“Io ogni tanto ci penso eh… Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi… Io sono stato consapevolmente un delinquente”.
“Lo facciamo per il bene dell’azienda!”
Queste sono alcune delle frasi che tra una risatina e l’altra si dicevano al telefono alcuni dei coinvolti nel nuovo scandalo criminale del capitalismo italiano.
Se andate sul sito dell’azienda bresciana WTE potete leggere: “W.T.E. srl è una società di ingegneria operante nel settore della difesa del suolo e della pianificazione territoriale”.
Oggi questa impresa è chiusa dai carabinieri; quindici persone, tra cui l’imprenditore, sono indagate per un imponente traffico illecito di rifiuti, che sarebbe stato realizzato tra il gennaio del 2018 e l’agosto del 2019: poco più di un anno e mezzo in cui sarebbero stati incassati oltre 12 milioni di euro di profitti illeciti, trasportando e distribuendo 150mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altre sostanze inquinanti, spacciati per fertilizzati e smaltiti su circa 3mila ettari di terreni agricoli in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna.
Avvelenavano i campi per soldi e “pazienza se qualche bambino si fosse ammalato“, gli affari sono affari.
Questa infamia viene alla luce negli stessi giorni della strage criminale del Mottarone, mentre pare accertato che anche l’operaia Luana di Prato sia stata vittima dello stesso delitto: la manomissione dei meccanismi di sicurezza per guadagnare di più.
E si scopre che a Sabaudia i braccianti venivano drogati per far loro sopportare la fatica da schiavi.
Non è una singolare coincidenza di eventi, ma un sistema.
E non solo perché casi come questi sono solo la punta dell’iceberg di una generalizzata, profonda, violazione delle regole e delle leggi da parte della imprenditoria.
In tutte le statistiche INAIL e INPS, le imprese non in regola risultano essere tra il 70 e l’80%; sotto tutti i punti di vista, da quello della sicurezza e della salute, a quello dei contributi, a quello delle retribuzioni.
I delitti di questi giorni non sono casi isolati soprattutto perché il “sistema Italia” non solo normalmente non condanna, ma giustifica e persino premia chi sfrutta, inquina, uccide. “Come si può fare l’imprenditore se ti perseguitano con le regole e le leggi…”. Questo il lamento che sentiamo da padroni e manager, applaudito con commozione da gran parte degli schieramenti politici.
Così in Italia c’è una criminalità imprenditoriale diffusa e nei fatti legale, che può prosperare perché da trent’anni viene legittimata dal potere politico, dal mondo culturale, da quello dei mass media. È l’ideologia liberista diventata non solo potere, ma anche senso comune.
Le leggi che hanno decretato la schiavitù flessibile del lavoro, fino all’abolizione dell’articolo 18, hanno dato il via libera ai peggiori istinti imprenditoriali, togliendo loro il primo ostacolo: il potere dei lavoratori. Che oggi devono accettare tutto sulla base del sacro principio: l’azienda ti dà il pane, devi esserle fedele o quel pane lo perderai.
E chi comunque rifiuta il ricatto, come da ultimo Riccardo Cristello all’ArcelorMittal, e pretende di restare libero di parlare di diritti e salute, viene licenziato.
E poi la riduzione dei controlli e degli apparati di controllo per non vessare le imprese. Ed ora la semplificazione che vuol dire deregolamentazione, che negli appalti diventa licenza di schiavismo e devastazione.
Tutto è stato messo in campo dal sistema perché gli imprenditori non trovassero ostacoli al profitto, e la gestione della pandemia, paradossalmente, invece che rafforzare il diritto alla salute ha esaltato quello agli affari. E così di concessione in concessione agli spiriti animali del capitalismo, la dimensione della illegalità imprenditoriale è diventata sempre più grande; e operazioni e procedure criminali per le quali tanti padroni anni fa avrebbero avuto cautela o timore, oggi sfacciatamente dilagano.
“Togli i freni, butta il fango, produci, crepa, dobbiamo fare PIL“. E oggi tutto questo viene beffardamente intitolato alla transizione ecologica, sotto la quale dilaga un valanga di sporchi affari.
Mi è capitato di sentire una conferenza all’Università di Pisa di Lucia Morselli, amministratore delegato dell’Arcelor e licenziatrice di operai. Davvero ho sentito la banalità del male.
La manager, accolta con tutti gli onori dalla università pubblica, che ancora una volta ha mostrato tutta la sua servitù verso il potere dei soldi, tra gli applausi riverenti di giovanotti che l’ammiravano, ha brutalmente sciorinato tutto il cinismo totalitario del capitalismo attuale.
Dopo aver affermato che l’aria di Taranto è meglio di quella di Milano e che il vero riscaldamento globale lo fa la produzione di anidride degli esseri viventi, umanità compresa, ha spiegato – con una citazione di George Bernard Shaw – che il mondo di oggi vive nel compromesso tra onore ed interesse.
Cioè l’interesse decide quale è l’onore economicamente compatibile. Che questa sia la realtà è vero, che sia l’unica possibile e che ad essa ci si debba solo adeguare, è delittuoso.
A forza di favori, oggi il capitalismo italiano è diventato strutturalmente incapace di produrre guadagni senza violare direttamente o indirettamente i diritti della civiltà e della vita. E questa non è la sua forza ma la sua debolezza, che tutti noi paghiamo ogni giorno.
Quando la parola imprenditore assumerà la stessa connotazione dispregiativa che oggi ha la parola politico, allora cominceranno a cambiare le cose e si potranno fermare la devastazione e la strage di profitto.
Il capitalismo è criminalità organizzata.
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