sabato 25 giugno 2022

Questione operaia e salari riassumono centralità. Usb: “Verso un Autunno di conflitto

Intervista a Sasha Colautti (Usb). Sabato 25 giugno l’Usb ha convocato una assemblea operaia nazionale a Roma per dare continuità al percorso avviato dalla manifestazione operai-studenti dello scorso 22 aprile. Assume evidente priorità la questione salariale in tutti i suoi aspetti, ma è l’intera questione operaia a riassumere centralità nel conflitto sociale e nella ipotesi di trasformazione del paese.



Per spiegare le ragioni dell’assemblea operaia del 25 giugno abbiamo intervistato Sasha Colautti dell’esecutivo della Usb.

Per sabato 25 giugno l’Usb ha convocato a Roma una assemblea operaia nazionale. E’ un passaggio di continuità o un nuovo percorso dopo la manifestazione operai-studenti del 22 aprile?

E’ chiaramente un passaggio in continuità rispetto la nostra manifestazione del 22 aprile, che a sua volta suggellava e metteva in pratica un percorso strategico che USB ha ormai in testa già  dallo scoppio della pandemia. In quel preciso momento si erano infatti aperte concretamente le prospettive per un intervento sindacale sulla cosiddetta “categoria operaia”, ovvero la moderna catena del valore: la pandemia ha messo in evidenza le debolezze di un periodo fatto di delocalizzazioni ed allungamento delle supply chain, la frammentazione produttiva e logistica, la proliferazione dell’e-commerce. A partire dalla condizione del lavoro sempre più precaria e sottopagata nelle categorie operaie, USB ha ritenuto possibile mettere in pratica un quadro di iniziativa che ha l’ambizione di riunificare il mondo del lavoro in un contesto in cui le singole lotte sono tenute assieme da elementi di rivendicazione di carattere generale e confederale, che possiamo riassumere sotto l’ “etichetta” della categoria operaia.

L’assemblea di sabato 25 giugno rimette al centro la questioni dei salari ma soprattutto la questione operaia. Una domanda viene d’obbligo: ma cosa significa la “questione operaia” nell’Italia del XXI Secolo?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo partire dal vuoto interpretativo della funzione sindacale, che in un quadro aggiuntivo di assenza di rappresentanza politica degli interessi “di classe” dei lavoratori, ha permesso di far letteralmente scomparire la centralità del lavoro come elemento di partenza per la progettualità politica ed economica in Italia..

La perdita di questa centralità ha permesso letteralmente la svendita del sistema-paese, dei suoi asset strategici, favorendo il processo di desertificazione industriale ed economica accompagnata da una classe imprenditoriale vampira di denaro pubblico e sempre più dedita finanziarizzazione dell’impresa.

E’ evidente che in particolare negli ultimi trent’anni, la caduta dei diritti del lavoro, la precarietà e la frammentazione sociale è determinata dall’assenza di politiche industriali di stato nei settori strategici ed al processo di chiusura e delocalizzazione costante che ha portato nei luoghi di lavoro il ricatto “diritti o posto di lavoro”, come ad esempio avvenuto per la FIAT di Marchionne e soprattutto ha infuso nella testa politica del paese che la “classe operaia” a fronte di questo processo costante di depauperamento, non esistesse più come soggetto sociale da rappresentare politicamente.

La classe operaia è quindi orfana ma allo stesso tempo errante ed alla costante ricerca di una sua qualificazione politica nel dibattito del paese.

La trasformazione produttiva ed economica e l’irreversibilità dei processi di depauperamento del tessuto produttivo ha trasformato l’Italia in un contenitore di lavoro povero, sottopagato, precario e legato sempre di più all’utilizzo del lavoro dei migranti, che sono sottoposti ad un processo di sfruttamento spesso peggiore.

USB quindi è partita da qui, poi partendo soprattutto nel lavoro sindacale sui braccianti, della logistica e nelle sue lotte, che ben rappresentano le aberrazioni della condizione lavorativa in Italia. Oggi la nostra organizzazione può permettersi di avanzare nell’iniziativa sulla “questione operaia”, perchè a queste lotte se ne sono aggiunte altre: quelle dell’industria, dei porti e nel commercio. Siamo divenuti largamente rappresentativi nella moderna catena del valore, ed è stato un passaggio voluto, nell’ambito di un obiettivo strategico della nostra organizzazione.

Torniamo sui salari. E’ sotto gli occhi di tutti che il boom dell’inflazione e le misure deflattive annunciate dalla Bce, ma anche dalla Banca d’Italia, puntano esplicitamente al blocco dei salari. Come pensate di mobilitarvi contro l’ennesima stagione lacrime e sangue per i redditi dei lavoratori? Possiamo prevedere un autunno di conflitto sociale?

L’assemblea nazionale del 25 Giugno ha lo scopo di imporre nel nostro dibattito proprio questa discussione: davanti al quadro attuale in cui si è imposto anche il dibattito sul conflitto in Ucraina e le sue conseguenze dirette, rispetto le scelte del nostro Governo, non possiamo affrontare questa discussione senza decidere un percorso di mobilitazioni ed un “autunno caldo”. Su questo tema come USB dobbiamo anche affrontare le modalità con cui allarghiamo il conflitto, includendo tutte quelle forze (pensiamo alle altre organizzazioni sindacali conflittuali, ma anche a forze politiche e sociali che hanno la volontà di schierarsi esplicitamente contro il Governo Draghi: per cacciarlo. Vogliamo cacciare il governo della guerra e dei rincari una volta per tutte.

La questione salariale è emersa con il massimo della forza nel dibattito pubblico e politico del paese e dovrà necessariamente essere parte integrante delle nostre rivendicazioni. Si è evidenziato infatti che nei paesi OSCE l’Italia è l’unico paese in cui negli ultimi 30 anni non solo i salari non sono aumentati, ma anzi, sono diminuiti del 2,97% un dato incredibile ma non così inatteso. Il paragone con gli altri paesi è agghiacciante, soprattutto prendendo come riferimento Spagna, Germania e Francia, dove gli aumenti sono stati mediamente del 30%. Chiaramente questa situazione fa parte di quel processo che descrivevo prima ma a questo vorrei aggiungere anche la riflessione sugli aumenti contrattuali sottoscritti negli anni da CGIL CISL e UIL che hanno scelto prima la concertazione (assecondando la rimozione della scala mobile) e poi introducendo un modello contrattuale che cancellava conquiste importanti come la rivalutazione del valore punto degli aumenti contrattuali (nel metalmeccanico) e introducendo l’indice IPCA come indice di calcolo degli aumenti. L’IPCA è un indice depurato dalla dinamica dei prezzi sui beni energetici importati e questo la dice lunga sul fatto che non riusciamo a recuperare in nessun modo gli aumenti dell’inflazione attraverso i rinnovi contratti nazionali, quando si rinnovano. Nel blocco dei salari quindi c’è un livello di compartecipazione enorme e bisogna che c’è ne rendiamo tutti conto, ed è uno dei motivi per cui c’è tanta deterrenza anche sindacale all’introduzione del salario minimo per legge.

Va detto che in parallelo alla questione del salario emerge con chiarezza anche l’elemento contrattuale: la povertà assoluta del paese non è diminuita nemmeno nel periodo di ripresa del Pil. Questo significa che la riflessione va fatta anche sulla questione dei contratti precari e della proliferazione di contratti a tempo determinato senza limiti.

Tra i vostri obiettivi c’è anche il salario minimo sul quale sembrano essersi aperte delle possibilità. C’è da crederci?

Oggi si è posta l’attenzione su quuesto strumento e USB crede nella sua proposta e vuole riaffermarla con forza nel dibattito pubblico: 10 euro da introdurre come minimo nei contratti nazionali di lavoro. C’è chi pensa che con il salario minimo si voglia indebolire il ruolo della contrattazione, ma questo non è vero. La realtà è che la contrattazione in italia sui salari è già blindata ed è impossibile e non accettabile che la discussione di oggi sia solo quella legata all’aumento della produttività.

I salari si aumentano aumentando i salari e la produttività basata sul taglio dei diritti e la condizione lavorativa non è più sostenibile. Le aziende devono produrre degli investimenti, bisogna ripensare completamente al modello lavorativo ed alla sua sostenibilità.

Per quanto riguarda le proposte degli altri ritengo vadano nella direzione sbagliata ed il rischio è proprio quello di una distorsione di questo strumento. CGIL CISL e UIL vorrebbero subito appropriarsene utilizzandolo fra l’altro come contropartita per ottenere un restringimento ulteriore della rappresentanza. Il salario minimo non può essere lo strumento per determinare l’autoreferenzialità sindacale.

La Cgil ha chiamato sabato scorso una manifestazione in piazza a Roma annunciando anch’essa di dare battaglia sui salari. E’ credibile?

Come può essere credibile un’organizzazione che per 30 anni ha svenduto i diritti ed il salario delle persone? Hanno sottoscritto di tutto, introducendo persino la possibilità di derogare il salario in peggio nei contratti aziendali. Hanno condiviso ogni genere di aberrazione normativa e contrattuale spogliando la forza lavoro di tutti gli strumenti che servivano per difendersi. Potremmo fare l’elenco dei singoli passaggi e dei singoli accordi che hanno depauperato il salario delle lavoratrici e dei lavoratori. Per non parlare di categorie che hanno sottoscritto contratti nazionali al massimo ribasso, incapaci non solo di aumentare il salario, ma nemmeno di recuperarlo.

Fanno sorridere le roboanti dichiarazioni di piazza, se rapportate al “ringraziamento” di Draghi di qualche settimana fa che diceva testualmente: “Voglio ringraziare CGIL CISL e UIL per lo spirito di leale e franca collaborazione. I risultati raggiunti dal Governo sono il prodotto di un metodo che ci siamo voluti dare insieme”.

E’ evidente che queste organizzazioni non hanno nessun interesse a mettere in discussione il Governo e rimangono funzionali all’establishment. Avrò sentito dieci volte minacciare lo sciopero generale senza che mai si concretizzasse, con le singole categorie lasciate a tamponare gli spazi o addirittura singole vertenze superare nella cronaca e nel dibattito la funzione di rappresentanza generale dei lavoratori, vedi  la GKN. Purtroppo non si “insorge” con la CGIL.

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