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Di Federico Roberti
Nel pieno della Guerra Fredda, il governo degli Stati Uniti destinò grandi risorse ad un programma segreto di propaganda culturale rivolto all’Europa occidentale, messo in atto con estrema riservatezza dalla CIA. L’atto fondamentale fu l’istituzione del Congress for Cultural Freedom (Congresso per la libertà della cultura), organizzato dall’agente Michael Josselson tra il 1950 ed il 1967. Al suo culmine, il Congresso aveva uffici in trentacinque Paesi (alcuni extraeuropei) ed a libro paga decine di intellettuali, pubblicava una ventina di prestigiose riviste, organizzava esposizioni artistiche, organizzava conferenze internazionali di alto livello e ricompensava musicisti ed altri artisti con premi e riconoscimenti vari. La sua missione consisteva nel distogliere gli intellettuali europei dall’abbraccio del marxismo, a favore di posizioni più compatibili con l’american way of life, facilitando il conseguimento degli interessi strategici della politica estera statunitense.
I libri di alcuni scrittori europei furono promossi nel mercato
editoriale come parte di un esplicito programma anticomunista. Fra
questi, in Italia, “Pane e Vino” di Ignazio Silone, il quale registrò
così la prima di molte apparizioni sotto l’ala del governo statunitense.
A dire il vero, durante il suo esilio svizzero in tempo di guerra,
Silone era stato un contatto di Allen Dulles, allora capo dello
spionaggio statunitense in Europa e nel dopoguerra ispiratore di Radio
Free Europe, altra creazione CIA sotto la maschera del National
Committee for a Free Europe; nell’ottobre 1944, Serafino Romualdi, un
agente dell’OSS (Office of Strategic Services, il precursore della CIA),
fu inviato sul confine franco-svizero con il compito di introdurre
clandestinamente Silone in Italia.
Silone, insieme ad Altiero
Spinelli e Guido Piovene, rappresentò l’Italia alla conferenza fondativa
del Congresso tenutasi a Berlino nel 1950, per la quale Michael
Josselson era riuscito ad ottenere un finanziamento di $ 50.000 dalle
risorse del Piano Marshall. Essa fu sconfessata pubblicamente da
Jean-Paul Sartre ed Albert Camus che, invitati, si rifiutarono di
parteciparvi.
Inizialmente, fra i presidenti onorari del Congresso, tutti filosofi rappresentanti di un nascente pensiero euro-atlantico, accanto a Bertrand Russell troviamo Benedetto Croce. Egli, ad ottant’anni di età, era riverito in Italia come padre nobile dell’antifascismo avendo sfidato apertamente Mussolini. Sicuramente, all’epoca dello sbarco alleato in Sicilia, era stato un utile contatto per William Donovan, allora il massimo responsabile dell’intelligence statunitense.
La sezione italiana del Congresso, denominata Associazione italiana
per la libertà della cultura, fu istituita da Ignazio Silone alla fine
del 1951 e divenne il centro propulsivo, anche e soprattutto sotto il
profilo logistico ed economico, di una federazione di circa cento gruppi
culturali quali l’Unione goliardica nelle università, il Movimento
federalista europeo di Altiero Spinelli, i Centri di Azione democratica,
il movimento Comunità di Adriano Olivetti e vari altri.
Essa
pubblicò la prestigiosa rivista “Tempo Presente” diretta dallo stesso
Silone e da Nicola Chiaromonte, ed altre non meno conosciute come “Il
Mondo”, “Il Ponte”, “Il Mulino” e, più tardi, “Nuovi Argomenti”. Nel suo
gruppo dirigente, accanto a laici come Adriano Olivetti e Mario
Pannunzio, figurava anche Ferruccio Parri, il padre della sinistra
indipendente. Poi, in posizione più defilata, uomini politici di
estrazione azionista e liberaldemocratica come Ugo La Malfa.
Uno
degli uffici del Congresso era stato aperto a Roma nel palazzo
Pecci-Blunt, dove Mimì, la padrona di casa, animava uno dei salotti più
esclusivi e meglio frequentati della capitale. A due passi dalla storica
dimora di palazzo Caetani che, prima di divenire tragicamente celebre
per avere visto, sotto le sue finestre, l’ultimo atto del rapimento
Moro, vedeva regnare un’altra regina dei salotti, la mecenate
statunitense legata agli ambienti del Congresso Marguerite Chapin
Caetani. Ella, con la sua rivista “Botteghe oscure”, promosse non pochi
grandi nomi della letteratura e poesia italiana del Novecento. Suo
genero era, guarda caso, Sir Hubert Howard, ex ufficiale dei servizi
segreti alleati specializzato nella guerra psicologica ed in rapporti di
fraterna amicizia con il nipote del presidente Roosevelt, quel Kermit
Roosevelt che dapprima nell’OSS e poi, reclutato dalla CIA, fu tra i più
convinti fautori del programma di guerra psicologica.
Una delle più
strette collaboratrici della Caetani era Elena Croce, figlia del
filosofo Benedetto, il cui marito Raimondo Craveri, agente dei servizi
segreti partigiani, dopo la Liberazione indicava all’ambasciata
statunitense i politici di cui fidarsi. Elena invece selezionava gli
uomini di cultura con cui valeva la pena parlare. Nella loro casa si
potevano intrecciare le relazioni più cosmopolite, incontrandovi Henry
Kissinger così come il futuro presidente FIAT Gianni Agnelli, ma su
tutti dominava il magnate della finanza laica italiana, fondatore di
Mediobanca, (don) Raffaele Mattioli. Gli Americani si fidavano a tal
punto del commendator Mattioli che nel 1944, a guerra evidentemente
ancora in corso, avevano già discusso con lui i programmi per la
ricostruzione. Oltre a finanziare abbondantemente la cultura, don
Raffaele prestò le sue non disinteressate, pur se discrete, attenzioni
anche al PCI, con il quale aveva canali aperti già durante il Ventennio.
Ecco,
dunque, che in Italia, oltre alla P2 e Gladio, esisteva anche un
anticomunismo altrettanto tenace ma illuminato, progressista e persino
di sinistra. La rete del Congresso ne costituiva la facciata pubblica o,
se si preferisce, presentabile.
Le risorse per la propaganda culturale euro-atlantica furono reperite
in modo davvero geniale. Nei primi tempi del Piano Marshall, ciascun
Paese beneficiario dei fondi doveva contribuire depositando nella
propria banca centrale una somma equivalente al contributo americano.
Poi un accordo bilaterale tra il Paese in questione e gli Stati Uniti
permetteva che il 5% di tale somma diventasse proprietà statunitense:
era proprio questa parte dei “fondi di contropartita” (circa 10 milioni
di dollari all’anno su un totale di 200) che furono messi a disposizione
della CIA per i suoi progetti speciali.
Così circa $ 200.000 di tali
fondi, che già avevano giocato un ruolo cruciale nelle elezioni
italiane del 1948, furono destinati a finanziare i costi amministrativi
del Congresso nel 1951. La filiale italiana, ad esempio, riceveva mille
dollari mensili che venivano versati sul conto di Tristano Codignola,
dirigente della casa editrice La Nuova Italia.
La libertà culturale non venne a buon mercato. Nei diciassette anni successivi alla fondazione, la CIA avrebbe pompato nel Congresso ed in progetti collegati ben dieci milioni di dollari. Una caratteristica della strategia di propaganda culturale fu la sistematica organizzazione di una rete di gruppi privati “amici” in un consorzio ufficioso: si trattava di una coalizione di fondazioni filantropiche, imprese e privati che lavorava in stretto collegamento con la CIA per dare a quest’ultima copertura e canali finanziari al fine di sviluppare i suoi programmi segreti in territorio europeo. Nello stesso tempo, l’impressione era che questi “amici” agissero unicamente di propria iniziativa. Mantenendo il loro status di privati, essi apportavano il capitale di rischio per la Guerra Fredda, un po’ quello che fanno da un certo tempo a questa parte le ONG sostenute dall’Occidente in giro per il mondo.
L’ispiratore di questo consorzio fu Allen Dulles, che già nel maggio
1949 aveva diretto appunto la formazione del National Committee for a
Free Europe, apparentemente iniziativa di un gruppo di privati cittadini
americani, in realtà uno dei più ambiziosi progetti della CIA. “Il
Dipartimento di Stato è molto lieto di assistere alla formazione di
questo gruppo” annunciò il segretario di Stato Dean Acheson. Questa
pubblica benedizione serviva ad occultare le vere origini del Comitato e
che operasse sotto il controllo assoluto della CIA, che lo finanziava
al 90%. Ironia della sorte, lo scopo specifico per il quale era stato
creato, cioè fare propaganda politica, era categoricamente escluso da
una clausola dell’atto costitutivo.
Dulles era ben cosciente che il
successo del Comitato sarebbe dipeso dalla sua capacità “di apparire
come indipendente dal governo e rappresentativo delle spontanee
convinzioni di cittadini amanti della libertà”.
Il National Committee poteva vantare un insieme di iscritti di
grandissimo rilievo pubblico, uomini d’affari ed avvocati, diplomatici
ed amministratori del Piano Marshall, magnati della stampa e registi: da
Henry Ford II, presidente della General Motors, alla signora Culp
Hobby, direttrice del Moma; da C.D. Jackson della direzione di
“Time-Life” a John Hughes, ambasciatore presso la NATO; da Cecil De
Mille a Dwight Eisenhower. Tutti costoro erano “al corrente”, ossia
appartenevano consapevolmente al club. Il suo organico, già al primo
anno, contava più di 400 addetti, il suo bilancio ammontava a quasi due
milioni di dollari.
Un bilancio separato di 10 milioni fu riservato
alla sola Radio Free Europe, che nel giro di pochi anni avrebbe avuto 29
stazioni di radiodiffusione e trasmesso in 16 lingue diverse, fungendo
anche da canale per l’invio di ordini alla rete di informatori presente
al di là della Cortina di Ferro.
Il nome della sezione incaricata di reperire fondi per il National Committee era Crusade for Freedom e ne era portavoce un giovane attore di nome Ronald Reagan…
L’uso delle fondazioni filantropiche si rivelò il modo più efficace
per far pervenire consistenti somme di denaro ai progetti della CIA,
senza mettere in allarme i destinatari sulla loro origine. Nel 1976, una
commissione d’inchiesta nominata per indagare le attività
dell’intelligence statunitense riportò i seguenti dati relativi alla
penetrazione della CIA nella fondazioni: durante il periodo 1963-1966,
delle 700 donazioni superiori ai 10.000 dollari erogate da 164
fondazioni, almeno 108 furono totalmente o parzialmente fondi della CIA.
Ancor più rilevante è che finanziamenti della CIA fossero presenti in
quasi metà delle elargizioni, fatte da queste 164 fondazioni durante lo
stesso periodo nel campo delle attività internazionali.
Si riteneva
che le fondazioni prestigiose, quali Ford, Rockfeller e Carnegie,
assicurassero “la migliore e più credibile forma di finanziamento
occulto. Questa tecnica risultava particolarmente opportuna per le
organizzazioni gestite in modo democratico, dato che devono poter
rassicurare i propri membri e collaboratori ignari, come pure i critici
ostili, di essere in grado di contare su forme di finanziamento privato,
autentico e rispettabile – sottolineava uno studio interno della stessa
CIA risalente al 1966.
Addirittura, all’interno della Fondazione
Ford venne istituita un’unità amministrativa specificamente addetta a
curare i rapporti con la CIA, che avrebbe dovuto essere consultata ogni
volta che l’agenzia avesse voluto usare la fondazione come copertura o
canale finanziario per qualche operazione. Essa era formata da due
funzionari e dal presidente della fondazione stessa, John McCloy il
quale era già stato segretario alla Difesa e presidente, nell’ordine,
della Banca Mondiale, della Chase Manhattan Bank di proprietà della
famiglia Rockfeller e del Council on Foreign Relations, nonché legale di
fiducia delle Sette Sorelle. Un bel curriculum, non c’è che dire.
Uno dei primi dirigenti della CIA ad appoggiare il Congresso per la libertà della cultura fu Frank Lindsay, veterano dell’OSS che nel 1947 aveva scritto uno dei primi rapporti interni in cui si raccomandava agli Stati Uniti di creare una forza segreta per la Guerra Fredda. Negli anni fra il 1949 ed il 1951, come vicedirettore dell’Office of Policy Coordination (OPC), dipartimento speciale creato all’interno della CIA per le operazioni segrete, Lindsay divenne responsabile dell’allestimento dei gruppi Stay Behind in Europa, meglio conosciuti in Italia come Gladio. Nel 1953 passò alla Fondazione Ford, senza per ciò perdere i suoi stretti contatti con gli ex colleghi dell’intelligence.
Quando, nel 1953, Cecil DeMille accettò di diventare consigliere
speciale del governo statunitense per il cinema al Motion Picture
Service (MPS), si recò all’ufficio di C.D. Douglas, il quale avrebbe poi
scritto di lui: “ E’ completamente dalla nostra parte ed (…) è ben
consapevole del potere che i film americani hanno all’estero. Ha una
teoria, che condivido pienamente, secondo cui l’uso più efficace dei
film americani si ottiene non con il progetto di un’intera pellicola che
affronti un determinato problema, ma piuttosto con l’introduzione in
un’opera “normale” di un certo dialogo appropriato, di una battuta,
un’inflessione della voce, un movimento degli occhi. Mi ha detto che
ogni volta che gli darò un tema semplice per un certo Paese o una certa
regione, troverà il modo di trattarlo e di introdurlo in un film”.
Il
Motion Picture Service, sommerso dai finanziamenti governativi tanto da
diventare una vera e propria impresa di produzione cinematografica,
dava lavoro a registi-produttori che venivano preventivamente esaminati
ed assegnati al lavoro su film che promuovevano gli obiettivi degli
Stati Uniti e che avrebbero dovuto raggiungere un pubblico sul quale
bisognava agire attraverso il cinema. L’MPS forniva consulenze ad
organismi segreti sulle pellicole appropriate per una distribuzione sul
mercato internazionale; si occupava, inoltre, della partecipazione
statunitense ai vari festival che si svolgevano all’estero e lavorava
alacremente per escludere i produttori statunitensi ed i film che non
sostenevano la politica estera del Paese.
Il principale gruppo di pressione per sostenere l’idea di un’Europa
unita strettamente alleata agli Stati Uniti era il Movimento Europeo,
cui facevano capo molte organizzazioni, e che copriva una serie di
attività dirette all’integrazione politica, militare, economica e
culturale. Guidato da Winston Churchill in Gran Bretagna, Paul Henri
Spaak in Belgio ed Altiero Spinelli in Italia, il movimento era
attentamente sorvegliato dall’intelligence statunitense e finanziato
quasi interamente dalla CIA attraverso una copertura che si chiamava
American Committee on United Europe. Braccio culturale del Movimento
Europeo era il Centre Européen de la Culture, diretto dallo scrittore
Denis de Rougemont. Fu attuato un vasto programma di borse di studio ad
associazioni studentesche e giovanili, tra cui la European Youth
Campaign, punta di diamante di una propaganda pensata per neutralizzare i
movimenti politici di sinistra.
Per quanto poi riguarda quei
liberali internazionalisti fautori di un’Europa unita intorno ai propri
principi interni, e non conforme agli interessi strategici statunitensi,
a Washington essi non erano considerati migliori dei neutralisti, anzi
portatori di un’eresia da distruggere.
Nel 1962, la notorietà del Congresso per la libertà della cultura
calamitò anche attenzioni tutt’altro che desiderate dai suoi ispiratori.
Durante un programma televisivo della “BBC”, That Was The Week That Was,
il Congresso fu oggetto di una penetrante e brillante parodia ideata da
Kenneth Tynan. Essa iniziava con la battuta: “E’ ora, le novità della
Guerra Fredda nella cultura”. Poi continuava mostrando una mappa
rappresentante il blocco culturale sovietico, dove ogni cerchietto
indicava una postazione culturale strategica: basi teatrali, centri di
produzione cinematografica, compagnie di danza per la produzione di
missili “ballettistici” intercontinentali, case editrici che lanciano
enormi tirature di classici a milioni di lettori schiavizzati, insomma
dovunque si guardasse un massiccio indottrinamento nel suo pieno
sviluppo. E si chiedeva: noi, qua in Occidente, abbiamo un’effettiva
capacità di risposta?
Sì, era la risposta, c’è il buon vecchio
Congresso per la libertà della cultura sostenuto dal denaro americano
che ha allestito un certo numero di basi avanzate, in Europa e nel
mondo, funzionanti come teste di ponte per rappresaglie culturali. Basi
mascherate con nomi in codice, come “Encounter” – la più conosciuta
delle riviste patrocinate dal Congresso – che è l’abbreviazione, si
ironizzava, di Encounterforce Strategy.
Entrava allora in scena un
portavoce del Congresso, con un mazzo di riviste che rappresentavano a
suo dire una sorta di NATO culturale, il cui obiettivo era il
contenimento culturale, cioè mettere un recinto intorno ai rossi. Con
missione storica quella di raggiungere la leadership mondiale dei
lettori, succeda quel che succeda, “noi del Congresso sentiamo come
nostro dovere tenere le nostre basi in allarme rosso, ventiquattro ore
su ventiquattro”.
Una satira mordace ed impeccabilmente documentata, che provocò notti insonni a Michael Josselson, organizzatore del Congresso.
Durante l’estate del 1964, sorse una questione assai preoccupante.
Nel
corso di un’inchiesta parlamentare sulle esenzioni fiscali alle
fondazioni private, diretta da Wright Patman, si verificò una fuga di
notizie che identificava otto di queste come coperture della CIA. Esse
sarebbero state nient’altro che buche per lettere cui corrispondeva solo
un indirizzo, approntate dalla CIA per ricevere denaro dalla stessa, in
modo apparentemente legale. Una volta che i soldi arrivavano, le
fondazioni facevano una donazione ad un’altra fondazione largamente
conosciuta per le sue legittime attività. Contributi, questi ultimi, che
venivano debitamente registrati secondo la normativa fiscale vigente
nel settore no profit, sui moduli denominati 990-A. L’operazione si
concludeva infine con il versamento del denaro all’organizzazione che la
CIA aveva previsto dovesse riceverlo.
Le notizie filtrate dalla
commissione Patman aprirono, seppure solo per un breve momento, uno
squarcio sulla sala macchine dei finanziamenti segreti. Alcuni
giornalisti particolarmente curiosi, ad esempio quelli del settimanale
“The Nation”, riuscirono a mettere insieme i pezzi del puzzle,
chiedendosi se fosse legittimo che la CIA finanziasse, con questi metodi
indiretti, vari congressi e conferenze dedicate alla “libertà
culturale” o che qualche importante organo di stampa, sostenuto
dall’agenzia, offrisse lauti compensi a scrittori dissidenti dell’Europa
orientale.
Sorprendentemente (sorprendentemente?), non un solo
giornalista pensò di indagare ulteriormente. La CIA eseguì una severa
revisione delle sue tecniche di finanziamento, ma non ritenne opportuno
riconsiderare l’uso delle fondazioni private come veicoli per il
finanziamento delle operazioni clandestine. Anzi, secondo l’agenzia, la
vera lezione da apprendere in seguito allo scandalo suscitato dalla
commissione Patman era che la copertura delle fondazioni per erogare i
finanziamenti doveva essere usata in maniera più estesa e professionale,
innanzitutto sborsando fondi anche per i progetti realizzati sul suolo
degli Stati Uniti.
Michael Josselson, dalla fine di quel anno, tentò
di proteggere la sua creatura dalle rivelazioni, considerando pure di
mutarne il nome, e cercò persino di recidere i legami economici con la
CIA sostituendoli in toto con un finanziamento della Fondazione Ford.
Tutto
ciò non valse a nulla se non a posticipare un esito ormai segnato. Il
13 maggio 1967 si tenne a Parigi l’assemblea generale del Congresso per
la libertà della cultura che ne sancì la sostanziale fine, pur se le
attività si trascinarono, stancamente ed in tono assai minore, fino alla
fine degli anni settanta.
Era infatti successo che la rivista californiana “Ramparts”,
nell’aprile 1967, aveva pubblicato un’inchiesta sulle operazioni segrete
della CIA, nonostante una campagna di diffamazione lanciata a suo danno
nel momento in cui l’agenzia era venuta a conoscenza del fatto che la
rivista era sulle tracce delle sue organizzazioni di copertura. Le
scoperte di “Ramparts” furono prontamente rilanciate dalla stampa
nazionale e seguite da un’ondata di rivelazioni, facendo emergere le
coperture anche al di fuori degli Stati Uniti, a cominciare dal
Congresso e le sue riviste.
Già prima delle denunce di “Ramparts”, il
senatore Mansfield aveva chiesto un’indagine parlamentare sui
finanziamenti clandestini della CIA, alla quale il presidente Lyndon
Johnson rispose istituendo una commissione di soli tre membri. La
commissione Katzenbach, nella sua relazione conclusiva emessa il 29
marzo 1967, sanzionava ogni agenzia federale che avesse segretamente
fornito assistenza o finanziamenti, in modo diretto od indiretto, a
qualsiasi organizzazione culturale statale o privata, senza fini di
lucro. Il rapporto fissava la data del 31 dicembre 1967 come limite per
la conclusione di tutte le operazioni di finanziamento segreto della
CIA, dandole così l’opportunità di concedere un certo numero di
sostanziose assegnazioni finali (nel caso di Radio Free Europe, questo
importo le avrebbe permesso di continuare a trasmettere per altri due
anni).
In realtà, come si evince da una circolare interna poi emersa
nel 1976, la CIA non vietava le operazioni segrete con organizzazioni
commerciali statunitensi né i finanziamenti segreti di organizzazioni
internazionali con sede in Paesi stranieri. Molte delle restrizioni
adottate in risposta agli eventi del 1967, più che rappresentare un
significativo ripensamento dei limiti alle attività segrete
dell’intelligence, appaiono piuttosto misure di sicurezza volte ad
impedire future rivelazioni pubbliche che potessero mettere a
repentaglio delicate operazioni della stessa CIA.
Ne vogliamo riparlare?
N.B.: la fonte principale delle informazioni presentate in questo articolo è il libro “Gli intellettuali e la CIA. La strategia della guerra fredda culturale” di Frances Stonor Saunders, pubblicato per la prima volta nel Regno Unito nel 1999 ed in traduzione italiana da Fazi Editore nel 2004 nella collana “Le terre” e nel 2007 in quella “Tascabili saggi”.
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