martedì 28 giugno 2022

Armi all’Ucraina: due domande agli amici che hanno indossato l’elmetto

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La guerra in Ucraina prosegue con un andamento che la propaganda bellica non riesce a nascondere. Com’era prevedibile, data la diversità delle forze in campo, l’esercito russo avanza. Lentamente, ma avanza. E l’occupazione si estende a località strategiche e si consolida (anche se il Governo di Zelensky e i media nostrani sostengono che il ritiro delle truppe ucraine è dovuto all’intento di attestarsi in una miglior difesa: sic!). La cosa non mi piace ma ciò non cambia la realtà. La guerra non finirà a breve e non ci saranno vincitori né dichiarazioni di resa. Quando le grandi potenze – non l’Ucraina – lo decideranno si arriverà a un compromesso, magari a partire dagli accordi di Minsk del 2014 e del 2015, firmati da tutte le parti e non rispettati da alcuna. Non sappiamo quando ciò avverrà ma a determinarlo saranno esclusivamente gli interessi geopolitici delle grandi potenze, come rivendicano, quotidianamente e senza pudore, non solo Putin e i suoi generali ma anche i governanti degli Stati Uniti e dei più importanti Paesi europei, che pretendono di dettare i tempi e i modi delle trattative. Intanto ci saranno ulteriori carneficine, distruzioni, esodo di popolazioni, sofferenze immani. Poi si arriverà al compromesso: quello stesso a cui si sarebbe potuti arrivare due o tre mesi fa o si potrebbe arrivare oggi. Che questa sia la situazione lo sanno tutti ma l’interesse geopolitico (ammantato con nobili parole) fa aggio sulla verità.

Perché quanto accade non sia solo una inutile mattanza bisogna, nonostante tutto, continuare a ragionare. Non sulla legittimità della resistenza degli ucraini all’invasione e al sopruso, che è un diritto fondamentale e inviolabile (https://volerelaluna.it/commenti/2022/04/21/a-due-mesi-dallinizio-della-guerra/), come quello dei curdi, dei palestinesi, degli yemeniti e dei tanti popoli ugualmente violati nel mondo. E neppure sul fatto che le vittime siano comunque tali e abbiano il pieno diritto alla relativa considerazione internazionale, indipendentemente dalle loro idee politiche e dalle scelte dei loro governi. Non sono questi, oggi, i nodi del contendere e quel diritto e quello status non sono affatto negati dai “pacifisti” che, al contrario, sono – in Italia e in tutta Europa, nonostante le accuse e gli insulti dell’establishment – quelli che più si spendono in aiuti alla popolazione ucraina e nell’organizzazione dell’assistenza ai profughi.

Il nodo del contendere è, oggi, l’atteggiamento della comunità internazionale (e, in essa, del nostro Paese) di fronte al conflitto in corso. Gli Stati Uniti e la Nato hanno scelto fin dall’inizio della guerra (anzi prima ancora dell’inizio…) la strada di un massiccio invio di armi all’Ucraina. E, in Italia, governo e parlamento si sono prontamente allineati, fedeli a un atlantismo acritico e subalterno, col sostegno dell’opposizione di Fratelli d’Italia e di tutti i grandi mezzi di informazione. Nessuna sorpresa in ciò. Ma colpisce che a questa linea si siano accodati, talora letteralmente indossando l’elmetto, molti intellettuali e studiosi un tempo schierati per la pace “senza se e senza ma”. Ferma la legittimità di ogni cambiamento di opinione, credo che ad essi almeno due domande (sincere e non retoriche) vadano poste, per riannodare – se possibile – le fila di un dialogo o, comunque, a futura memoria.

La prima domanda è all’apparenza provocatoria e paradossale (almeno se proveniente da chi è schierato per la pace subito). Se – come dicono i fautori dell’invio delle armi – quello in corso in Ucraina non è solo un conflitto territoriale (seppur gravissimo) ma uno scontro di valori e di principi in cui sono in gioco la democrazia, i diritti umani, la stessa civiltà a livello planetario e se, per questo, le scelte sul terreno non sono politiche ma etiche, perché la comunità internazionale deve limitarsi all’invio di armi (delegando agli ucraini la difesa sul campo di quei valori) e non intervenire direttamente con uomini ed eserciti? Perché – si dice – così facendo si scatenerebbe una nuova guerra mondiale, magari con l’uso di armi nucleari, con costi umani ed economici insostenibili. Risposta sacrosanta e del tutto condivisibile, direi ovvia. Che peraltro, a ben guardare, ribalta la premessa dell’invio delle armi e rende palese che anche in questo conflitto non ci sono decisioni eticamente necessitate bensì un delicato bilanciamento di principi e di interessi. Ma, se così è, il discorso si sposta sull’opportunità, sui costi, sull’efficacia dell’invio delle armi, da comparare con altri interventi possibili (negati solo da chi non li vuol vedere perché abituato a ragionare esclusivamente nella logica della guerra: https://volerelaluna.it/controcanto/2022/06/24/draghi-prigioniero-di-putin/) e con pressioni della comunità internazionale tese a favorire una soluzione negoziata del conflitto (a partire – già lo si è detto – da accordi accettati in passato da tutte le parti). Né si dica – almeno questo si deve alle vittime quotidiane di questa follia – che la vittoria è alle porte e, con essa, il trionfo del bene: affermazioni valide per la propaganda ma che nulla hanno a che fare con la realtà.

La seconda domanda è ugualmente pressante. Se l’aggressione e la violazione di un popolo sono un’offesa a tutta l’umanità a cui la comunità internazionale deve necessariamente rispondere con la forza e con le armi, perché questa soluzione è adottata in Ucraina e non anche in Kurdistan (dove è in atto un vero e proprio genocidio), in Palestina, in Yemen e via seguitando? Non basta dire che “non ce ne sono le condizioni”: se così fosse, si dovrebbe quantomeno lanciare una campagna, proprio a margine della guerra in Ucraina, perché quelle condizioni si realizzino. Né si parli, per favore, di benaltrismo come taluno ha fatto, affermando che l’omissione di altri interventi doverosi non inficia la validità di questo –. Non è così. La diversità di trattamento, tanto clamorosa quanto taciuta, è, infatti, il sintomo inquietante del fatto che la tutela dei diritti varia, anche sul piano internazionale, a seconda che i loro titolari siano amici o nemici o, semplicemente, meno amici (e ciò riguarda non solo il sostegno alle popolazioni aggredite e violate ma anche l’accoglienza di chi fugge dalle guerre, come i fatti di ieri a Melilla ancora una volta dimostrano). Ma, allora, la battaglia per i principi e i valori si rivela, in realtà, una battaglia per interessi; ed è, all’evidenza, la ragione per cui la, pur doverosa e sacrosanta, condanna dell’invasione russa vede l’Occidente isolato e non è condivisa dal resto del mondo, governi e popoli (https://ilmanifesto.it/perche-il-sud-del-mondo-non-e-allineato-alloccidente).

È possibile avere, dagli amici che sostengono la necessità di continuare a inviare armi all’Ucraina, risposte pacate e sincere a queste domande?

 

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