli Stati Uniti possano vincere una guerra nucleare con la Russia. Tali discussioni rasentano la follia criminale. E, purtroppo, le politiche degli Stati Uniti e della NATO offrono molti scenari possibili per una rapida fine della società umana. Per citarne uno, Putin si è finora astenuto dall’attaccare le linee di rifornimento che inviano armi pesanti all’Ucraina. Non sarebbe una grande sorpresa se questa moderazione finisse, portando la Russia e la NATO vicini a un conflitto diretto, con un facile percorso verso un’escalation di tensioni che potrebbe portare a un rapido addio.
Più probabile, anzi altamente probabile, è una morte più lenta per avvelenamento del pianeta. L’ultimo rapporto dell’IPCC ha chiarito in modo inequivocabile che, se vogliamo avere qualche speranza di un mondo vivibile, dobbiamo smettere di usare i combustibili fossili fin da subito, procedendo in modo costante verso la loro pronta eliminazione. L’effetto della guerra in corso è quello non solo di interrompere le iniziative già troppo timide in corso, ma addirittura di invertirle e accelerare la corsa al suicidio.
C’è naturalmente grande gioia negli uffici dirigenziali delle compagnie che si dedicano alla distruzione della vita umana sulla Terra. Ora non solo sono libere da vincoli e dalle angherie dei fastidiosi ambientalisti, ma sono lodate per aver salvato la civiltà che ora sono incoraggiate a distruggere ancora più velocemente. I produttori di armi condividono la loro euforia per le opportunità offerte dalla prosecuzione del conflitto. Sono ora incoraggiati a sprecare risorse scarse di cui c’è disperato bisogno per scopi umani e di costruzione. E come i loro partner nella distruzione di massa, le multinazionali dei combustibili fossili, stanno rastrellando i dollari dei contribuenti.
Cosa c’è di meglio o, da un altro punto di vista, di più folle?»
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