La pandemia del Covid-19 ha svelato la totale mancanza di garanzie dei diritti, pur stabiliti da carte e convenzioni, l’inadeguatezza delle istituzioni internazionali e la subalternità dei governi alle aziende farmaceutiche sui vaccini.
Per Luigi Ferrajoli questa situazione può
riservare tuttavia un’opportunità politica. In due libri pubblicati di
recente, La costruzione della democrazia. Teoria del garantismo costituzionale (Laterza, pp. 466, euro 30) e Perché una Costituzione della terra? (Giappichelli,
pp. 80, euro 11) sostiene che, dopo anni di politiche liberiste, può
prevalere nel dibattito pubblico il principio che la sanità pubblica, i
vaccini e la tutela dei diritti fondamentali a cominciare dal reddito e
dal salario non vanno affidati alle logiche del mercato ma garantiti
ugualmente a tutti.
ilmanifesto ROBERTO CICCARELLI
«Nella prospettiva di un costituzionalismo globale – spiega Ferrajoli – va stipulata la non brevettabilità di questi vaccini. È anzi necessario abolire i brevetti di tutti gli altri farmaci salva-vita, la non disponibilità dei quali determina ogni anno, nel mondo, milioni di morti. La pandemia sta poi facendo emergere un’altra intollerabile diseguaglianza: i vaccini sono stati accaparrati dagli stati più ricchi e quelli più poveri ne sono quasi totalmente privi. Solo tra tre o quattro anni potranno vaccinare tutte le loro popolazioni. L’accaparramento avviene anche grazie ai brevetti, peraltro finanziati con fondi pubblici. Occorrerebbe, nell’immediato, procedere almeno alla loro sospensione, come hanno proposto Sudafrica e India. Una moratoria dei brevetti permetterebbe agli Stati più poveri di produrre i vaccini e intensificare la risposta a un virus che ha già fatto nel mondo due milioni e mezzo di morti. Eviterebbe la morte di altri milioni di persone».
Tuttavia
gli Stati Uniti, le nazioni dell’ex Commonwealth, l’Unione Europea
l’Italia si oppongono. In che modo a suo avviso si possono superare
queste posizioni?
Sbagliano a
opporsi. È nel loro interesse permettere la più ampia e rapida
vaccinazione in tutto il mondo, se non altro per non subire altre ondate
di contagi ad opera di varianti del virus sempre più aggressive.
Vedremo nelle prossime settimane se prevarranno le ragioni della vita o
quelle dei profitti. Se poi bisogna compensare le multinazionali e
liberarsi dai loro ricatti, lo si faccia al più presto e si permetta la
produzione dei vaccini ovunque sia possibile. Il problema è di tale
portata che va risolto a qualunque costo. Ne va, ripeto, della vita di
milioni di persone.
Gli
ultimi dodici mesi hanno rivelato l’inadeguatezza di istituzioni come
l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Come si dovrebbe
riformarle per garantire effettivamente i diritti?
Oggi
l’Oms ha solo quattro miliardi di bilancio. Ne occorrerebbero 4 mila
l’anno per fare ricerca, prevenire e fronteggiare le pandemie e portare
le cure di tutte le malattie in tutto il mondo. Serve più di una
semplice revisione del suo trattato istitutivo, di cui si è parlato in
questi giorni, in vista soltanto della prevenzione di future pandemie.
Lo stesso vale per la Fao, che studia e fa progetti, ma non è certo in
grado di porre fine alla fame nel mondo. Occorre trasformare queste
istituzioni, ma anche la Banca Mondiale, il Fondo Monetario
Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, in vere
istituzioni di garanzia indipendenti dal controllo dei paesi più ricchi,
mettendole in grado di attuare le finalità enunciate nei loro stessi
statuti: la garanzia dei diritti sociali, la promozione dello sviluppo
dei paesi poveri, la crescita dell’occupazione e la riduzione degli
squilibri e delle eccessive disuguaglianze.
In
Italia la gestione della pandemia ha diviso profondamente lo Stato
dalle regioni creando pesanti diseguaglianze. Occorre una riforma del
titolo quinto della Costituzione?
Quella
del 2001 è stata una delle riforme più regressive. La regionalizzazione
della sanità equivale infatti a una lesione del principio di
uguaglianza, essendo inammissibile che il grado di garanzia della salute
sia diverso da regione a regione. Il caos attuale nella gestione della
pandemia è stato poi una drammatica conferma anche della sua
irrazionalità. Ancor più regressiva e incostituzionale sarebbe
l’autonomia regionale differenziata rivendicata dalla Lega che, a questo
punto, è sperabile che venga abbandonata.
La
crisi sanitaria sta scatenando una crisi economica. Nella sua
prospettiva quali politiche ipotizza a garanzia dei diritti di chi ha
perso il lavoro, ha chiuso le attività, è povero?
In
primo luogo un reddito di base universale e un salario minimo orario,
stabilito a livello sovranazionale. Per evitare lo sfruttamento dovrebbe
essere il doppio del reddito di base. Poi un fisco sovranazionale di
carattere realmente progressivo sulle grandi ricchezze com’è stato
suggerito da Anthony Atkinson e da Thomas Piketty. Contro le ripetute
crisi economiche e la crescita delle disuguaglianze è necessario passare
dallo stato sociale burocratico, con tutti i costi, le inefficienze e
gli arbitri generati dalla mediazione burocratica, allo stato sociale
dei diritti basato su garanzie pubbliche ex lege.
Alla luce di queste considerazioni come sintetizza l’idea proposta nel suo libro di un «costituzionalismo oltre lo Stato»?
Come
un inveramento e come un’attuazione del paradigma costituzionale,
logicamente conseguenti al carattere universale dei diritti
fondamentali, i quali o sono di tutti, cioè uguali e indivisibili, come
del resto stabiliscono le carte internazionali, oppure si trasformano in
privilegi. Prendere sul serio questi diritti in quanto universali
equivale perciò a disancorarli sia dalla cittadinanza che dal mercato.
La pandemia ha rivelato il clamoroso fallimento delle due destre
egemoni: liberismo e sovranismo. Da essa possiamo trarre due
insegnamenti: il primo è di segno anti-liberista, relativo al carattere
pubblico, l’altro di segno anti-sovranista, relativo al carattere
globale che dovrebbero rivestire le garanzie del diritto di tutti alla
salute e alla vita, senza distinzioni né di ricchezza né di nazionalità.
La pandemia potrebbe insomma produrre un risveglio della ragione su
questioni fondamentali e farci dire di essa, con le parole di
Giambattista Vico, «sembravano traversie ed erano in fatti opportunità».
Ha ipotizzato una «Costituzione della terra». Di cosa si tratta?
Diversamente
dalle costituzioni nazionali e dalle tante carte internazionali dei
diritti, una Costituzione della Terra dovrebbe prevedere ed imporre,
oltre alle tradizionali funzioni legislative, esecutive e giudiziarie,
anche le funzioni e le istituzioni di garanzia primaria dei diritti
fondamentali. Tutti questi diritti hanno infatti bisogno di norme di
attuazione che introducano le istituzioni pubbliche che li garantiscano:
un servizio sanitario mondiale, un’organizzazione mondiale
dell’istruzione, un demanio planetario che sottragga al mercato beni
comuni come l’acqua potabile e protegga le grandi foreste, i mari e i
grandi ghiacciai, il monopolio pubblico della forza in capo ad organi di
polizia internazionali e la conseguente messa al bando delle armi e
degli eserciti nazionali. La mancanza di queste funzioni e di queste
istituzioni di garanzia, in un mondo sempre più integrato e
interdipendente, è una lacuna insostenibile del diritto internazionale,
che equivale a una sua vistosa violazione.
Chi sono i soggetti di questa politica oggi?
È
una politica basata sulla ragione, cioè sul nesso tra la salute degli
umani e la salute del pianeta e, nei tempi lunghi, sugli interessi
vitali di tutti. Su questi temi c’è stata in questi anni una generale
crescita di consapevolezza, che si è manifestata in mobilitazioni
collettive come “Fridays for future” e campagne come “Nessun profitto
sulla pandemia”. A queste lotte sociali e a queste mobilitazioni civili,
la prospettiva del costituzionalismo globale offre un obiettivo
politico e istituzionale in grado, oltre tutto, di unificarle.
Cosa risponde a chi sostiene che questa democrazia cosmopolitica è utopistica?
Che
è esattamente il contrario; che è la sola risposta razionale e
realistica al dilemma affrontato quattro secoli fa da Thomas Hobbes: la
generale insicurezza determinata dalla libertà selvaggia dei più forti,
oppure il patto di convivenza pacifica sulla base del divieto della
guerra e la garanzia della vita. Con due differenze e aggravanti di
fondo: la capacità distruttiva degli odierni poteri selvaggi globali,
incomparabilmente maggiore di quella nello stato di natura hobbesiano, e
il carattere irreversibile delle devastazione da essi prodotte.
Dopo un anno di pandemia rischiamo di passare dal «niente sarà come prima» al «non esiste un’alternativa» a questo sistema?
Le
alternative esistono. L’idea che esse non esistono è un’ideologia di
legittimazione dell’esistente che naturalizza ciò che è totalmente
artificiale, prodotto dell’attività e delle irresponsabilità della
politica e dell’economia. Non c’è nulla di naturale in quello che sta
accadendo. Tutto è politico.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto l’8 aprile 2021.
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