Non è facile spiegare che rispondere alla violenza con la violenza è un suicidio oltre che un omicidio. Ma non è facile neanche improvvisare la nonviolenza. Dialogo con Alex Zanotelli.
«È sbalorditivo questo fatto che siamo tornati di nuovo al concetto di guerra giusta. E soprattutto in difesa della civiltà occidentale. Io pensavo che certe cose le avessimo ormai digerite, e invece no». Sono le prime parole che pronuncia Alex Zanotelli, poi si interrompe, ci pensa e mi chiede se voglio un decaffeinato. Ringrazio. L’ho già preso al bar appena arrivato alla stazione di Napoli. Mentre accendo il registratore si mette seduto nell’angolo della stanzetta dietro al tavolino. Io dico «registro così posso usare proprio le tue parole». «Sì, sì, tranquillo» e riprende il discorso. «Papa Francesco è stato chiarissimo nell’enciclica Fratelli Tutti. Cioè che oggi con lo “sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche”, ma anche con la Cyberwarfare “si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile” ed è diventato assurdo “parlare di una possibile guerra giusta”. L’unico vincitore di questa guerra è il complesso militare industriale. Questa è la cosa veramente paradossale della nostra storia. Con il problema che se effettivamente la Russia viene incastrata è capacissima di usare l’atomica. Stiamo ballando letteralmente sul baratro di un’esplosione atomica e dell’inverno nucleare. Io non riesco a capire perché la gente non lo comprende».
Caro Alex, la gente non lo comprenda perché non è facile spiegare che rispondere alla violenza con la violenza è un suicidio oltre che un omicidio. Le televisioni hanno cominciato subito dopo Natale a mostrare gli ucraini che si esercitavano coi fucili di legno e i ragazzini che preparavano le molotov. Era la storia di Davide contro Golia. Parli col vicino di casa e ti dice “che faresti se invadessero l’Italia? Ti ricordi i partigiani che hanno combattuto il nazifascismo?” Come faccio a rispondere al mio dirimpettaio che gli ucraini possono scegliere una resistenza nonviolenta?
«Oggi è inutile che parliamo di nonviolenza in Ucraina. No. È solo tempo perso. Dovevamo farlo prima. Dal 2014 ad oggi sappiamo bene quello che stava avvenendo. Se noi avessimo cominciato seriamente a lavorare col popolo ucraino per coscientizzarlo, per prepararlo a una resistenza nonviolenta qualcosa poteva avvenire. C’è l’esempio della Danimarca quando Hitler ha dichiarato guerra. Quei quattro gatti di esercito che avevano si sono subito arresi con l’intenzione di resistere al nazismo. Infatti il re andava in giro con la stella di David. Hanno salvato, portato in una notte tutti gli ebrei fuori dalla Danimarca. Li han portati in Svezia. E hanno fatto una resistenza. Il popolo ha sempre un potere enorme. Pensa a quello che ha fatto Mandela in Sud Africa. Tutti noi eravamo convinti che laggiù si sarebbe arrivati a una guerra terribile tra bianchi e neri. E invece… Però tutto questo richiede preparazione. La nonviolenza non si inventa dal nulla. Quando ero direttore di Nigrizia ho appoggiato tutte le lotte armate in Africa contro il colonialismo perché mi sembrava che fosse l’unica cosa che si poteva fare. Bisognava stare da quella parte. Oggi mi pento. Io sono un convertito alla nonviolenza di Gesù. Lui cosa aveva capito? Che il suo popolo stava andando dritto alla guerra contro Roma. E tutti si aspettavano che sarebbe stato lui a guidarla. E la più grande tentazione che ha avuto Gesù quando è arrivato a Gerusalemme era guidare duecento, trecentomila ebrei che lo aspettavano. E invece lui è entrato su un asino. Ci ha preso in giro tutti. Pensa a Gandhi che ha liberato l’India contro l’impero britannico e con lui c’era Bāshā Khān che guidava i musulmani».
Alex Zanotelli è nato a Livo in Trentino. Dalla metà degli anni Cinquanta ha studiato a Cincinnati, Ohio, poi nel ’65 ha insegnato in Sudan. In Africa ha preso coscienza che «la ricchezza di pochi è pagata dalla miseria di troppi». Come direttore di Nigrizia, il mensile dei missionari comboniani, ha denunciato lo squilibrio tra i pochi aiuti ai poveri e i grandi introiti per il commercio di armi. Oggi l’Italia arriva più o meno a 400 milioni di euro per la cooperazione allo sviluppo (dati Openaid AICS), ma presto raggiungerà il 2 per cento del Pil per le armi, cioè 40 miliardi.
«Mi domandavo: “come è possibile che con una mano l’Italia offra aiuti e con l’altra invece venda armi?”» scrive in un libro che ha pubblicato da poche settimane Lettera alla tribù bianca. Il titolo viene dalla sua esperienza nella baraccopoli di Korogocho, periferia di Nairobi. Accanto alla «enorme e spaventosa discarica di Dandora» dove anche i bambini diventano scavengers, raccoglitori di rifiuti, le bambine si prostituiscono e spesso muoiono di aids prima di diventare maggiorenni. Dopo dodici anni in mezzo ai rifiuti dell’umanità è tornato in Europa «perché, se oggi viviamo in un pianeta di immense folle di impoveriti, la responsabilità è in gran parte della tribù bianca. E come missionario sono tornato dalla mia gente, dalla mia tribù bianca a convertirla».
Accompagno Zanotelli a piazza Carità dove l’aspettano per un volantinaggio contro la guerra. Andiamo insieme verso il Ponte della Sanità costruito all’inizio dell’800 da Gioacchino Murat per favorire il passaggio dal centro della città alla reggia di Capodimonte evitando ai sovrani di passare in mezzo alla plebe. Gli impoveriti della nostra tribù bianca dove padre Alex è andato a portare un riscatto di pace e dignità, una resistenza nonviolenta.
Pubblicato su il manifesto e qui con il consenso dell’autore
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