Può esistere un aspetto positivo in questo dramma infinito della siccità, nello scenario insopportabile di fiumi e laghi asciutti, nell’Italia in ginocchio per la sete? Parrebbe nessuno. E invece forse uno ce n’è. La siccità che sta colpendo l’Italia è un’enorme operazione di verità. È un fatto, che non si presta ad ambigue interpretazioni, a discussioni tanto infinite quanto sterili. L’acqua non c’è. Punto. E per questo la siccità spazza via, speriamo per sempre, alcune nefaste categorie che hanno inquinato il nostro spazio pubblico e mediatico.
Elisabetta Ambrosi
Anzitutto, la siccità smaschera la categoria dei tecnocrati, i fautori del progresso e della “tecnologia che ci salverà”, detrattori comodamente seduti dell’“ambientalismo ideologico”. Purtroppo, non possiamo berci i nostri tablet né i loro gassificatori e già questo dimostra il loro fallimento. Soprattutto c’è da chiedersi come mai questi fautori a oltranza della scienza e tecnica non siano stati capaci di leggere un solo straccio delle migliaia di report scientifici sui rischi della crisi climatica per l’acqua e il cibo degli ultimi cinquant’anni. Attenzione, perché è probabile che tra poco costoro, che usano i numeri come gli fa comodo, cioè loro sì ideologicamente, cominceranno a chiedere la costruzione di enormi dissalatori, che consumano altra energia e producono scorie, pur di evitare di cambiare vita ed ammettere che un bambino di prima elementare aveva capito le cose meglio di loro.
Ma c’è una seconda categoria spiazzata dalla sete italiana. Quelli che “quanto è bella la sostenibilità, magari facciamo anche una festa e cantiamo e balliamo per l’ambiente”. Settimanali che spiegano ai cittadini come essere green con questo o quel piccolo cambiamento, come la crema biodegradabile che costa più dell’inquinante, ma anche – soprattutto e con maggiore malafede – grandi quotidiani che magari fanno una festa green and blue all’ambiente dopo avergliela fatta, nell’altro senso, promuovendo aziende e lobby che di green hanno solo il greenwashing. Non c’è niente da festeggiare. La crisi climatica, e la siccità che ne segue, sono una tragedia infinita che non abbiamo ancora idea di come affrontare.
Ancora: la siccità spazza via la categoria di quelli che “daje ai fautori della decrescita”,
cioè quelli da sempre critici con chi promuoveva maggior frugalità,
bollati come pauperisti maleodoranti che volevano mettere a rischio la
nostra economia. Ebbene, la siccità ci mette di fronte al fatto che, non avendo più acqua,
potremmo anche non avere più niente da mangiare, visto che il cibo sarà
sempre più prezioso ovunque e ogni nazione tenderà a tenersi quello che
ha. Altro che decrescita: saremo costretti a una radicale revisione forzata
di ciò che mangiamo (pare che il sorgo sia un cereale che resiste anche
nel deserto), e di come ci spostiamo. Non era meglio un po’ di
decrescita felice fatta prima?
Ci sono infine i negazionisti climatici, giornalisti e politici, un residuo umano che ancora sussiste. Oggi alcuni di questi stanno cercando di smarcarsi dalle proprie posizioni – vedi Salvini – e cominciano a biascicare parole come “ambiente” e “animali”. Arriveranno a capire la crisi climatica nell’aldilà.
Infine la siccità smaschera buona parte della nostra classe politica ignara del tema climatico. D’altronde, avendo vissuto in questi anni chiusa in Transatlantico, come poteva percepire l’aria sempre più torrida e le campagne asciutte? Il guaio è che se un tempo la malapolitica provocava aumento del debito pubblico e disservizi, oggi mette letteralmente a rischio la nostre pelle. È assordante il silenzio sul tema di Draghi e anche quello di Cingolani, che pure manda un comunicato al giorno sulla qualunque. D’altronde, solo noi italiani, ma cosa abbiamo fatto di male, abbiamo avuto la disgrazia di un ministro della Transizione ecologica che parla di “lobby del rinnovabilismo” e di “ideologia” sulla fine della macchine a benzina. Solo noi italiani, ma che abbiamo fatto di male, abbiamo un primo ministro che se non ambientalista avremmo sperato fosse europeista, e dunque ambientalista di ritorno, e invece sulla crisi climatica tace, mentre noi siamo costretti a far morire i nostri giardini e i nostri orti.
Ma assordante è anche, infine, il silenzio di quei giornalisti dei talk show, che dopo averci per mesi ossessionato con la loro lezioncina pedagogica sull’aggredito e l’aggressore, mai si sono occupati di siccità. Perché non sanno, in questa che è la più grande delle battaglie, chi è l’aggredito e l’aggressore. Perché la crisi climatica non è una favoletta e per raccontarla ci vuole studio, competenza, anche coraggio. E soprattutto scarso o nullo narcisismo.
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