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Non di rado i più imbecilli del parterre pandemico si scagliano con veemenza contro chi resiste alle vaccinazioni, certo senza portare alcuna argomentazione da momento che non ne hanno, ma buttando loro addosso l’accusa di essere senza neuroni, condizione esistenziale che essi conoscono alla perfezione: il dottor Freud oltre un secolo fa ha scoperto quale soddisfazione sia gettare sugli altri la tara delle proprie disgraziate condizioni. Lo spettacolo sarebbe anche esilarante per la tranche de vie che offre questo pianeta delle scimmie che vive berciando delle briciole del potere, se non fosse che la realtà è esattamente contraria: esiste una correlazione inversa inverso tra cultura e disponibilità a vaccinarsi. Più alta è la prima, più è bassa la seconda. Una ricerca della Carnegie Mellon University e dell’Università di Pittsburgh condotta tramite intervista su 5 milioni di persone, dunque piuttosto consistente, ha dato come risultato che i più restii a vaccinarsi e a cambiare idea in proposito sono proprio coloro che hanno un dottorato di ricerca.
La cosa francamente non mi stupisce affatto e non mi sorprende neanche che questo studio dia in qualche modo ragione a un’osservazione che ho fatto tempo fa su questo blog, ovvero che sono i ceti più umili e meno acculturati ad essere più scettici riguardo alle balle pandemiche: infatti dalla ricerca emerge una curva a U, come è facile vedere nella tabella pubblicata in alto, nella quale si osserva che la poca disponibilità a farsi prendere per il naso e dunque a farsi iniettare preparati sperimentali è presente al massimo grado sia nei livelli bassi di istruzione che nei massimi. Generalmente i fini dicitori della narrazione pandemica diffondono l’idea che l’esitazione vaccinale diminuisca con il livello di istruzione e invece devono sbattere il muso nella realtà contraria. Ma naturalmente le loro considerazioni grossolane sono in qualche modo autoreferenti, nascono proprio all’interno di un ceto di medio livello di istruzione che di solito è informato in maniera superficiale delle cose, ma non ha poi la minima idea di come esse funzionino nella realtà, possono spaziare o ritengono di poterlo fare, ma sempre rimanendo estranei al cuore dei problemi senza tuttavia accorgersene. Cosi scambiano la scienza per un corpus dottrinale nel quale non deve esistere discussione, la confondono tout court con l’autorità che è il suo esatto opposto. Le persone meno istruite invece hanno più attenzione verso l’esperienza empirica e personale senza essere infarcite di pseudo concetti o di informazioni insufficienti e ambigue che spesso compiono più danni dell’ignoranza quando essa è consapevole di se stessa. In questi gruppi la maggiore disponibilità a vaccinarsi viene stimolata esclusivamente dalle restrizioni cui si va incontro essendo la vita sociale delle persone meno istruite più a contatto reale con gli altri che nel resto della popolazione diciamo così più colta che vive in maniera più virtuale e più astratta.
L’articolo sulla testata online in cui si dà notizia di questa ricerca prosegue con altre considerazioni sui numeri dello studio, ma anche sulle infezioni da coronavirus le quali tuttavia sono definite da strumenti diagnostici dichiarati ufficialmente inadatti a tale compito e sono anzi fuorvianti potendo dare risultati positivi in presenza di moltissimi virus. Eppure non c’è il minimo segnale che questa contraddizione sia colta e che induca a qualche riflessione. Ecco esattamente cosa si intende sulla istruzione di mezza tacca e sulla disponibilità vaccinale: la capacità di vivere dentro un equivoco senza accorgersene. E magari di dire che sono i non vaccinati a mettere in pericolo i vaccinati. Lo dicono così senza accorgersi che stanno soltanto dicendo che i vaccini non servono a nulla, proprio come le loro teste.
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