mercoledì 29 giugno 2022

Vertice Brics e vertice Nato, un nuovo mondo contro l’imperialismo

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di Geraldina Colotti

720x410c50Oltre il 40% della popolazione mondiale e quasi un quarto del prodotto interno lordo globale. Questo rappresentano i cinque paesi appartenenti ai Brics, acronimo di un gruppo di mercati emergenti composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica –, che si sono riuniti a Pechino il 23 e il 24 giugno, per un vertice dal titolo “Dialogo di alto livello sullo sviluppo globale”. Quest’anno, il commercio tra la Cina e gli altri Paesi del gruppo, fondato nel 2009, ha registrato un aumento del 12,1% rispetto al 2021. Il volume degli scambi commerciali è in crescita, si è detto nella riunione d’apertura, e basato su una cooperazione complementare in materia di sanità, medicina tradizionale, ambiente, scienza e tecnologia, innovazione, agricoltura, istruzione e formazione tecnica e professionale, micro, piccole e medie imprese.

Un campo destinato ad ampliarsi ulteriormente perché la Cina, a cui spetta ora la presidenza di turno, sta lavorando a una piattaforma che coinvolga le economie emergenti, e i principali paesi in via di sviluppo, in alternativa al blocco occidentale a guida Usa, e in nome di una cooperazione su scambi commerciali ed economia. Alcuni di questi paesi, come Kazakhistan, Arabia Saudita, Argentina, Iran, Egitto, Indonesia, Nigeria, Senegal, Emirati Arabi Uniti, Algeria e Tailandia, sono stati invitati ai lavori del vertice come potenziali nuovi soci, e hanno partecipato alla riunione Brics+.

L’acquisizione più importante sarà quella dell’Argentina, che cerca una sponda forte per uscire dal ricatto del Fondo Monetario Internazionale e aggirare le limitazioni nell’accesso al credito internazionale.

I Brics si trasformeranno allora in Bricsa. Buenos Aires potrà intanto entrare a far parte della Nuova banca di sviluppo (Ndb) dei Brics, che non richiede l’adesione al club dei cinque per erogare prestiti. Un’opzione a cui ricorrono già paesi come l’Uruguay, gli Emirati Arabi e il Bangladesh. La banca Ndb, ha sede a Pechino ed è stata fondata nel 2014.

Da allora, ha già approvato oltre 80 progetti per costruire infrastrutture nel mondo (in settori quali trasporti, acqua e servizi igienico-sanitari, energia pulita, digitale o sviluppo urbano), pari a 30 miliardi di dollari. Finanziamenti che Pechino non subordina a cambiamenti di tipo politico, com’è invece tipico degli organismi internazionali gestiti dagli Usa. In Argentina, le aspettative di inflazione, una delle più alte del continente, si sono ulteriormente allontanate dalle fasce 38-48% per il 2022 e 34-42% per il 2023 previste nell'accordo raggiunto con l’Fmi per rifinanziare debiti per oltre 40.000 milioni di dollari, che contemplava la possibilità di rivedere tale ipotesi a causa dei nuovi shock nell'economia mondiale. E anche la crescita per quest’anno resterà al di sotto del previsto di almeno 0,2 punti percentuali.

Già da due anni, l’Argentina è entrata a far parte dell’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), una banca di sviluppo creata nel 2015 su iniziativa della Cina. Uno degli obiettivi originali dell’Aiib è quello di sostenere la costruzione di infrastrutture nell’ambito della Belt and Road Initiative cinese, a cui anche l’Argentina ha aderito formalmente quest’anno quando il presidente Alberto Fernandez ha visitato Pechino. Fernández ha dichiarato che, per l’Argentina, i Brics rappresentano “un’eccellente alternativa di cooperazione di fronte a un ordine mondiale che sta funzionando per il beneficio di pochi”.

L’Argentina ha anche la presidenza pro-tempore della Celac. Per questa ragione, Fernández è stato invitato in Germania per partecipare al Vertice del G7, composto da Germania, Regno Unito, Giappone, Francia, Spagna, Italia e Stati Uniti. Al G7, l’Argentina è stata invitata insieme all’India, all’Indonesia, al Sudafrica, al Senegal e all’Ucraina. Con loro, il G7 ha organizzato una sessione dedicata alla sicurezza alimentare globale e all'eguaglianza di genere. Nonostante i disaccordi sul Mercosur, il cui tema resta comunque in agenda, l’Unione Europea intende “accelerare il dialogo politico” con l’Argentina, e preparare per fine ottobre un incontro tra la Celac e i rappresentanti europei. Prima, il 21 luglio, Fernandez andrà all’incontro del Mercosur, e ha in programma una riunione bilaterale con il presidente statunitense, Joe Biden.

Lo spagnolo Javier Niño Pérez, direttore per le Americhe del Servizio Europeo di Azione Esteriore, mentre ha lodato la politica sui diritti umani dell’Argentina, non ha fatto mistero della sua avversione per Cuba e per il Venezuela. Tuttavia, si è mostrato aperto alla proposta argentina di una riunione “inclusiva” fra entrambi i blocchi, alla quale partecipino anche Cuba e Venezuela. “Questa è la regione più euro-compatibile che conosciamo. In campo energetico, per la prima volta l’America Latina ha la possibilità di essere considerata un socio strategico”, ha detto Niño Pérez.

A fronte della crisi energetica dovuta al conflitto in Ucraina, alla Ue fa gola una straordinaria riserva di gas come quella di Vaca Muerta che possiede l’Argentina. In cambio, l’Europa offre a Buenos Aires investimenti in infrastruttura per la costruzione di un gasdotto, che però prenderà tempo. E intanto i paesi del G7 cercano soluzioni a breve, dentro e fuori il campo occidentale.

Il G7, che ha preceduto il prossimo vertice Nato, fissato a Madrid il 29 e il 30 di giugno, serve a ostentare la compattezza del campo occidentale intorno alla difesa dell’Ucraina, con la proposta di nuove sanzioni contro la Russia: uno stop alle importazioni di oro nei paesi del G7 (l’oro è la seconda fonte di reddito da export di Mosca), e la possibilità di colpire anche il petrolio russo.

Il tema del multilateralismo come alternativa a un ordine mondiale egemonizzato dall’imperialismo nordamericano è invece stato presente in ogni intervento dei Brics. “Tutti condividiamo una storia comune di lotta contro l’imperialismo, il colonialismo, lo sfruttamento e il sottosviluppo – ha affermato il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa -, tutti condividiamo il desiderio di una maggior rappresentanza e prospettive di progresso nelle istituzioni di governo globale”.

Il club dei Brics ha rifiutato di aderire alle misure coercitive unilaterali imposte alla Russia dagli Usa e dai loro alleati. Cina, India e Sudafrica, si sono astenuti sulla risoluzione dell'Onu di condanna a Mosca sul conflitto in Ucraina. L’unico che non lo ha fatto è stato il Brasile di Bolsonaro che, però, ci ha tenuto a ostentare “neutralità” nel corso del vertice. Pechino e New Delhi hanno forti legami militari ed energetici con Mosca, e sono interessati all’acquisto scontato di petrolio e materie prime, e anche il Sudafrica ha cospicui legami economici con la Russia.

Nonostante le tensioni territoriali fra la Cina e l’India (che fa parte del Quad con gli Usa, il Giappone e l’Australia), si va facendo strada il progetto di un’alternativa monetaria all’egemonia del dollaro. E persino l’incongruo Bolsonaro ha dichiarato che “il Brasile non intende chiudersi e che serve maggior integrazione economica”. Intervenendo al Business Forum dei Brics, il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che è allo studio la creazione di una valuta comune da impiegare per le riserve degli Stati.

Una valuta di conto dei Brics che produrrebbe una modalità di pagamento parallelo ai sistemi bancari nordamericani, sganciata totalmente dal Swift, in grado di favorire transazioni tra paesi sanzionati e consentire anche triangolazioni di beni occidentali mediante pagamenti semplici e a costi concorrenziali. Poi, Putin ha nuovamente denunciato le misure coercitive unilaterali: perché – ha detto “ignorano i principi base dell'economia di mercato e l'inviolabilità della proprietà privata”.

Sanzioni considerate “arbitrarie” anche dal suo omologo cinese Xi Jinping, che ha messo in luce le ricadute che pesano sui paesi in via di sviluppo e ha avvertito “i principali paesi sviluppati” circa la necessità di adottare politiche economiche “responsabili”. I fatti, ha aggiunto Xi, “hanno dimostrato più volte che le sanzioni sono un boomerang e una spada a doppio taglio. Coloro che politicizzano, strumentalizzano e armano l'economia mondiale, sfruttano il predominio del sistema finanziario e monetario internazionale per imporre sanzioni arbitrarie che alla fine danneggiano gli altri e il mondo intero”.

Per il presidente cinese, l'espansione delle alleanze militari porterà a molteplici rischi e “inevitabilmente a un dilemma sulla sicurezza”. Il risultato sarà solo un aumento dell'instabilità globale a causa della “ricerca della propria sicurezza a spese di altri paesi”. La crisi in Ucraina, per Xi, è da considerarsi “un campanello d'allarme”, così come lo è il progetto di ampliamento della Nato a Svezia e Finlandia, e i legami sempre più stretti dell’Alleanza Atlantica con Giappone e Corea del Sud, e le manovre degli Stati Uniti nell'Indo-Pacifico (dall'Aukus al Quad fino alla vendita di armi a Taiwan), evidentemente diretti contro la Cina.

La storia – ha ricordato Xi Jinping-  “ci dice che solo quando tutti ricordano le dolorose lezioni della guerra può esserci la speranza di pace”. Invece, le spinte all’”egemonismo” e alla “politica dei blocchi contrapposti” provocheranno solo “guerre e conflitti”. Da tempo, ha analizzato il presidente cinese, la globalizzazione capitalista incontra “venti contrari. Alcuni paesi vogliono il disaccoppiamento, vogliono rompere la catena di approvvigionamento per costruire un piccolo cortile con alte mura”. Invece, la globalizzazione economica “è un'esigenza oggettiva per lo sviluppo delle forze produttive e un trend storico irresistibile”. Tornare indietro “e cercare di bloccare la strada di altri, finirebbe per bloccare la propria strada” e per dividere l’economia mondiale in “regioni isolate”.

La Cina, ha invece assicurato il presidente, intensificherà gli adeguamenti delle politiche macro, adotterà misure più efficaci, si sforzerà di raggiungere gli obiettivi annuali di sviluppo economico e sociale, e ridurrà al minimo l'impatto della pandemia del Covid-19. Il XX congresso del Partito comunista che, ha annunciato, si terrà nella seconda metà dell’anno, “definirà un nuovo progetto di sviluppo basato su nuovi concetti, un nuovo sistema di economia aperta di livello superiore e continuerà a creare un ambiente imprenditoriale orientato al mercato, allo stato di diritto e internazionale”.

Xi ha rassicurato il suo omologo russo circa il sostegno di Pechino agli interessi fondamentali di Mosca in termini di “sovranità e sicurezza”, provocando la reazione di Washington secondo cui la Cina rischierebbe così di finire “dalla parte sbagliata della storia”. La parte “giusta”, sarebbe quella che Washington sta per proporre agli alleati nel vertice della Nato, allargandone le prospettive anche ad altri scenari: compresa la regione artica, la cui superficie glaciale si va progressivamente riducendo, rendendo così più vicina la prospettiva di una navigabilità delle sue rotte.

 La navigazione dell’Artico, che metterebbe in comunicazione il 75% della popolazione mondiale, evitando punti di passaggio obbligati per il commercio globale, provocherebbe cambiamenti capaci di incidere sugli equilibri generali: sia in termini economici, considerato anche il potenziale sfruttamento delle riserve strategiche custodite dall’area (soprattutto terre rare, preziose per lo sviluppo di nuove tecnologie), sia in termini alimentari (l’accesso a una immensa riserva di pesca), sia in termini militari.

Ad avere diritti territoriali sull’Artico sono otto nazioni, che fanno parte del Consiglio Artico: il Canada, la Danimarca (che rappresenta la Groenlandia), la Finlandia, l’Islanda, la Norvegia, la Svezia gli Stati Uniti e la Russia, unico paese fuori dalla sfera di influenza degli Usa. Nel 2013, la Cina ha ottenuto lo status di osservatore. La maggior parte dei paesi appartengono anche alla Nato, ora rafforzata dalle aspirazioni di Svezia e Finlandia di entrare a farne parte, e hanno già organizzato operazioni congiunte.

Anche in quest’area strategica, si sta venendo dunque a creare l’accerchiamento della Russia nella prospettiva di un conflitto di proporzioni globali. Negli ultimi tre mesi, il Congresso Usa ha approvato 54 miliardi di aiuti civili e militari a Kiev, più dell’80% del bilancio russo della difesa, mostrando l’intenzione di proseguire sullo stesso cammino: imponendo su questa base un nuovo concetto strategico per assicurarsi il dominio mondiale. Per questa ragione, ha assunto un’importanza il controvertice organizzato da varie organizzazioni e piattaforme popolari, con la consegna: Basta Nato, Fuori le basi militari.


(Articolo già pubblicato sulla rivista Cuatro F)

Geraldina Colotti: Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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