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Anna Lombroso per il Simplicissimus
Che sorpresa, la Grande Democrazia che ha confezionato un modello di vita esportato in gran parte del mondo e fecondo di benessere e sviluppo, pare abbia delle tare che non riguardano per una volta il suo ruolo di nume tutelare della sicurezza e dell’ordine mondiale, bensì quelle prerogative e conquiste che dovrebbero salvaguardare comportamenti, inclinazioni e scelte autonome dell’individuo.
Se ne stupiscono gli abatini tirati su a Tocqueville a legal film col protagonista nero che impersona riscatto etnico o la Erin Brockovich Ellis che guida a un tempo affrancamento di genere, emancipazione della cittadinanza e riappropriazione di ambiente e beni comuni.
Stuporoso commenta Riotta, che, una volta appreso che non ci si può opporre al fiume straripante della cultura progressista antirazzista, scopre che alla destra rimane solo la deriva antiabortista.
Si sentono minacciati i corrispondenti che si nutrono di veline della Columbia University e della Nato, mica si risveglierà quel truce antagonismo che ha caratterizzato “un Paese dove sono stati uccisi quattro presidenti”, perché la sentenza della Corte Suprema che ha cancellato il diritto federale all’aborto cristallizza la profonda spaccatura dell’America, “che è culturale, politica, geografica e forse insanabile, in quanto riguarda valori non negoziabili spesso mescolati alla fede religiosa”.
Ciononostante non si arrendono all’evidenza, in fondo è anche da questo che si riconosce una democrazia, in una pluralità di convinzioni e posizioni, in quel crogiuolo di confessioni, credo e professioni di fede, in Dio, nel mercato, nella tecnologia e nella scienza oltre che nell’ambizione di farsi da sé e affermarsi.
Ora è vero che la storica sentenza, che ribalta quasi 50 anni di giurisprudenza, e che lascerà ai singoli stati di decidere annullando la sentenza “Roe v. Wade” che nel 1973 aveva fatto della libertà di scelta un diritto garantito dalla Costituzione Usa, condannando le donne a disuguaglianze aggiuntive a quelle di genere, quelle più povere, quelle appartenenti alle minoranze etniche o le minorenni che non potranno permettersi di viaggiare centinaia di chilometri per recarsi negli stati dove l’interruzione di gravidanza rimarrà legale.
Però è altrettanto vero che perfino Biden, come ricorda il Corriere, come un nonno comprensivo ha accusato la Corte di aver fatto “un tragico errore” e che l’anima buona e tollerante dell’America invita l’elettorato a votare alle legislative di novembre per deputati e senatori che possano ripristinare la libertà di abortire con una legge federale.
E poi, qui da noi, come perdere l’occasione di partecipare tutti del brusio moralistico che accompagna le polarizzazioni dell’opinione comune in fazioni, dalle quali escono sempre vincenti i canoni dettati da uno stato dal cui pare sia conveniente accettare dogmi e comandi per continuare ad essere a un tempo colonia militare e culturale.
Da tempo cerchie condannate a ruoli minoritari combattono una battaglia ardua: il nemico è fortissimo, ha il consenso di una minoranza potentissima per via della nostra demoralizzazione, delle divisioni, di reciproci pregiudizi ma soprattutto perché ha a disposizione tutti i mezzi di persuasione e condizionamento con i quali hanno agito per mettere al bando il pensiero critico.
Si è fatta testimone e interprete di questa battaglia perfino un membro del Bunderstag, l’economista e saggista tedesca Sahra Wagenknecht, con un libro-confessione che rappresenta una violenta invettiva contro il nemico in casa, i progressisti neoliberisti del Lifestyle- Linke, la “sinistra alla moda” che predicano la doverosa demolizione dello Stato sovrano nel quadro dell’illusione europeista, che confidano entusiasticamente nella capacità autoregolatrice del mercato, che con il politicamente corretto, la cancel culture esasperata fino al ridicolo hanno affermato l’egemonia dei cosiddetti diritti civili su quelli fondamentali ormai alienati come arcaici rottami del passato, salvo poi dimostrare che anche quelli in tempi di crisi sono degli optional cui è doveroso rinunciare.
Ormai li conosciamo bene, si sono annidati ovunque, nelle riviste pensose, nelle redazioni dove vengono omaggiati per l’impegno profuso a validare disuguaglianze feroci. Ma finora è stata esentata dalla critica una minoranza non numerica e le sue profetesse consegnate irriducibilmente alla causa del femminismo neoliberista. Adesso è proprio ora di smascherarle prima che facciano altri danni, cominciando da quelle che hanno praticato la critica ai limiti angusti della biopolitica, ma fino a due anni fa, quando si sono convertite all’opportunità di essere espropriate oltre che della ragione die propri corpi per garantirne la salvezza.
O quelle che erano state sorprese dalla mercificazione del soggetto femminile, una volta collocato sulla copertina di un settimanale al prezzo di due, non avendone avuto certezza in secoli di sfruttamento della merce lavoro maschile e femminile, la seconda penalizzata due volte per via della gratificante combinazione di mansioni pubbliche e private.
Penso a quelle che per anni hanno sottoposto a feroce biasimo la medicina sessista, infiltrata da influenze confessionali, del partorirai con dolore, dell’isterismo patologia femminile, della sottovalutazione di malattie retrocesse a capricci di casalinghe pigre e che in due anni hanno sottoposto a revisionismo ogni convinzione prestandosi come cavie e offrendo al sacrificio i loro figli.
E penso a quelle del “corpo è mio” che al momento debito hanno preferito consegnarlo alle autorità per meritarsi la completa ammissione e inclusione sociale grazie al possesso della tessera di riconoscimento. A quelle che hanno preso per diritto una legge conquistata a caro prezzo, offesa e denigrata, che aveva la funzione di sottrarle alla condanna per assassinio, e che hanno partecipato da due anni alla lesione e cancellazione di altre conquiste e prerogative, al lavoro, allo studio, alla libera circolazione, all’esercizio del libero arbitrio.
E mi riferisco a quelle che dopo anni nei quali sono state oltraggiate dalla libertà di coscienza di cinici clinici che si sono permessi di venir meno al loro giuramento di prestare cura e risparmiare dolore, si sono allineate nel mettere al bando dalla professione e dalla società chi ha messo a rischio lavoro, remunerazione, anzianità, fama per stare in prima linea nella battaglia per il libero esercizio del pensiero e della scelta. O a quelle che sono scese giustamente in campo contro l’affronto alla privacy delle croci nei cimiteri col nome delle mamme assassine ma che hanno fatto buon uso dei social per lanciare anatema con cognome e nickname delle irresponsabili che per egoismo si sono sottratte all’impegno vaccinale.
Non bastavano quelle che godono in comodato d’uso dei vizi e degli stravizi dell0omologazione ai modelli virili, non bastavano le Lagarde, le baronesse, le cocche di papà bancario, le ausiliarie nella guerra per la supremazia della civiltà superiore. Ci sono toccate in sorte anche le professioniste del tradimento, che è davvero ora di svergognare.
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