lunedì 31 maggio 2021

Siria, quando la resistenza va alle urne

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Anna Pulizzi per il Simplicissimus

Dopo dieci anni di guerra e di devastazioni che forse nessun paese ha mai dovuto subire nella stessa misura, i cittadini siriani che hanno potuto votare l’hanno fatto premiando al 95% la figura che ha incarnato l’immagine della resistenza contro un nemico brutale. Poi ci sono i siriani a cui non era permesso esprimersi, perché si trovano in paesi che non gliel’hanno consentito (tra gli altri campioni della ‘democrazia’ come Germania, Francia, Olanda, Regno Unito, Usa, Canada), oppure perché hanno la sventura di trovarsi nel proprio paese ma in zone sotto il controllo americano, curdo, turco, o del mercenariato islamista. Ciò nonostante, il 78% dell’elettorato si è espresso e lo ha fatto nella quasi totalità dei casi per il presidente uscente Assad, che ha visto aumentare il proprio consenso rispetto a sette anni fa, quando il paese si trovava nella fase più oscura dall’inizio dell’invasione per procura ordita dalle potenze occidentali.

Il voto non esprime solo apprezzamento per la linea del presidente uscente ma è soprattutto la celebrazione della vittoria di un popolo e del ritorno ad una vita normale, per quanto ciò sia possibile in un paese colpito da distruzioni immani e strangolato dalle sanzioni degli aggressori, che confidavano in una rapida vittoria così com’era avvenuto in Irak e in Libia.

Tuttavia e prevedibilmente, se cercate notizie in rete troverete nelle prime pagine dei motori di ricerca la definizione di ‘elezioni-farsa’, perché questo è il mantra che viene ripetuto dall’apparato d’informazione atlantista quando le elezioni finiscono in modo diverso dalle sue aspettative. Ad esempio, se in Bielorussia vince Lukashenko, allora è una farsa. E così anche se Maduro primeggia in Venezuela, o Morales in Bolivia, per dire. Se invece hanno la meglio candidati e partiti liberisti o addirittura filo-fascisti, ad esempio in Ucraina o nei tre paeselli sulla riva sud del Baltico, allora è tutto Ok, si va alla grande, la democrazia ha trionfato, anche se la consultazione è viziata dalla preventiva messa al bando di soggetti che così non possono più concorrere, come avvenuto in Ucraina nel 2015 a danno dei tre partiti comunisti locali.

Oltre ad Assad erano presenti altri due candidati, Sallum Abdullah e Ahmad Marei, mentre i partiti rappresentati in Parlamento sono attualmente nove, il che fa della Siria un paese in cui vi è molta più scelta di quanto non avviene all’ombra della statua della Libertà, dove di partiti fingono di averne due e pur in assenza di bombardamenti e devastazioni belliche impiegano un mese per capire chi ha vinto, al netto di pasticci d’ogni genere che forse nascondono qualcosa d’altro oltre all’inefficienza strutturale. Immaginate un po’ che cosa avrebbe scritto il nostro Giornale Unico se Assad avesse raccomandato agli elettori di non recarsi alle urne ma di votare per posta e poi avesse vinto solo grazie a tale sistema!

Il doppio livello di giudizio in auge qui da noi non vale solo per il momento elettorale ma si dispiega in ogni ambito della lotta politica, per cui se un manifestante pro-Navalny si prende una manganellata a Vladivostok gli si dedica tutto l’inchiostro delle prime pagine dei quotidiani, mentre se gli sgherri del regime colombiano uccidono venti manifestanti e ne feriscono centinaia, dandosi tra l’altro a rapimenti e stupri, nessun organo d’informazione qui ne trae motivo di turbamento. Se poi vogliamo stare al di qua dell’oceano, possiamo registrare l’indifferenza dei media di fronte ai 2500 feriti francesi durante le proteste dei ‘gillet jaunes’, alcuni dei quali ci hanno lasciato un occhio o una mano. Per tacere (come è d’uso nelle redazioni) dei violenti e del tutto ingiustificati attacchi degli sbirri nostrani ogni volta che si trovano nei pressi di lavoratori in lotta.

E’ stato evidenziato infinite volte che non abbiamo più da tempo un’informazione che fa il proprio dovere ma soltanto una macchina che filtra o nasconde le notizie, spiattellando i frutti della propaganda come è pratica corrente nei regimi totalitari. Continuare a ripeterlo ha ancora una sua utilità, perlomeno nell’alimentare laddove possibile l’indignazione? Oppure la denuncia, quando il misfatto diventa la regola, inevitabilmente produce assuefazione? In ogni caso in Siria le forze sovversive che in questi anni hanno accomunato ladri di idrocarburi a stelle e strisce, fanatici islamisti in Toyota, colonialisti senza coscienza in kippah e farabutti in doppiopetto delle cancellerie europee, hanno perso la battaglia ben prima della riconferma a furor di popolo di un leader che volevano abbattere. La loro disfatta è divenuta palpabile fin da quando hanno scelto di reclutare e armare un po’ ovunque una feccia di esaltati per uno di quei conflitti che con ogni evidenza non osano più fare in proprio, nemmeno stando in cima a montagne di menzogne propagandistiche che oggi diventano il miglior monumento al livore degli invasori sconfitti, la cui opinione “vale zero”, come ha sintetizzato il presidente Assad.

D’altra parte, se nel tentativo di far collassare il governo di Damasco costoro hanno scelto la tattica estrema della terra bruciata e della distruzione totale ovunque mettessero piede, è perché erano consapevoli che altri sistemi abitualmente posti in essere (finanziamento delle opposizioni interne, strangolamento economico, etc.) non sarebbero stati sufficienti. Sapevano che andavano a combattere non solo contro un esercito ma anche contro un popolo, il cui voto di oggi non stupisce ma accende la speranza per quelli che sono abbastanza vivi da avvertire la necessità di resistere.

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