Se vuoi far colpo su una bella signora, il diamante è un ottimo biglietto da visita, il regalo più ambito e gradito.
Renzo Rosso Docente di Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia a Milano
Perfino parecchi uomini di mondo erano soliti indossare un solitario al mignolo, la cui unghia era stranamente lunga e appuntita. Il diamante è un gioiello meraviglioso e, nello stesso tempo, una pietra di grande utilità, efficace per intaccare o intagliare o lavorare qualunque altro materiale, vista la sua durezza. Questa pietra, però, non è certo indispensabile per la vita umana. L’umanità ne potrebbe anche fare a meno, senza soffrire troppo.
L’acqua è l’elemento essenziale della vita, l’elemento chiave del cosmo. Per i filosofi antichi, l’acqua era il principio materiale delle cose, in cui le cose esistono, da cui si originano e in cui si corrompono. Dell’acqua l’umanità non può fare a meno. Se l’acqua è così preziosa e il diamante finanche superfluo, perché l’acqua costa così poco e il prezzo del diamante è stratosferico?
Tra i primi a porsi la domanda fu Adam Smith, che battezzò con “Paradosso Diamante-Acqua” questa apparente incongruenza, spiegandola con la teoria del valore lavoro. Poiché il prezzo di un bene riflette la quantità di lavoro e risorse necessarie a portarlo sul mercato, per forza i diamanti costano più dell’acqua, in quanto più difficili da immettere sul mercato. Una ragione apparentemente oggettiva che non fa una piega.
Non sempre i costi fanno il prezzo, ma accade anche il contrario. Il costo, salato, di una bottiglia di champagne non dipende dal costo del terreno sulla collina dove viene prodotto, dalla lauta paga di chi vendemmia, dalla lunga lavorazione. È prezioso perché la gente ama bere del buon vino, soprattutto se sapientemente propagandato, fino a diventare il simbolo di un elevato status sociale. Il prezzo soggettivo determina il costo. E un diamante costa assai più caro di una bottiglia d’acqua per via del suo significato simbolico, affatto soggettivo.
L’odierno paradosso dell’acqua non è l’esito della cronaca o di vicende recenti. Solo la storia fa capire il complesso rapporto dell’umanità con l’acqua. L’ascesa e la caduta dell’impero romano d’Occidente è un esempio classico del ruolo dell’acqua nella storia. Ogni cambiamento – economico, sociale, climatico – ha prodotto un impatto sulla produzione di cibo, sul mercato, sulle politiche e sulle istituzioni di governo dell’acqua. E, non ultimo, le innovazioni tecnologiche hanno svolto un ruolo sempre più importante.
Ciò che accade oggi, rispetto al passato, è l’egemonia totale
del mercato, che ha modificato concetti assoluti come soggettività e
oggettività. Chi governa non deve scegliere tra tutti i diamanti del
mondo e tutta l’acqua del pianeta, ma si trova a scegliere tra poter
aggiungere un diamante al caveau della propria immagine pubblica o dover
garantire un po’ più d’acqua a disposizione della gente. E non è difficile indovinare quale sia la scelta politica più praticata.
Per millenni, abbiamo percepito l’acqua come una sostanza abbondante e facilmente accessibile. Comprendere come gli incentivi, le istituzioni e le innovazioni che governano oggi l’uso dell’acqua si siano evoluti dalle epoche passate è fondamentale per superare la nostra attuale incapacità di gestire l’acqua come risorsa preziosa e scarsa. La scarsità idrica sta rapidamente diventando una questione fondamentale per tutti i paesi, ricchi e poveri. Con la domanda che supera l’offerta, una crisi idrica globale è imminente, assieme a molteplici crisi regionali e locali, come accade in questi giorni a Gwadar, il porto di arrivo del Tapi (gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) di cui poco si parla pur pesando in modo rilevante nella trentennale vicenda afghana.
In Italia, le frequenti, pedanti, arzigogolate modifiche legislative sono un’abitudine consolidata a partire dalla sfortunata legge Galli del 5 gennaio 1994, assieme al rito orgiastico dei commissariamenti sull’acqua. Si poteva imparare molto dal passato, ricchissimo, ma non lo abbiamo fatto. Non soltanto dai Magistrati alle Acque o della oculatissima gestione di bronzini, cannoni e truogoli da parte della Repubblica di Genova, ma anche dai Borbone di Napoli, che scelsero un valente idraulico come Luigi Van Wittel quale architetto del loro capolavoro, la reggia di Caserta: indiscusso patrimonio dell’umanità fondato sull’Acquedotto Carolino, esempio massimo di innovazione tecnologica e capacità di governo dell’acqua.
“La maggior parte dei leader politici […] prende decisioni politiche come se non ci fosse alcun limite all’approvvigionamento idrico” scrisse Maude Barlow anni fa (Blue Future: Protecting Water for People and the Planet Forever, New York: The New Press, 2014). In poche parole, il problema è tutto qui. Né la pandemia, né la rinascita, né la popolarità del concetto di resilienza, oggi molto in voga ma affatto negletto fino a solo poco tempo fa, hanno finora modificato l’attitudine di chi governa l’acqua.
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