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Laureata in chimica e tecnologia farmaceutiche, con un dottorato di ricerca in scienze farmaceutiche e una collaborazione come consulente scientifico con Rinascimento Italia sulle problematiche del Covid-19, ci ha colpito per la sua onestà intellettuale e la sua competenza tecnica
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Parliamo di vaccini. Lei ha già detto che ne esistono moltissimi e di tutti i tipi. Quelli che interessano il nostro Paese sono, mi corregga se sbaglio, AstraZeneca, Pfizer e Moderna. Che differenze ci sono tra questi vaccini? Potrebbero essere pericolosi? Come mai vengono spacciati per essere sicuriquando basterebbe andare sul sito di AstraZeneca e di Pfizer per capire che la “fase 3”della sperimentazione siamo noi?
R. Considerando che ci sono delle domande multiple, cominciamo dalla tipologia di vaccini che abbiamo in corso di sperimentazione e da quelli che sono già approvati.
Noi, adesso, abbiamo in commercio questi tre: due vaccini a mRNA (che sono quelli della Pfizer e della Moderna) e poi quello dell’AstraZeneca.
Teniamo conto che sono in corso di autorizzazione anche il Johnson&Johnson e lo Sputnik V, che sono due vaccini a vettore adenovirale.
Inoltre, a tutt’oggi abbiamo circa duecentosessanta vaccini in corso di sperimentazione clinica e ottanta sono in corso di registrazione.
La maggioranza di questi vaccini sono a proteine con adiuvanti. Più o meno quelli che utilizziamo anche per i bambini.
Una piccola parte sono vaccini di nuova generazione, che contengono come antigene vaccinale il gene della proteina che, in questo caso, è la spike — ovvero la proteina di superficie del virus che gli permette di legarsi al recettore ACE2 presente sulla membrana delle cellule per entrare e infettarle.
Questa proteina è quella che, dopo essere stata attaccata dagli anticorpi per bloccare il virus (e quindi è l’oggetto dei vaccini), forma gli anticorpi vaccinali.
Questi vaccini, quindi, non hanno la proteina, ma il gene che la codifica e quindi sono vaccini ad acidi nucleici: RNA nel caso dei vaccini Pfizer e Moderna, DNA nel caso del vaccino AstraZeneca.
Si tratta di vaccini OGM. Contengono acidi nucleici geneticamente modificati.
Quindi, sono degli acidi nucleici praticamente di sintesi, introdotti per la prima volta per la profilassi delle malattie infettive.
Sono già stati sperimentati e utilizzati per la terapia genica oppure per la terapia del tumore.
Però, per la profilassi e la somministrazione alle persone sane, ovvero a scopo preventivo, si tratta della prima volta.
Di conseguenza, è una cosa che ha suscitato una grande preoccupazione.
Sappiamo bene, inoltre, qual è la narrativa per questi nuovi vaccini: che non sono vaccini ma terapie geniche che modificano il nostro DNA in maniera irreversibile.
Fra tutte queste affermazioni, in realtà, ci sono alcune cose vere e altre che non lo sono per niente.
Innanzitutto, lo ripeto, si tratta di vaccini — perché, come attività farmacologica, hanno proprio quella di stimolare il sistema immunitario per la produzione di anticorpi vaccinali teoricamente protettivi — e, inoltre, sono stati ingegnerizzati in modo da non integrarsi nel DNA.
Se lo fanno, è una reazione avversa con un’incidenza che non è nota perché i produttori non hanno fatto alcuno studio specifico.
L’EMA non l’ha richiesto perché sostiene che le persone fanno solo due iniezioni a distanza di venti giorni e il rischio di cancerogenesi, dovuto alla modificazione del nostro genoma, è basso.
Perché avvenga questo fenomeno bisogna che l’uso sia continuativo, cosa che non si verifica quando ci si va a vaccinare.
Questo ragionamento però è teorico e, di conseguenza, dovrebbe essere supportato da dati sperimentali.
Quindi, il rischio teorico che questi vaccini vadano a modificare la nostra genetica c’è, sotto forma di reazione avversa, anche se è molto basso.
Penso che il problema della modificazione della sequenza del DNA — ma non sto dicendo che sia l’ultimo dei problemi — non sia sicuramente il più grande che ci troviamo oggi a gestire.
Va detto che i vaccini su base genica hanno il vantaggio di non avere le problematiche dei vaccini a proteina perché non utilizzano, ad esempio, adiuvanti molto tossici come l’alluminio e, nel caso del vaccino della Pfizer, non utilizzano nemmeno linee cellulari su cui far crescere questo virus per ottenere il vaccino.
Sappiamo infatti che, quando si utilizza una linea cellulare (che in questo caso è “fetale umana immortalizzata”), il vaccino può portarsi dietro residui di DNA fetale, cancerogeno, e anche virus cancerogeni che sono pericolosi per la salute del vaccinato.
L’AstraZeneca utilizza linee cellulari di questo tipo e, quindi, è a rischio-contaminazione da parte di questo DNA.
Questi vaccini sono stati formulati per avere dei vantaggi rispetto a quelli tradizionali, però portano con sé dei rischi nuovi.
L’EMA, quando ha concesso l’autorizzazione a procedere con il fast track, ha fatto una valutazione anche in questo senso.
L’ha concessa facendo una valutazione legata al momento, in una fase esponenziale del numero dei contagi e anche dei decessi.
Eravamo nella fase crescente della pandemia e non sapevamo bene come si sarebbe sviluppata. Eravamo allarmati da stime e previsioni con cifre catastrofiche.
Dopo, la questione è stata notevolmente ridimensionata ma il fast track era già stato dato e, quindi, le aziende hanno avuto il mandato — da parte dell’EMA, dell’OMS e della FDA — di partire immediatamente con la produzione, perché i vaccini dovevano essere resi disponibili in tempi brevissimi vista l’emergenza.
Quindi, è ovvio che le industrie abbiano bypassato tutti quei passaggi che normalmente si devono fare per la registrazione di un vaccino.
Nella registrare un vaccino bisogna fare consecutivamente la fase di messa a punto e lo studio in vitro e in vivo sugli animali per vedere la tossicità.
Fatto questo, se i risultati sono positivi, ovvero se il vaccino non è tossico, si passa alla sperimentazione sull’uomo con la fase 1, 2, 3.
Questo percorso comporta circa dieci anni. Sono tempi molto lunghi e costosissimi per l’industria.
Con il fast track, invece, queste fasi sono state fatte tutte contemporaneamente.
Quindi, insieme alla produzione del vaccino ad uso clinico, sono partiti con la fase preclinica sugli animali, la fase sull’uomo e la produzione industriale in modo da essere pronti, quando sarebbero finite le fasi 2 e 3 di sperimentazione, con le confezioni da vendere.
Con questa procedura sono effettivamente riusciti a portare in commercio la Pfizer prima di Natale e, successivamente, Moderna e AstraZeneca.
Diciamo che tutto questo è andato a scapito della sicurezza e dell’efficacia del vaccino, oltre che della sua qualità.
L’EMA ha fatto questa valutazione: ci prendiamo il rischio di avere qualcosa che non sia proprio ottimale perché c’è un’emergenza: bisogna assolutamente cercare di fermare il Covid.
Quindi, si è assunta dei rischi.
È anche ovvio che un vaccino di nuova introduzione, anche dopo un percorso di dieci anni, per cinque anni sarebbe stato comunque, e a tutti gli effetti, in corso di sperimentazione.
L’EMA non ha dichiarato che questi sono vaccini d’emergenza e, quindi, sono stati registrati di fatto come non-sperimentali, con un’autorizzazione condizionata, mentre l’FDA ha dato un’autorizzazione d’emergenza.
Quindi la Pfizer e Moderna in America sono d’emergenza mentre qui, in Europa, no.
Sono registrati con una valutazione positiva del rapporto rischio-beneficio. Quindi, non li possiamo considerare sperimentali dal punto di vista normativo.
Però, come ho detto prima, quando si sperimenta un vaccino questo resta in monitoraggio per cinque anni perché, durante gli studi clinici, si fa una selezione ben precisa dei partecipanti e quindi si vanno di solito ad escludere le persone con patologie predisponenti al danno.
Quando invece si va a somministrare un vaccino a tutta la popolazione, prendiamo anche persone con patologie di vario tipo, con età e predisposizione genetica diverse.
Bisogna sempre fare questa valutazione: stiamo somministrando un farmaco unico per tutta la popolazione, benché questa sia estremamente eterogenea.
Questo è un grosso limite, per tutti i farmaci e anche per tutti gli altri vaccini.
Ogni anno facciamo il vaccino antinfluenzale con una procedura di fatto fast track, che viene sperimentato solo su un numero molto limitato di persone sane, e poi viene messo in commercio.
D. Lei, in un’intervista, ha detto: “Questi vaccini, potrebbe fungere da catalizzatore nella formazione di varianti, sui quali non solo sono inefficaci, ma possono anche avere un profilo di patogenicità diverso. Quindi, potremmo anche avere dei virus più pericolosi dal punto di vista della neurotossicità o dell’immunotossicità”. Questi vaccini, quindi, creano nuovi virus?
R. Sì. Questo fenomeno l’avevo segnalato con grande preoccupazione già a maggio dell’anno scorso perché questo virus, quando si replica, utilizza un enzima che si chiama RNA polimerasi RNA dipendente.
Questa polimerasi non è molto precisa e quindi produce errori quando va a replicare l’RNA, e questo porta alla formazione dei mutanti.
Anzi, alla formazione d’intere popolazioni che si distinguono per delle piccole mutazioni, ma che sono molto ampie.
Quindi, quando la persona s’infetta, in realtà si è infettata con una popolazione di mutanti, non solo con un virus.
Se la persona è vaccinata, ha degli anticorpi che sono selettivi per quei virus che hanno la stessa sequenza della proteina del vaccino.
Quindi, i virus che non vengono colpiti dagli anticorpi vaccinali, avranno modo di essere favoriti nella loro replicazione.
Più sono diversi dalla sequenza del vaccino, più avranno possibilità di replicarsi in modo favorevole e quindi di resistere al vaccino.
Da qui la vaccino-resistenza che non è altro che la formazione di una variante. Quindi, in questo momento, le varianti sono necessariamente selezionate dal vaccino.
Abbiamo avuto varianti anche dal Covid perché, nel corso dell’epidemia, sappiamo che se ne sono progressivamente formate con il passaggio da persona a persona.
Ma, quello che abbiamo visto con queste varianti, è che avevano via via acquisito delle mutazioni che le hanno rese sempre più attenuate.
Quindi, un virus che incontra l’uomo per la prima volta dapprima porta l’epidemia (perché il sistema immunitario non lo riconosce), ma poi attenua la sua capacità d’indurre la malattia e quindi procede verso lo stato endemico.
Ovvero, infetta le persone senza che queste sviluppino i sintomi della malattia.
Dico questo perché, per la Sars del 2003 (per la quale non s’è visto il vaccino, che non è stato prodotto a causa di una reazione avversa molto grave, tipica del virus della Sars), abbiamo visto che l’epidemia c’è stata solo quell’anno.
D. Nel 2003 hanno provato a fare il vaccino, hanno visto che ci sono state delle reazioni avverse molto gravi e si sono fermati. Adesso, invece, vedono che ci sono delle reazioni avverse … ma continuano.
R. Purtroppo sì.
Con la Sars hanno avuto quest’epidemia importante e hanno cercato di fare tutta una serie di vaccini (molto simili a quelli che ci sono adesso) ma, quando andavano a sperimentare il vaccino sugli animali, vedevano che si manifestava quello che viene chiamato il potenziamento della malattia.
I vaccinati non solo non erano protetti (si infettavano come i non-vaccinati), ma sviluppavano anche una polmonite fatale e quindi andavano incontro a delle complicazioni che i non-vaccinati non avevano.
E’ questo il motivo che ha bloccato la sperimentazione clinica dei vaccini contro la Sars, ma questa sperimentazione non è stata ancora fatta per quelli contro il Sars-cov-2 [Covid].
Dopo un anno, non abbiamo ancora alcun dato che ci permetta di capire se questi vaccini sviluppino o meno il potenziamento della malattia.
D. La narrazione della pandemia e, di conseguenza, la necessità di uno stato emergenziale, si basa sui risultati dei tamponi. Kary Mullis, l’inventore dei tamponi, ha dichiarato che “con un test PCR si può trovare praticamente qualunque cosa in qualsiasi persona perché, se puoi amplificare una singola molecola fino a qualcosa che puoi misurare, sono veramente poche le molecole che il tuo corpo non contiene — e quindi non serve per diagnosticare l’HIV o gli altri 10.000 retrovirus sconosciuti”. Come possiamo fidarci di questo strumento?
R. Il tampone è stato utilizzato in maniera inappropriata.
Mi permetto di dire, comunque, che il test PCR sia uno dei più affidabili per fare diagnosi di laboratorio. Dipende dal virus che dobbiamo analizzare.
Quello che ho sempre detto è che la PCR sia una tecnica altamente specifica e sensibile, ma va utilizzata nel modo corretto.
Quindi, è vero che con la PCR si può vedere qualsiasi cosa.
E’ per questo motivo devo avere dei controlli negativi, positivi, interni ed esterni e, soprattutto, devo validare la mia metodica contro un test Gold Standard.
Quindi, non si può validare la PCR contro sé stessa, come è stato fatto qui.
Bisognava utilizzare il sequenziamento che va a vedere la sequenza base del mio virus e che vede anche le varianti — cioè vede tutto del mio virus.
D. Quindi, vede anche se il virus è inattivo o è morto?
R. No questo non lo può vedere. Questo si vede solo se si mette il virus in coltura.
D. Lei mi sta dicendo che ci sono tutte le tecniche che potrebbero diagnosticare il virus in modo molto accurato. Quindi, perché non lo stanno facendo?
R. Ho visto che, ultimamente, tutti i Paesi hanno attivato centri di geneticaper sequenziare un numero molto elevato di campioni per vedere le varianti, ovvero come si stanno sviluppando — però potevano attivarli anche l’anno scorso.
Per fare lo studio completo bisognerebbe prendere il campione di una persona, metterlo in coltura e vedere se cresce e quindi se si replica, così sappiamo se siamo di fronte a un virus funzionante — che quindi è in grado di infettare la persona e anche trasmettersi agli altri — e poi fare il sequenziamento.
Con il sequenziamento vedo che virus c’è e quanto ce n’è. Posso anche vedere se è una variante e di che variante si tratta. Quindi, ho il massimo dell’informazione.
Ovviamente, bisogna utilizzare campioni biologici diversi e, quindi, non solo la saliva ma anche l’espettorato bronco alveolare e, soprattutto, le feci.
Il campione più adatto sarebbe stato proprio quello fecale, perché il virus tende a insediarsi nel microbiota intestinale e restare là anche dei mesi.
Ci sono persone che continuano a eliminare virus anche dopo un anno. È lì la sede principale dell’insediamento del virus, non i polmoni (dove non lo troviamo più di tanto).
Quindi, è sbagliato anche il campione utilizzato, non solo la tecnologia.
Diciamo che la PCR si poteva anche utilizzare, ma andava modificata nel tempo perché, senza il sequenziamento, non si può avere un’idea dei falsi positivi e dei falsi negativi.
Quindi, è mancato questo dato molto importante e, man mano che l’infezione procedeva, si sono formate delle varianti naturali e il test PCR ha cominciato a dare troppi falsi negativi, perché c’è stata una modificazione proprio nella sequenza in cui si andavano ad attaccare i primer — i frammenti di DNA che servivano per amplificare la mia sequenza in modo da poterla leggere.
Quindi, conseguenza dei primer che non si legavano più, abbiamo cominciato ad avere un numero importante di falsi negativi, cioè malati di Covid che non venivano più diagnosticati dai test di laboratorio.
Va detto, però, che la presenza del virus non significa affatto che la persona abbia il Covid.
Per dire che è un caso di Covid bisogna fare una serie di analisi diagnostiche cliniche. Quindi, se una persona è negativa ma ha tutti i sintomi del Covid, bisogna fare per forza tutte le analisi.
Il problema è che il test di laboratorio dovrebbe essere utilizzato solo per orientare meglio il medico a capire se ha di fronte un caso di Covid oppure no. Quindi, decidere se isolare o meno un paziente sospetto fin da subito.
Invece, hanno utilizzato i test PCR anche per andare a vedere gli asintomatici, per determinare la letalità del virus — cioè il numero dei morti rispetto al numero dei contagiati.
Anche in questo caso, se si voleva fare un lavoro che avesse un senso, bisognava utilizzare il sequenziamento, con un costo davvero molto alto.
Di conseguenza, per riuscire a vedere il numero basso di copie che hanno gli asintomatici, sono stati costretti ad aumentare la sensibilità dei test e, quindi, hanno aumentato quello che viene chiamato “numero di cicli”.
Più aumento la sensibilità, più aumento in modo spropositato il numero di falsi positivi e questo è il motivo per cui abbiamo tenuto a casa tante persone sane, falsi positivi.
Adesso che sono usciti i vaccini, l’OMS ha emanato un documento in cui raccomanda di abbassare il numero di cicli.
È ovvio che se io faccio questa cosa, abbiamo una caduta a picco dei casi positivi e questo porterebbe a pensare che il vaccino funzioni.
Il fatto che nei Paesi dove stanno vaccinando sia caduto bruscamente il numero dei casi, potrebbe essere dovuto al fatto, semplicemente, che hanno abbassato il numero di cicli della PCR.
La PCR, per come è fatta adesso, è facilmente manipolabile. Per il Sars-cov-2, che è un virus a RNA che muta continuamente, non è sicuramente il test corretto.
Il modo in cui il test PCR è stato condotto non ci permette di capire quanti casi Covid abbiamo realmente perché, dentro la grande massa dei contagiati, abbiamo falsi positivi, ovvero persone positive al test che non sono morte di Covid (ma come conseguenza di altre patologie), perché il Covid è una patologia con una serie di sintomi specifici.
D. Se il Covid è curabile, come molti medici stanno dicendo praticamente da un anno, e se in Paesi quali Russia, Brasile, Colombia, o parti degli Stati Uniti come la Florida o il Texas, la vita è ripresa, perché continuano a negare i risultati pratici della prassi medica? Perché insistono sulle vaccinazioni? Lei che idea si è fatta?
R. Inizialmente c’è stata una narrativa molto drammatica. Ci hanno detto che questo virus era nuovoe che quindi non si sapeva niente, che non c’erano cure, che la gente moriva e che non si sapeva cosa fare.
Primo errore: si sapeva già molto, se non tutto, perché avevamo già avuto la Sars.
Quindi, si conosceva esattamente la dinamica della malattia, con piccole differenze dovute alla caratteristica del Sars-cov-2 che è molto più contagioso, ma meno mortale, rispetto alla Sars.
C’erano delle differenze cliniche, però si poteva tranquillamente partire dalle conoscenze della Sars per poter fare terapia e anche altro, che poi è quello che hanno fatto in Cina.
I cinesi hanno preso tutti gli studi, quasi ventennali, sulla Sars e li hanno applicati al Sars-cov-2.
Noi, invece, siamo partiti da zero e abbiamo continuato ad affermare che di farmaci non ce n’erano, che solo i vaccini sarebbero stati la grande salvezza per uscire dal Covid … e ancora adesso sentiamo dire che se non facciamo il vaccino non ne usciremo mai.
Sappiamo bene che i trattamenti studiati per la Sars funzionano anche per il Covid.
L’idrossiclorochina, l’azitromicina, il cortisone … terapie che sono diventate di prima scelta per i medici che facevano terapia domiciliare e sono quelle che sono state riproposte anche quest’anno, con le stesse modalità e con delle integrazioni migliorative che le hanno rese ancora più efficaci.
Non si era mai visto prima, per una malattia infettiva unica, ben 260 vaccini. Inoltre, abbiamo centinaia di ditte in corsa tra di loro per mettere in commercio il vaccino.
Teniamo conto che per i vaccini pediatrici, per un esavalente, abbiamo 2 o 3 ditte, non 260.
Quindi, con molta probabilità, non è il Covid l’obiettivo di queste società.
Tutte queste ditte hanno l’obiettivo di farsi autorizzare un nuovo sistema per fare i vaccini e, una volta che sono state autorizzate dall’EMA, questo può essere utilizzato per fare altri tipi di farmaci.
Quindi, hanno visto nel fast track, che permette alle industrie di risparmiare tanti soldi, la possibilità di accelerare notevolmente i tempi per autorizzare questi farmaci di nuova generazione, biotecnologici, che altrimenti non avrebbero potuto commercializzare.
Inoltre, non abbiamo solo 260 vaccini, abbiamo anche più di 500 farmaci sperimentali fast trackcreati per il Sars-cov-2 e, quindi, è ovvio che ci sia una resistenza notevole all’utilizzo di farmaci che sono già in commercio per altre malattie, come ad esempio l’idrossiclorochina.
D. Secondo lei, riusciremo a far passare il concetto che le cure domiciliari siano efficaci? Riusciremo a smetterla di negare l’ovvio e riportare il mondo “a quote più normali”?
R. Ci vuole una presa di coscienzadei singoli, che devono capire da soli che, purtroppo, i vaccini non proteggono dall’infezione e nemmeno dalle complicazioni della malattia.
Perché, il fatto che un vaccinato prenda comunque l’infezione, già da solo dovrebbe farci capire che i vaccini non risolveranno il problema.
Al contrario, lo peggiorano perché portano allo sviluppo di varianti sempre nuove.
Avremo sempre nuove epidemie, che partiranno da ognuna delle varianti che andranno a formarsi.
Le persone devono rendersi conto che le varianti sono dovute alla vaccinazione stessa e che, a differenza di quelle naturali (che tendono progressivamente a far finire l’epidemia), le varianti da vaccino prolungano l’epidemia all’infinito.
Inoltre, si deve prendere coscienza che i danni da vaccino esistono, anche se c’è una struttura che li nega.
Le Agenzie continuano a negare il danno.
Muore qualcuno dopo essersi vaccinato e, in automatico, si sente sempre la stessa risposta: non c’è nessuna correlazione.
Non è possibile che per tutti i casi non ci sia correlazione. Questa è la negazione del danno.
Le persone vanno informate che devono segnalare il danno, assicurarsi che venga recepita la segnalazione e che venga raccolta per avere un dato il più possibile accurato sulle segnalazioni.
Il rischio è che le Agenzie Regolatorie dicano che il danno non c’è perché non è stato segnalato.
E quindi se il danno non esiste, il vaccino è efficace.
Dall’altra parte abbiamo gli studi clinici forniti dai produttori che stanno indicando un’efficacia troppo alta perché, se le varianti sono da vaccino (e quindi la persona vaccinata può infettarsi con una variante), come può essere considerato efficace al 95%?
Sappiamo che i primi dati che sono stati forniti dalle aziende avevano un’efficacia del 95%, ed è quello che ha permesso alla Pfizer di essere in commercio.
Questo 95% viene fuori da un calcolo matematico, ma bisogna anche andare a vedere la significatività di quel dato.
Posso semplicemente applicare una formula matematica e mi viene fuori il 95%.
Però, devo anche andare a vedere il significato del dato nel contesto in cui viene fatta la misurazione.
Se ho 20.000 persone vaccinate, 20.000 persone non vaccinate e, di queste, 10 si infettano nel gruppo dei non vaccinati e 5 nell’altro gruppo (dico numeri indicativi, non corretti per il calcolo), allora può anche venire fuori il 95% di efficacia, ma la riduzione del rischio è ridicola.
Hanno fatto la valutazione dell’efficacia in un momento in cui l’epidemia non c’era più. Quindi le persone non si sono infettate.
Avrebbero dovuto dire che niente sapevano del rischio-potenziamento e dell’efficacia, perché le persone non si sono infettate.
Però, se non avessero fatto così, non avrebbero potuto commercializzare il prodotto.
Quindi, per vedere la reale efficacia di questi vaccini dovremo aspettare che finisca l’epidemia.
A luglio-agosto sapremo quante persone vaccinate si sono re-infettate.
Adesso sappiamo che c’è un grosso problema: vaccinano persone sane e poi queste diventano positive, sviluppando il Covid che prima non avevano.
In questo caso, quindi, l’efficacia è addirittura negativa.
* Fonte: MITTDOLCINO – Intervista a cura di L’Alessandrino
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