mercoledì 25 agosto 2021

Il terremoto di Haiti e le sue invisibilità.

Undici anni dopo quel fatidico 12 gennaio 2010, Haiti ha subito ancora una volta, sabato 14 agosto 2021, i tremendi colpi di un terremoto che ha già causato la morte di quasi 1.300 persone [gli ultimi aggiornamenti riportano circa 2.200 vittime, ndr], secondo il rapporto preliminare diffuso il 15 agosto dalle autorità haitiane.


La terribile notizia si è diffusa in tempo reale in tutto il mondo. L’appello alla solidarietà internazionale con il popolo haitiano è stato immediato.

Tuttavia, in mezzo al dolore che il popolo haitiano sta soffrendo, è necessario porre alcune domande sulle azioni e le risposte che si stanno prendendo e continueranno ad essere prese a questa difficile situazione, d’ora in poi. Dobbiamo essere vigili, in particolare, sulle cosiddette azioni umanitarie.

Per esempio, sulla base dell’esperienza del terremoto del 2010, vale la pena interrogarsi sul confine tra l’aiuto in buona fede in un’emergenza umanitaria e l’alimentazione da sciacallo del capitalismo dei disastri che trae profitto dai cadaveri e dal dolore degli altri.

Per riflettere su questo, identificheremo quelle che qui chiamiamo alcune delle invisibilità che spesso accompagnano la spettacolarizzazione delle catastrofi naturali e, soprattutto, i complessi processi di intervento umanitario e di ricostruzione in cui è così difficile tracciare il suddetto confine.

Invisibilità della solidarietà dal basso

Sabato 14 agosto 2021, verso le 8:30 del mattino, è scoppiato il panico ad Haiti. Non c’era da meravigliarsi. La terra ha tremato di nuovo, dopo il terremoto mortale che ha colpito questo paese caraibico il 12 gennaio 2010, uccidendo quasi 300.000 persone, soprattutto nella capitale Port-au-Prince e dintorni.

Il terremoto del 14 agosto è stato “spettacolare” in quanto è stato catturato in video e immagini scioccanti che, in tempo reale, hanno viaggiato sulle reti sociali e internet, facendo il giro del mondo. Case crollate, sopravvissuti che emergono dalle macerie, famiglie delle vittime che piangono, morti coperti da lenzuola, intere città che implorano aiuto, ospedali e cliniche sommerse. In breve, la scena era ed è ancora travolgente.

Il terremoto ha avuto una magnitudo ancora maggiore circa 7,2 sulla scala Richter rispetto a quello precedente, che aveva una magnitudo di solo 7,0. Tuttavia, la grande differenza era che questa volta l’epicentro era in città di medie dimensioni nel sud del paese, come Les Cayes, Jérémie, Nippes, e non nella sovraffollata e caotica capitale Port-au-Prince.

Anche così, nella sua comunicazione pubblicata il 15 agosto su Twitter, la Direzione Generale della Protezione Civile, l’istituzione haitiana incaricata di valutare l’impatto dei danni causati dalle catastrofi naturali nel paese, ha dichiarato che il terremoto ha causato la morte di 1.297 persone (1.054 nel sud, 122 a Les Nippes, 119 a Grand’Anse e 2 nel nord-est), e ha lasciato centinaia di feriti e dispersi, senza contare le notevoli perdite materiali e di infrastrutture fisiche.

Dovremo aspettare i successivi rapporti di questa entità ufficiale haitiana per avere un quadro più preciso e completo di tutte le perdite.

Prima che arrivassero gli aiuti medici e umanitari da tutto il mondo, gli haitiani stessi e i medici delle brigate mediche cubane, di stanza sul posto, curavano e soccorrevano le vittime e i feriti. Questa solidarietà dal basso è stata resa invisibile dai media mainstream, che spettacolarizzano i dispiegamenti di aiuti umanitari su larga scala dei paesi del primo mondo come l’Europa, il Canada e gli Stati Uniti.

Invisibilità dell’altro disastro

Questa catastrofe arriva in un brutto momento, poiché Haiti si trova in una delicata transizione politica, guidata da un Primo Ministro de facto, Ariel Henry, che non ha alcuna legittimità se non quella di essere stato nominato da un Presidente de facto Jovenel Moïse pochi giorni prima del suo assassinio e benedetto dal Core Group.

Il Core Group è un organismo internazionale che ha praticamente gestito Haiti negli ultimi anni; è composto da ambasciatori di Germania, Brasile, Canada, Spagna, Stati Uniti, Francia, Unione Europea, dal rappresentante speciale dell’Organizzazione degli Stati Americani e dal rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite.

In questo pasticcio politico, il quadro giuridico della Costituzione haitiana esistente è deliberatamente ignorato e il precedente regime de facto continua a regnare con la complicità internazionale. Di conseguenza, c’è un pericoloso intreccio tra crisi politica e crisi umanitaria da un lato, e interferenza politica e intervento umanitario dall’altro.

Vale la pena ricordare che anche se Haiti è un paese povero, è stato oggetto di una lotta costante tra diversi paesi interferenti, ansiosi di imporre le loro rispettive agende politiche e interessi su questa piccola nazione caraibica, in particolare per ottenere per le loro multinazionali ed “esperti” nazionali importanti fonti di impiego e succulenti contratti per opere infrastrutturali e progetti di sviluppo.

Purtroppo, il disastro visibile è quello della Natura e non quello creato dal cosiddetto “capitalismo dei disastri”, che è interessato a fare affari anche a scapito del dolore umano.

Come nel caso dell’ultimo terremoto, non si saprà mai quanto denaro viene speso per far fronte all’emergenza umanitaria e per realizzare la presunta ricostruzione del Paese, né come vengono utilizzati questi fondi, poiché lo Stato haitiano non ha l’autorità e la legittimità sufficienti per esigere la responsabilità da queste organizzazioni e agenzie internazionali.

Invisibilità delle ferite soggettive

Le ferite soggettive causate dai cosiddetti “disastri naturali”, che sono altrettanto gravi e dolorose delle lesioni fisiche, sono anche invisibili.

Sono la paura, l’incertezza, l’ansia, i turbolenti stati emotivi e psicologici e anche le complesse condizioni psicopatologiche che, per esempio, hanno causato e continuano a causare il terremoto del 14 agosto e le sue molteplici scosse di assestamento dal Sud al Nord del Paese in decine di migliaia di famiglie che avevano già perso i loro cari a causa del terremoto del 12 gennaio 2010.

É stato un giorno traumatico per queste famiglie haitiane che hanno cercato, per più di un decennio, di superare il dolore e di camminare di nuovo e di calpestare il suolo con un pò di fiducia; da un momento all’altro sono stati letteralmente costretti ad affrontare i loro vecchi fantasmi.

Se queste famiglie psicologicamente danneggiate non sono trattate in modo tempestivo, vedremo molti “pazzi” nelle città di Haiti, che sono spesso maltrattati in un Paese dove parte della popolazione associa la malattia mentale alla stregoneria.

Invisibilità della Divinità

Il mondo, grazie ai media mainstream, ha rivolto la sua attenzione a un Paese diventato tristemente famoso per essere stato teatro sia del crudele assassinio, nelle prime ore del 7 luglio 2021, del suo Presidente de facto Jovenel Moïse, sia del dispiegamento di un mercenarismo sempre più transnazionalizzato nel nostro continente.

La gente sensibile al difficile futuro di Haiti il grande fratello che ha insegnato ai paesi dell’America Latina il cammino verso la libertà e li ha aiutati concretamente in questa lotta per l’indipendenza attraverso il suo appoggio decisivo e incondizionato al liberatore Simón Bolívar ha pianto ancora una volta per un paese che non ha smesso di soffrire le devastazioni della Natura e del malgoverno cooptato da una classe politica corrotta e da un’élite irresponsabile, amica della “comunità internazionale”.

Haiti è venuta ancora una volta alla ribalta per dirci che quello che ha vissuto non è una maledizione. Come diceva Ignazio di Loyola nel suo libro Esercizi Spirituali”:la Divinità si nasconde” perché sia l’umanità ad apparire, in questo caso la nostra umanità latinoamericana e caraibica.

Invisibilità della nostra parola come regione

Possiamo cogliere l’occasione per dire che Haiti, come tutti i paesi della nostra regione, non ha bisogno di una leadership del primo mondo, ma di fratellanza e amicizia; non di colonialismo, ma dell’inizio di un nuovo rapporto di interdipendenza; non di affari di sciacallaggio sotto la maschera di aiuti umanitari o di piani di ricostruzione, ma di azioni di solidarietà volte ad aiutare questo paese a dare ai suoi cittadini la possibilità di godere dei loro diritti umani fondamentali.

Haiti ci sta dando l’opportunità di dire la nostra parola, una parola che non abbiamo articolato, insieme e all’unisono, come regione sovrana.

Abbiamo finalmente la possibilità di dire questa nostra parola, che deve essere molto critica nei confronti dell’attuale ordine mondiale neocoloniale e neoliberale, e di parlare a favore di una “relazione altra” che sia simmetrica, orizzontale, democratica e rispettosa tra tutti i popoli, stati, nazioni e regioni della terra. Haiti ci invita decisamente a riscrivere la nostra Storia e quella del nostro mondo.

* Da América Latina en movimiento

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