lunedì 6 giugno 2022

Servitori dello Stato contro cittadini.

Tutti accaniti contro il red carpet marziale, steso davanti al passaggio dei martiri in camice bianco, abbiamo dedicato scarsa attenzione agli altri militi noti che da anni si sacrificano con abnegazione per il bene comune, e che hanno sfilato sul sacro suolo di Via dei Fori Imperiali il 2 giugno.

 

il Simplicissimus Anna Lombroso 

Eppure erano  i primi cittadini con tanto di fascia guidati dall’immarcescibile  presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, e dall’altrettanto inossidabile presidente del Consiglio nazionale, Enzo Bianco.  Come in altre  precedenti edizioni, la scelta di far aprire la sfilata ai primi cittadini  “serviva a sottolineare e valorizzare l’impegno degli ottomila Comuni italiani quale ‘prima linea’ istituzionale e tessuto connettivo del Paese”, un ruolo oggi rinnovato per via della funzione fondamentale che stanno svolgendo in termini di accoglienza e inclusione dei profughi dell’Ucraina, facendosi carico dei servizi di assistenza nei territori del Paese.

Ultimo ma non meno fondamentale incarico questo,  che gli amministratori da anni svolgono con spirito di servizio, malgrado l’ambito della loro azione sia stato fortemente ridotto all’impotenza dalla crisi, da vincoli esterni che li hanno costretti giocoforza a compiere scelte impopolari, da una tendenza alla personalizzazione della politica che ha creato e poi distrutto leadership che sembravano inviolabili, ma soprattutto dall’obbligatorietà di replicare su scala le politiche nazionali compreso quel colonialismo applicato ai territori che ha inesorabilmente depredato e mortificato i margini, favorito i centri strategici, usato le periferie come bacini nei quali convogliare altro malessere che si aggiungeva a umiliazioni, trascuratezza e indifferenza.

Non so a quel data precisa far risalire la pratica delle privatizzazioni e delle svendite di patrimonio comune, delle aziende locali retrocesse a macchine per far fare soldi all’azionariato a discapito di qualità, efficienza e costo dei servizi e delle prestazioni.

Non ci sarà stato un ordine dall’alto impartito dalla tolda del Britannia, ma è sicuro che l’ascesa alla cabina di comando del riformismo neoliberista Ds, Pd con le riforme Bassanini, i provvedimenti targati Bersani per la liberalizzazione  del settore elettrico e con la normativa  sul commercio, inclusa l’abolizione delle tabelle merceologiche  e difeso come misura necessaria, malgrado fosse chiaramente sbilanciato verso al grande distribuzione organizzata – la Coop sei tu! – , diedero la linea per integrare i principi del profitto speculativo e i canoni del marketing nella gestione e distribuzione dei servizi pubblici e  del commercio, ricevendo i benefici del voto di scambio, del clientelismo e del familismo amorale che hanno sostituito ricerca del consenso e popolarità, anche grazie a leggi elettorali bloccate su candidati scelti e imposti dalla nomenclatura partitica.

E lo credo che si siano meritati un posto in prima fila alla parata, a vedere l’entusiasmo con il quale hanno applicato anche la prima versione dei vituperati decreti Salvini, peraltro preparati con cura dal precedente Ministro Minniti, intesi a criminalizzare gli altri, gli ultimi da punire per rassicurare i penultimi, a penalizzare chi offende il decoro, si tratti di poveri, matti, immigrati, marginali, da sottoporre a Daspo in attesa di annoverare tra i pericoli pubblici i disobbedienti sanitari, gli eretici, i dubbiosi.

D’altra parte si trattava dell’interpretazione perfetta di un ordine pubblico visto come militarizzazione del territorio urbano che negli anni minaccia sempre di più di diventare il teatro di guerre a bassa intensità e da contrastare con repressione, controllo e sorveglianza. Ma  anche con una pianificazione   urbana mirata a tutelare ceti e enclave intimorite dalla pressione di classi disagiate che premono con violenza e che costringono a una privatizzazione della sicurezza con polizie mercenarie, dispositivi a alto contenuto tecnologico e dissuasioni violente.

È servita anche a questo la retrocessione dell’urbanistica a pratica negoziale e contrattazione, con da un parte le amministrazioni costrette alla resa dall’altra parte, rappresentata dallo strapotere dei privati impegnati al sacco delle città grazie alla gentrificazione, all’espulsione dei residenti dai centri storici, alla consegna delle città d’arte alle multinazionali del turismo e alla rete di Airbnb, alle grandi firme che hanno sostituito il commercio e l’offerta di prodotti artigianali, secondo una pratica di patteggiamento consistente in miserabili compensazioni “ecosostenibili” a fronte di una pressione sempre più formidabile dei suoli e sull’ambiente.

La cancellazione delle province e la disordinata e confusa spartizione delle competenze ha fatto il resto, nei settori della scuola, dell’assistenza, dei rifiuti.

E lo si è visto nel caso della gestione pandemica, coi primi cittadini cointeressati a spacciare vaccini dimettendosi da ogni responsabilità e funzione “sanitaria”, di salute pubblica, igiene e profilassi, fanaticamente impegnati a mobilitare la polizia municipale per reprimere, sanzionale, criminalizzare i runner, i perturbatori della quiete coi picnic in terrazza, indifferenti alla divisione introdotta tra cittadini meritevoli di protezione  tutela al sicuro delle sua case e essenziali esposti al rischio non nuovo di mezzi pubblici stracolmi di bestiame destinato al macello virale.  E ora pronti a utilizzare la formula dei vantaggi da conseguire grazie a tessere e punti- qualità, da accumulare per ottenere un trattamento speciale nell’accesso a servizi, prestazioni e diritti che credevamo inalienabili e che paghiamo con imposte nazionali e locali.

Ma ci sono altri punti dei quali sono ghiotti i sindaci quelli dello stanziamento di 40 miliardi di euro, dei 66,4  a debito messi a disposizione dal Pnrr, grazie a un aggiornamento dei criteri dell’austerità combinati con i canoni della libera concorrenza e che disegna una ristrutturazione del “settore pubblico” cui è praticamente vietato gestire qualsiasi cosa, anche i monopoli naturali, esaltando il sistema delle concessioni, più costoso  e che impedisce il controllo dal basso, accreditando così il pregiudizio secondo il quale  l’ingresso dei privati garantisca funzionalità, innovazione, efficacia delle prestazioni e ostacoli la pratica clientelare.

Grazie alla festosa introduzione delle leggi del mercato e dell’aziendalismo nelle aziende comunali, si potranno finalmente  “sanare”  i bilanci delle imprese pubbliche, quelle dei trasporti in primo luogo, a fronte di uno scadimento della qualità delle prestazioni, di un rincaro delle tariffe, di interventi sulla viabilità che penalizzano le periferie già condannate alla marginalità.

Ma mica vorrete fare le pulci a questi servitori della patria che sfilano tra generali e primari applauditi dalla grate autorità, tutti in prima linea coi podestà delle panchine dedicate, delle mense separate e  con gli sceriffi dei pogrom nelle stazioni, dei repulisti nelle disgraziate periferie, pronti al “nostro” sacrificio per accogliere profughi di prima categoria, bianchi, affini, che abbiamo imparato a conoscere perché provengono da una terra che è sopravvissuta grazie alle paghe delle sue donne in esilio e che, come se non bastasse, si stanno immolando come “esercito di popolo” in una guerra condotta contro chi potrebbe mettere a repentaglio il nostro modello di vita.

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